Il giovane si fermò presso l'arabo
accovacciato davanti alla cesta. La guardò
attentamente: conteneva solo pantofole ricamate.
Le fissò affascinato; gli ricordavano
qualcosa.
Il venditore era molto vecchio: dei radi fili
bianchi sporgevano dalla «taghia» rossa poggiata
sulla sua testa rugosa.
«Quanto costano?», chiese il giovane, tanto per
giustificare il suo interesse.
«Dieci piastre - rispose il vecchio
pacatamente. - Scegli quelle che vuoi».
Il giovane, troppo timido per rifiutare, si
accoccolò e cominciò a cercare nel
mucchio. Improvvisamente se la trovò in
mano: era la sua pantofola, ne era certo.
Toccò con delicatezza la seta turchina, i
gentili ricami in oro e argento... Un mare di
ricordi lo sommerse. Si sentiva emozionato come se
avesse ritrovato un giorno della sua vita.
«Vorrei la compagna», chiese con voce tremante.
Il vecchio la tirò immediatamente fuori
dal mucchio, come se sapesse precisamente dove
fosse. Il giovane pagò e, con le due
pantofole in mano, si diresse come un automa verso
l'albergo.
Ricordava: undici anni avanti, primo viaggio in
nave con suo padre nella bella città araba
dove ora era tornato. Sole anche allora accecante,
cielo terso e d'un turchino così
lucente da sembrare lucidato a mano. Si era
innamorato di colpo di quelle pantofole di seta
dello stesso colore del cielo e suo padre gliele
aveva regalate. Aveva voluto provarle subito.
Guardò la suola: era un po' annerita e
impolverata, come se avesse toccato terra solo per
poco.
Suo padre l'aveva fatto fermare davanti a
una porticina di legno grezzo, ben chiusa da un
forte chiavistello in ferro. Un imponente
giannizzero l'aveva tirato via dal fodero
senza sforzo spalancando il passaggio davanti a
loro.
«Ecco il deserto», gli aveva detto suo padre.
Lui aveva guardato e aveva visto
un'immensa distesa d'oro che si elevava
in tumuli, correva nel piano e formava montagne.
Il sole di mezzogiorno rendeva ancora più
terribile quell'aurea immensità, che lo
intimidiva per la sua imponenza e lo faceva
sentire sperduto, come davanti all'infinito.
Tre cammelli erano accovacciati davanti al
varco. Masticavano tranquilli. La sella di lana
colorata terminava in mappe vistose. Di eguali ne
ornavano anche le briglie e i paraocchi degli
animali.
«Sali - lo invitò suo padre. - Vai!».
Lui aveva arricciato il naso. L'odore acre
delle bestie lo infastidiva. Preferiva tornare
sulla nave. Prima che la porticina venisse
rinchiusa, si volse un'ultima volta a
guardare il deserto. Per un istante ebbe
l'impulso di tornare indietro, di affrontare
quell'ignoto infinito, ma fu solo un attimo
d'indecisione, poi seguì lemme lemme
suo padre.
Si fermarono davanti a una moschea. Ubbidiente,
anche se con rammarico, si tolse le pantofole
ricamate e le lasciò, insieme alle altre
calzature, davanti alla soglia.
Deluso dalla semplicità degli arredi
della moschea, in contrasto con la magnificenza e
pomposità delle chiese che conosceva, ne era
uscito frettoloso, prima degli altri.
Le sue pantofole erano scomparse.
Tutte le altre scarpe erano lì, allineate
con cura, mancavano solo le sue pantofole di seta
turchina.
Riprovò il dispiacere e la rabbia di quei
momenti. Suo padre che voleva ricomprargliele, ma
lui non aveva accettato. Non sarebbero state le
«sue» pantofole.
