Il Paradiso, iniziato intorno al 1316 e
terminato poco prima della morte del poeta, descrive in 33 canti il
regno celeste, le cui caratteristiche costanti, in forma e contenuto –
gioiosa obbedienza a Dio ed eterna adorazione di Lui – hanno prima
radice nella "caritas" l’amore perfetto determinato dalla conoscenza
diretta del Creatore, goduta dalle anime beate. In quest’ultima parte
del suo viaggio oltremondano Dante è accompagnato da Beatrice
riapparsagli nel Paradiso terrestre come donna amata (già
ispiratrice della Vita Nuova) e, insieme, anima beata; ella,
specchio della Verità e della Volontà Divina, ha presieduto alla
confessione e alla purificazione finale del Poeta, consacrandone
l’accesso alla vita della Grazia.
La descrizione dantesca del Paradiso cristiano muove dalla
concezione tolemaica dell’universo e fonde in una struttura unitaria
elementi astronomici e teologici, dottrina naturale e filosofia del
divino. Dante distingue in esso nove cieli, concentrici e ruotanti
intorno alla Terra, costituiti dai sette astri fino ad allora conosciuti
(Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno), dal cielo delle
Stelle Fisse e dal Primo Mobile; essi sono contenuti dall’Empireo sede
immobile di Dio, luogo (dello spirito, non della cosmografia) in cui le
anime beate eternamente circondano il Creatore, godendo della sua vista
in proporzione ai propri meriti.
Per far meglio comprendere il carattere di proporzionalità della
ricompensa eterna, Dante immagina che i beati gli si presentino
distribuiti nei sette cieli (cui corrispondono diversi gradi di
perfezione spirituale): l’attenzione del pellegrino è attratta prima
dalle anime che non adempirono i voti (Luna), quindi dagli spiriti
attivi nel bene per un fine terreno, quale la fama (Mercurio) e da
quelli che sperimentarono particolarmente sentimenti d’amore terreno
(Venere); procedendo, il Poeta incontra poi, nei cieli del Sole, di
Marte e di Giove, le anime dei sapienti dei martiri della fede e dei
giusti (attivi per fini spirituali: verità, fede giustizia), e giunge
infine a Saturno, nella cui luce appaiono gli spiriti contemplativi che
toccarono sulla Terra la massima perfezione spirituale. Nel cielo delle
Stelle Fisse, da cui – attraverso i cieli inferiori – discendono fino
alla Terra gli influssi delle varie costellazioni, Dante contempla il
trionfo di Cristo e di Maria, mediatori della salvazione cristiana; nel
Primo Mobile, ritenuto da Tolomeo causa del moto astronomico degli altri
cieli affronta poi l’esame sui contenuti primi del Cristianesimo: Fede,
Speranza, Carità. Le tre virtù teologali, che sole consentono la vita
della Grazia sono infatti l’argomento delle domande poste al Poeta da
San Pietro, San Giacomo e San Giovanni.
Dopo l’incontro con il progenitore dell’umanità, Adamo, ed una prima
visione di Dio come punto luminoso attorniato dai nove cori angelici
(ciascuno dei quali governa il moto di un cielo), Dante è innalzato al
cielo della pace divina: l’Empireo. Il Poeta contempla tutto il consesso
dei beati e degli angeli e la finale gloria di Beatrice che, esaurito il
suo compito di amorevole guida, riprende il suo altissimo seggio fra i
beati.
Dopo aver conosciuto Dio "per speculum", cioè analogicamente tramite
Beatrice stessa e gli altri beati, ora, per intercessione di San
Bernardo (mistico fedele della Vergine, alla quale il Santo rivolge
un’alta preghiera in favore del pellegrino), Dante merita la visione
diretta e totale di Dio in sé ed è fatto in realtà quale egli sente di
essere per fede: una parte perfettamente consonante del Tutto,
nell’amore che è conoscenza ed eternamente unisce Creatore e creatura.
Ed è così che attinge il fine sovrannaturale ed eterno dell’uomo, quello
cui solo la Rivelazione e la Grazia possono condurre; ma in tutta la
terza cantica non dimentica mai l’altro termine della vita umana, la
felicità naturale, che consegue all’esercizio delle virtù cardinali ed è
primo, necessario gradino al possesso del soprannaturale.
Nella coralità, tuttavia, non scompaiono le sfumature diverse del
sentimento e del pensiero, di volta in volta affidate, poeticamente,
alle varie figure di beati, che singolarmente esprimono il prismatico
svariare dell’interiore problematica del Poeta, il quale pur distingue e
caratterizza con mano sicura le note dominanti le singole personalità:
la dolcezza in Piccarda, la convinzione della necessità della storia e
dell’Impero Romano in Giustiniano, l’affetto familiare e cittadino e il
senso della missione umana in Cacciaguida, e così via; ma su tutto e su
tutti domina sempre Beatrice, nel suo presentarsi a Dante in molteplici
forme, quale madre, benefattrice e guida, e nel suo mutevole atteggiarsi
di donna: la donna ritrovata del tempo della Vita Nuova, vera
ed amata, e nello stesso tempo lo specchio del Divino, che si manifesta
in lei – e in tutto il Paradiso – come bellezza e perfezione.
Caratteristica principale dello spettacolo paradisiaco è la luce,
simbolo ed emblema della grazia illuminante; la luminosità prima
diffusa, poi sempre più viva, accompagna tutto il viaggio di Dante e,
con il suo accrescersi d’intorno al Poeta e negli occhi di Beatrice,
segna l’ascesa di grado in grado dell’anima nella conoscenza e nelle
perfezione.
Col Paradiso si conclude non solo l’esperienza personale di
Dante dal pellegrinaggio terreno alla vita celeste, ma anche la prova
più alta e matura del poeta, teso ad affrontare temi e rappresentazioni
intellettualmente e poeticamente ardui, che richiedono un continuo
sforzo d’invenzione e di adeguamento dei mezzi stilistici. Fuse insieme
l’ispirazione lirica e del sacro e del liturgico, esaltati al massimo i
contenuti espressivi e simbolici e le capacità descrittive della parola
(precisa è la scelta linguistica, sostenuta dall’uso frequente di
latinismi e neologismi); raffinati ancora e impreziositi il carattere e
la tematica dei paragoni (la musica, la danza, la volta celeste, le
fonti naturali di luce, la liturgia e la tradizione cattolica, le
invenzioni del tempo), l’impegno artistico dell’Alighieri tocca l’apice
nei canti finali, proprio là dove il Poeta si confessa vinto
dall’altezza del tema propostosi e dove, dopo la lunga "azione" del
viaggio, la sua ansia di uomo e di poeta si acquieta finalmente nella
contemplazione del divino mistero trinitario e la sua volontà si arrende
appagata a quella dell’amor che move il sole e l’altre stelle.