Sono tornati! Quasi non riesco a crederci, dopo
tanto tempo... eppure no, non mi posso sbagliare.
È vero, ormai sono vecchia, i miei occhi sono un
po' offuscati, ma le ombre che ho visto passare
non mi sono familiari. Sono ottanta anni che vivo
qui, in questo posto così solitario. E pensare che
tanti anni fa le case intorno erano tutte abitate,
la gente veniva qui dalla città per ritrovare la
pace. Già, la pace. Insomma, quando avevo
vent'anni, li vidi arrivare per la prima volta al
palazzotto (anche se mia madre mi diceva che lei
li aveva già visti trent'anni prima). A dire il
vero, ci furono mormorii e pettegolezzi in paese:
devo ammettere che i tre uomini avevano un che di
insolito, ma le tre donne! I pochi che riuscirono
a vederle... oh Dio, vederle si fa per dire:
portavano un cappello con veletta e una mantella,
ma la cosa più strana è che erano tutte incinte!
Entrarono in casa e non si videro mai uscire; gli
uomini, invece, giravano qua e là, ma la gente li
sentiva... come dire, troppo estranei e cercava di
evitarli.
Insomma, per farla breve, la notte dal 23 al 24
giugno 1934 me la ricordo come se fosse adesso:
urla e gemiti al palazzotto, poi strilli infantili
e infine un pianto di donna lungo, disperato.
All'alba, ripartirono in otto: avevano due fagotti
urlanti in più, ma dov'era il terzo? Eppure,
nessuna più aveva il pancione. In paese, qualche
coraggioso ci fu che cercò di entrare nella casa
per risolvere il mistero, ma questa era
assolutamente impenetrabile.
Si andò poi avanti per parecchio tempo a
parlarne, ma venne la guerra, ci furono morti e
distruzioni anche qui, e la faccenda fu
dimenticata. Io mi sposai nel '45, mio marito
aveva un po’ di terra e rimanemmo in paese. Un
anno dopo nacque il maschietto, poi le due
gemelle. Orami, molte case erano disabitate e,
sempre più, sembrava gravare sul posto una sorta
di tristezza.
Si avvicinava la fine di giugno, io e mio
marito eravamo soli sotto il portico a goderci il
fresco; che volete, era fatale, era inevitabile
andare con il pensiero alle cose passate. Alzando
gli occhi e guardando il palazzotto, avevo aperto
la bocca per dirgli: «Ti ricordi di quando...», ma
la bocca rimase aperta per la sorpresa; seguendo
il mio sguardo stralunato, mio marito girò lo
sguardo e anche lui vide una grande macchina nera
che si avvicinava al portale del palazzotto.
Allora, ci nascondemmo cautamente dietro le
foglie. Non saprei dire perché lo facemmo, ma
l'istinto ci suggeriva di non attirare in alcun
modo la loro attenzione. Giunta al portale, la
macchina nera si fermò e ne scesero prima due
uomini che stranamente, malgrado il caldo,
portavano un lungo soprabito e il cappello; poi,
aperte le portiere posteriori, aiutarono a
scendere due donne. Dio, se avevano bisogno di
aiuto! Erano ambedue appesantite da una avanzata
gravidanza. Camminando faticosamente, entrarono in
casa, sempre sorrette dai compagni.
Ma chi aveva loro aperto la porta? Io non avevo
visto entrare nessun altro, neanche il giorno
prima. E poi era tutta chiusa, silenziosa... e
poi... e poi... Basta, alla fine ci decidemmo a
rientrare in casa, ma in quanto a dormire, quello
era un altro discorso. E perché questo, e perché
quello, e perché anche le donne portavano un
cappello che nascondeva loro quasi completamente
la faccia? E perché avevano abiti che le coprivano
dal collo ai piedi? Era chiaro che non volevano
essere riconosciute, ma perché?
Alla fine mi addormentai con il mal di testa,
che purtroppo continuò ininterrottamente nei
giorni seguenti. Alla casa tutto era silenzio. Una
notte che il mal di testa era peggiore del solito,
mi alzai dal letto per fare due passi in giardino.
Caspita, la casa aveva una finestra illuminata e
si sentivano delle voci. Tornai di corsa in casa
per svegliare mio marito, ma russava così
saporitamente che non ebbi il coraggio di
svegliarlo. Eh, la curiosità ebbe il sopravvento
sulla prudenza e sul buon senso: piano piano mi
avvicinai al palazzotto, ma la finestra era troppo
alta per me. Raccolti allora alcune pietre, che si
trovavano lì accanto, ne feci un mucchio, vi salii
e guardai dentro.