E ora, improvvisamente, ritornato dopo tanti
anni nella stessa città, ecco che le
ritrovava. Perché erano proprio le sue
pantofole, ne era certo. Le contemplò
estasiato. Sdraiato sul letto dell'albergo,
non faceva che accarezzarle come se fossero state
delle creature. A un tratto notò qualcosa di
strano: le due pantofole erano diverse.
Le pose sulla coperta, una accanto
all'altra, cercando di capire in cosa
consistesse la diversità.
Le riguardò attentamente: stesso colore,
stesso ricamo... Le suole entrambe impolverate e
annerite... finalmente capì. Una era
più piccola dell'altra. Le misurò
con attenzione. Non erano della stessa misura.
Come era possibile? Eppure non gli sembrava di
averne notate di eguali nel cesto dell'arabo.
Si alzò in fretta. Ficcatosi le pantofole
nelle due tasche laterali dei pantaloni, si
diresse veloce verso il mercatino. Era ancora
chiaro. C'era molta gente in giro e non
avrebbe faticato a rintracciare il vecchio arabo
col suo cesto colmo di pantofole. Invece non lo
trovò. Cercò, girò, guardò
attentamente dovunque. Chiese di lui, ma forse non
riusciva a farsi capire, nessuno sembrava averlo
mai visto. Non mostrò le pantofole. Un
timore segreto lo trattenne. Anzi, le mani nelle
tasche, le controllava costantemente per
rassicurarsi della loro esistenza.
Confuso, non volendo arrendersi
all'evidenza, girò e rigirò per
il mercato varie volte.
La luce del giorno andava diminuendo sempre
più. Alcuni venditori cominciavano a
raccogliere le loro mercanzie, improvvisamente si
trovò davanti alla porticina di legno. A
guardia nessun giannizzero. Una veloce occhiata
all'intorno: sembrava che nessuno lo
osservasse: tutti erano indaffarati e immersi
nelle loro faccende. Tirò il chiavistello e
la porticina si aprì.
Un cammello solitario, accovacciato sulla
sabbia, masticava lentamente. Scrutò davanti
a sé: gli ultimi raggi del sole calante
incendiavano la sabbia sottile. Una leggera
angoscia lo prese. Il vecchio venditore - non ci
avrebbe giurato, ma gli sembrava proprio lui - gli
fu accanto. Teneva la cavezza del cammello nella
mano destra.
«Sali, “arfi”? - gli chiese. - È
l'ultimo viaggio prima della lunga notte».
«Quanto costa?», chiese il giovane, più
per abitudine, che perché gliene importasse.
«Dieci piastre», rispose il vecchio.
Il giovane stava per mettere le mani in tasca,
ma il vecchio lo fermò ossequioso.
«Dopo, dopo... Ora monta». E con un gesto
deferente lo aiutò a salire.
Il giovane, come un sonnambulo, si
arrampicò sul cammello e si sistemò
sulla sella di lana colorata. Pungeva. Non appena
l'animale, al comando del vecchio, si
drizzò in piedi, perse l'equilibrio.
Spaventato, si attaccò al collo del
cammello, maledicendo la sua timidezza.
Perché aveva accettato quel viaggio?
Il cammello cominciò ad andare e il
giovane si ricordò che soffriva di
vertigini. Avrebbe voluto gridare al vecchio di
fermarsi, ma la voce non gli uscì dalla
gola.
Terrorizzato, abbrancato al collo
dell'animale, non ne sentiva neppure
l'acre odore. Si dava solo dello stupido e
dell'imprudente per aver aderito
all'invito. Per recarsi poi dove?
La luce andava smorzandosi. Fra poco sarebbe
stato buio fitto. Si sentì morire. Attorno a
lui sabbia, solo sabbia all'infinito. Chiuse
gli occhi per non vedere.
Improvvisamente il cammello si fermò.
Il giovane aprì gli occhi e li rivolse
attonito attorno. Il vecchio, sorridendogli, lo
invitò con la mano: «Scendi, “arfi”. Siamo
arrivati».
