Nella seconda cantica della Commedia, suddivisa in 33 canti e composta e divulgata entro il 1315, Dante, proseguendo la narrazione del suo viaggio ultraterreno con Virgilio, descrive il regno della purificazione, cioè il Purgatorio.
In forma di monte erto e solitario, posto agli antipodi di Gerusalemme e circondato dal mare australe, esso si eleva altissimo verso il cielo, oltre la sfera del fuoco, ed è raggiunto da Dante e Virgilio attraverso un sotterraneo passaggio (la "natural burella") che congiunge il centro della terra (dove è confinato Lucifero) con con le sponde dell’isola purgatoriale, da cui i poeti possono nuovamente contemplare le stelle – realtà e simbolo di luce – bandite dalla cupa e disperata atmosfera dell’
Inferno.
Il
Purgatorio è il luogo dove l’anima si purifica dai peccati della vita passata, connessi alle tendenze peccaminose della umana natura (decaduta per il peccato d’origine) e riconosciuti e confessati nel corso o al termine della vita: quei peccati che Dante ha già conosciuto sperimentalmente in via di realistica esemplificazione e rappresentazione nella prima cantica.
La sofferenza indotta con le pene purgatoriali mira a restaurare nello spirito umano, dopo il pentimento, la perfezione delle quattro Virtù cardinali (Prudenza, Fortezza, Giustizia, Temperanza): senza di esse non vi è la retta via, né speranza di perfetta vita celeste; senza di esse l’umana creatura non può spontaneamente abbandonarsi all’istinto buono (o naturale amore del Bene), né può dispiegarsi senza erronee deviazioni il concreto esercizio del libero arbitrio, peculiare caratteristica dell’uomo.
Dopo una breve sosta sulla spiaggia e nell’
Antipurgatorio, dove attendono il momento di ascendere alla desiderata espiazione coloro che tardarono in vita a pentirsi (gli scomunicati, i pigri, i colpiti da morte violenta) ecco quindi che Dante e Virgilio affrontano le sette cornici in cui, in ordine di gravità decrescente, si purificano le colpe connesse con ognuno dei sette peccati capitali; se nell’Inferno era assunto come principio ordinatore il Male nelle sue concrete determinazioni, ora quale criterio di giudizio per l’umano agire è assunto l’Amore, nel ricondurre le varie colpe da espiare alle tendenze erronee che l’amore naturale può assumere nell’ambito dell’esperienza umana, in rapporto alle scelte dell’intelletto e della volontà. Nelle prime tre cornici si purga il desiderio del male del prossimo, articolato nei peccati della Superbia, Invidia, Ira; nella quarta si purifica la negligenza nell’amore verso il Sommo Bene rappresentata dall’Accidia e nelle ultime tre i peccati di Avarizia, Gola, Lussuria.
L’espiazione delle singole colpe è affidata ad una pena sofferta corporalmente, ad esempi di virtù contraria a ciascun errore offerti da immagini, voci, visioni, nonché alla preghiera che, per ogni tipo di peccato, richiama all’originario e pregnante significato della liturgia cristiana.
Governato dalla temporalità, reale e simbolica (vedi l’opposizione luce/tenebre), il
Purgatorio è coronato dal Paradiso terrestre, luogo d’origine dell’umanità, sede perduta a causa del peccato originale. Nella "foresta spessa e viva" del Paradiso terrestre (chiarissima antitesi della "selva selvaggia" in cui si era iniziata la vicenda di Dante uomo e poeta), Virgilio si congeda dal discepolo, che sotto la sua guida ha ormai perfezionato e rettificato al bene il proprio intelletto e la propria volontà: al maestro terreno succede ora la guida celeste, Beatrice, già mezzo di conoscenza analogica del Divino nella Vita Nuova e ora specchio perfetto della somma Perfezione.
Avviene così per suo mezzo la necessaria purificazione di Dante, con l’accusa delle colpe, la manifestazione del pentimento, il sacramentale lavacro nelle acque di Letè ed Eunoè; ed in sua presenza si sviluppa, entro la "sacra rappresentazione" della processione mistica che accompagna il carro della Chiesa, l’invito a meditare la storia dell’umanità, da Adamo e la sua colpa alla redenzione operata dal Cristo, alla nascita e alle vicende salienti della Chiesa cattolica: la predicazione degli Apostoli, le persecuzioni, le eresie, la donazione di Costantino, gli scismi, la corruzione papale, l’esilio avignonese. Solo il "messo di Dio" (un imperatore o un suo vicario) porrà fine a tale decadenza, riportando la giustizia sulla terra e restituendo la Chiesa al suo primitivo, altissimo compito spirituale.
Se il nucleo originario della
Commedia è forse (quanto all’idea-zione) nei canti conclusivi del Purgatorio (XXX-XXXIII), i quali rappresentano il punto d’incontro fra l’esperienza individuale e terrena di Dante e la vicenda universale raggirata nel poema, nel Purgatorio tutto, al di là della sua connotazione (strettamente catechistica, ma pur necessaria) di luogo "dove l’umano spirito si purga", si configura palesemente il punto medio, anzi centrale, dell’itinerario dello spirito umano, quale Dante ha voluto rappresentare in rapporto ai fini terreni e soprannaturali dell’umanità. Se l’Inferno è il momento dell’individualismo chiuso, assorto nella sempre più soverchiante incomunicabilità dell’egoismo (frutto primo del trionfo delle passioni radicali e negazione dell’altrui vita come dei soprannaturali destini della propria), il Purgatorio è progressiva costruzione della vita nel bene, entro la scelta cosciente di quell’ordine ispirato all’amore, nel quale l’individuo può rettamente operare ed agire, attuando nell’ambito di una società civilmente organizzata, le proprie potenzialità; nel Paradiso, infine, venuta meno la spinta terrena della volontà e della scelta, la contemplazione trascenderà l’azione, e l’amore naturale sarà riassunto e completato dalla gioia dell’Amore divino.
L’amore, nella sua alta accezione di carità fraterna, è già dunque il tema fondamentale della seconda cantica: non a caso proprio di esso tratta Virgilio nei canti XVII e XVIII, posti al centro, oltre che del
Purgatorio, dell’intera Commedia.
E a questa dimensione ben si adegua il linguaggio poetico dell’intera cantica: poesia d’una serena vita quotidiana che preannuncia, quasi senza soluzione di continuità, la tensione poetica della terza cantica, il linguaggio dell’ineffabile che caratterizzerà il
Paradiso.  


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