Non so bene cosa mi aspettassi, ma quello che
vidi mi lasciò di stucco: le due donne erano
distese ognuna su un lettino, avevano le doglie e
si lamentavano. Ma la figura vicino a loro attirò
la mia attenzione in modo particolare: era questa
una donna alta, vestita di bianco; era sulla
trentina, ma i lisci e lunghi capelli erano
bianchissimi e quando alzò lo sguardo vidi che
anche gli occhi erano bianchi, eppure profondi ed
espressivi. Si muoveva con maestà e grazia, come
una sacerdotessa che esegue un rito. Ero
spaventata, ma anche affascinata. I due uomini,
che si trovavano invece più scostati, portavano
dei mantelli rossi con il cappuccio.
Finalmente (e permettetemi di sorvolare i
particolari) nacque il primo bambino. Gli uomini
lo porsero alla donna dai capelli bianchi, ma ella
lo guardò e scosse il capo. Vidi che era una
femminuccia, perfettamente formata. Allora la
bimba fu resti-tuita alla madre che se la strinse
al seno con veemenza, come se temesse potessero
portargliela via. La tensione cresceva. in attesa
del secondo. Finalmente, un vagito annunciò la
nascita: era un'altra bambina. Anche questa fu
porta alla donna dai capelli bianchi che la
guardò, poi la prese e la innalzò. Non c’era gioia
nel suo sguardo, ma solo la consapevolezza di un
dovere per lei forse triste e tragico...
Stavo forse per conoscere il mistero della
casa? Morivo di curiosità, ma anche di paura. E
proprio la paura mi fece fare un movimento brusco,
le pietre si mossero e io mi ritrovai con un piede
incastrato, ferito e dolorante. Ero paralizzata di
terrore al pensiero che dentro avessero sentito,
ma per fortuna in quel momento il temporale, che
minacciava da qualche ora, scoppiò con un tale
fragore di tuoni che avrebbe coperto qualsiasi
altro rumore. Ma ormai, la pioggia battente mi
impediva di rimanere e così, bagnata fradicia,
tornai in casa mia. Mi cambiai al buio per non
svegliare mio marito: non so perché, ma qualcosa
mi diceva di tacere. Era illogico, irrazionale,
tutto quello che volete, ma non parlai. E nemmeno
il giorno seguente, quando mi accorsi che il
palazzotto era nuovamente chiuso.
Ripensai molte volte alla infinita malinconia
nello sguardo della donna dai capelli bianchi, e
ogni volta mi sentivo in qualche modo partecipe
del suo dolore. Ero sicura che nulla di male era
stato fatto alla bambina, ma che forse l'aspettava
uno strano destino.
Io ripresi la mia vita tranquilla. Le case
vuote nel paese aumentavano di giorno in giorno. I
miei figli tornarono dall'università, poi ebbero
delle ottime proposte di lavoro all'estero e se ne
andarono, prima l'uno e poi le altre. Ci
scrivevamo frequentemente e, quando potevano,
venivano a trovarci. Due si sposarono ed ebbero a
loro volta dei figli. Io e mio marito andammo una
volta a casa loro, ma vivevano tanto lontano; noi
invecchiavamo, non avevamo grandi possibilità
economiche e così, alla fine, non ci allontanammo
più dal paese. Nel 1988 mi marito si ammalò e
morì. Fu una durissima perdita. Quando, dopo i
funerali, i miei figli e le loro famiglie se ne
andarono, la mia solitudine mi spaventò. Fui quasi
tentata di andare a vivere in Germania con la
figlia non sposata, ma sapevo che sarebbe stato
uno sbaglio. Io ero sempre vissuta in questi
luoghi, li amavo, conoscevo ogni strada, ogni
sentiero, ogni albero. La mia casa era piena di
ricordi. La finestra di fronte alla quale mi
sedevo per leggere o per cucire valeva per me come
una compagna. E poi, il gatto che faceva le fusa,
il cane quasi cieco che dormicchiava tutto il
giorno... Insomma, rimasi. E anche se vi sembra
strano, pensavo ancora alla misteriosa donna e mi
sembrava che, in qualche modo, mi fosse vicina.
Ormai la mia vita è calma e lenta, in armonia
con la natura che scandisce il nascere e il
tramonto del sole, il ritmo delle stagioni, il
bello e il cattivo tempo.
Ero qui alla mia finestra prediletta quando li
vidi arrivare. Due. Questa volta erano solo due.
Un uomo e una donna... incinta. Anche stavolta
bastò girare la maniglia per aprire la porta.
Anche stavolta l'uomo aiutò la donna affaticata e
sofferente. Entrarono. Sarete proprio sorpresi
quando vi dirò che eravamo verso la fine di
giugno? E che erano passati esattamente trenta
anni da quando avevo visto la donna dai capelli
bianchi? E altri trent'anni da quando l'arrivo di
tre uomini e tre donne fece scalpore in paese? E
mia madre, allora, mi disse che già lei,
trent'anni prima, li aveva visti...
Allora, cosa avveniva al palazzotto ogni
trent'anni? E perché uno dei neonati non
ripartiva?