E fece inginocchiare l'animale sulla
sabbia. Il giovane, confuso, non sapeva come venir
giù. Il vecchio, senza scomporsi,
l'afferrò sotto le ascelle come una
fanciulla e lo depose per terra. Il suo volto
sembrava imperturbabile, ma il giovane avrebbe
giurato che in cuor suo rideva di lui.
Sempre più mortificato, solo dopo aver
appoggiato i piedi a terra, si rese conto della
tenda.
Era immensa, di tela colorata, unica in
quell'immenso deserto. Due beduine,
intabarrate in barracani vistosi, lo presero per
mano come se fosse un bambino e lo guidarono
all'interno.
Il giovane si ricordò che non aveva
pagato la corsa. Avrebbe voluto tornare indietro,
ma le due donne lo trascinarono avanti.
Sempre più impacciato si limitava a farsi
guidare. Quella tenda sembrava senza fine. Lampade
a olio la illuminavano, spessi tappeti erano stesi
sulla sabbia. Le beduine si fermarono e lui cadde
quasi in avanti. Una donna, languidamente
appoggiata su cuscini di seta, sembrava
aspettarlo.
Aveva il volto velato.
«Benvenuto!», lo salutò nella sua lingua,
senza scoprirsi. La voce, giovane e gradevole,
pronunciò quelle parole in modo strano, come
se la lingua fosse sbagliata in quel contesto.
Batté le mani - le aveva piccole e
bianche - e le due beduine si ritirarono.
«Siedi», gli ordinò. La sua voce
risuonò ferma.
Il giovane, sempre più confuso, si
accovacciò per terra. Non è che stesse
comodo, poi... era tutto così strano! Se non
fosse stato per le pantofole, che ogni tanto
tastava, avrebbe creduto di sognare.
Seduto di fronte alla donna, cercava
inutilmente di indovinarne i lineamenti. Quanti
anni poteva avere? Venti come cento; le mani
sembravano giovani, comunque lo infastidiva il
fatto di essere visto e di non poter vedere.
Le due beduine tornarono con delle vivande:
focacce calde farcite con uova e verdure, capretto
al forno profumato alle erbe, e un liquore
dolcissimo che gli andò subito alla testa.
La donna stava in silenzio. Il giovane
cominciò a mangiare. I cibi erano saporiti,
e la sua ospite lo serviva con amabilità. E
proprio mentre lo serviva, la lunga veste che
indossava si spostò rivelando il suo piede:
calzava una pantofola di seta turchina lavorata in
oro e in argento.
Il giovane la fissò incredulo. Sembrava
identica a quelle in suo possesso. Cercò con
lo sguardo l'altro piede. La lunga veste lo
nascondeva.
Avrebbe voluto chiederle di mostrarglielo, ma
la timidezza lo bloccò e, seppure con
maggior fatica, riprese a mangiare.
La donna non staccava gli occhi da lui e gli
mesceva il liquore. Lui ricambiava inutilmente lo
sguardo. Avrebbe voluto fare mille domande, ma una
forza inconscia lo tratteneva e taceva.
Le beduine portarono via i piatti vuoti e la
misteriosa ospite gli porse una ciotola di acqua
tiepida con dentro petali di rosa perché si
lavasse le dita. Ora che cosa sarebbe successo?
Gli avrebbero portato il conto e invitato ad andar
via? E la pantofola?
Non seppe mai da dove trasse il coraggio per
estrarre dalle tasche le due pantofole. Le pose
davanti alla sconosciuta, la cui risata
risuonò squillante, confondendolo.
«Ebbene?», chiese la donna misteriosa.
Lui rimise la sua pantofola in tasca e con un
atto quasi eroico chiese: «Mi mostreresti
l'altro piede?».
La donna ora non rideva più. Con grazia
scostò la veste e mostrò il piede
nudo. Lui prese con delicatezza la pantofola
davanti a sé e gliela calzò.
Copyright © 1994