La curiosità e l'agitazione scossero il torpore
sonnolento della vecchiaia. Il sangue tornò a
scorrermi fluidamente nelle vene. Non sentivo più
i miei ottant'anni. Cercai di calmarmi, di
dormire. Niente. Alla fine, decisi che avrei
risolto il mistero una volta per tutte: quindi,
avrei dormito di giorno e passato la notte in
osservazione, certa che avrei visto, prima o poi,
illuminarsi di nuovo una finestra.
Piove. Piove ininterrottamente da due giorni, e io sto vivendo in uno stato di semi-incoscienza a causa della mancanza di un buon sonno notturno ristoratore. Per di più, cerco di tenere d'occhio la casa misteriosa anche di giorno, perlomeno quando posso. E come se non bastasse, mi è tornato un gran mal di testa.
Toh! È uscito il sole, finalmente. Basta, vado,
esco. Ho terribilmente bisogno di un po' d'aria.
Ci metterò un attimo a vestirmi, tanto non credo
che incontrerò nessuno.
Ci voleva proprio una passeggiata, mi sento rinascere. Tutto sembra diverso, più bello, più profumato, più dolce... Ma ora forse mi sto allontanando troppo, è meglio che torni a casa. Oh no, si è rimesso a piovere, così arriverò bagnata fradicia. Devo assolutamente trovare un riparo... Ecco, la chiesa; la chiesa è proprio qui a due passi.
Oggi è giovedì 20 luglio. È passato un mese da
quando ebbero inizio gli strani avvenimenti che ho
raccontato. Ora sono calma, ma per tutto il tempo
che mi resta da vivere non sarò mai più la donna
di prima. Credo che nessuno potrebbe esserlo, dopo
aver visto e sentito ciò che ho visto e sentito
io. Ma non mi dispiace di questo, anzi. Io sono
sempre stata una donna molto concreta, realistica,
e per niente incline al mistero. Quello che
contava, per me, erano solo la realtà quotidiana,
la salute e il lato economico. Credetemi, c'è ben
altro. Purtroppo io non ho potuto studiare molto,
per cui non posso che raccontarvi come si svolsero
i fatti; le conclusioni, traetele voi. Anzi, se
qualcuno troverà in questo una conferma alle sue
esperienze personali o alle sue teorie, ne sarò
contenta. Io ho varcato la soglia di un mondo che
non è ai confini, ma oltre la realtà. Ora non ho
più paura della solitudine e della morte, so che
il mio spirito non si dissolverà con il mio corpo.
Ora so che l'uomo, che tutti gli uomini sono
attesi in un luogo di pace, di armonia e di amore:
la cosa più difficile è proprio trovare la strada
per questo luogo...
Dunque, ritorniamo a quel pomeriggio in cui mi
rifugiai in chiesa per via dell'acquazzone.
All'interno c'erano solo due o tre persone e il
prete. Mi sentivo a disagio, ma poco a poco mi
rilassai. Mi tornarono in mente le preghiere che
mi avevano insegnato da bambina, e così mi
trattenni più di quanto avevo previsto. Fu quando
il prete si alzò che mi venne un'idea: avevo
sentito dire che esisteva un archivio storico
relativo agli abitanti del paese. Quindi perché
non provare a cercare le tracce degli antichi
proprietari del palazzotto? Mi accostai al parroco
e gli spiegai quello che avevo in mente. Con mia
sorpresa, si dimostrò subito disponibile, e mi
invitò ad entrare in sacrestia. Ero un po'
intimidita, ma lui riuscì a mettermi talmente a
mio agio che decisi di raccontargli tutto. Mi
ascoltò quasi senza interrompermi e si può dire
che alla fine era quasi più curioso di me. Ci
tuffammo tra le pagine di registri sempre più
antichi, ma non trovavamo assolutamente nulla.
Eravamo completamente scoraggiati quando giunse la
sera, e devo ammettere che fu solo grazie alla sua
costanza che trovammo la traccia. Era una
registrazione di duecento anni fa che attestava la
proprietà del palazzotto alla famiglia... In un
foglio a parte, si specificava che erano state
utilizzate le fondamenta di un'antica costruzione
in pietra di cui non si conosceva l'origine.
Scoprimmo poi che le tracce della famiglia... si
perdevano una novantina di anni fa, con la morte
dell'ultimo proprietario.
S'era fatto molto tardi, non avevamo ancora
cenato ed eravamo terribilmente stanchi. Per di
più, io ero un po' sconvolta da quello che avevo
appreso: il mio cognome era il medesimo dei
proprietari della casa. Cosa voleva dire? Non
avevo mai pensato alle origini remote della mia
famiglia, ma ora la cosa assumeva tutt'altro
aspetto. Avevo bisogno di pensare, di riflettere,
di restare sola; ringraziai il prete per la sua
gentilezza e per il suo interessamento, gli
promisi che sarei senz'altro tornata e me ne
andai. Ormai era buio pesto, ma non me ne
preoccupavo per niente. Feci male, perché immersa
com'ero nei miei pensieri, non feci caso ad una
buca nella strada, inciampai e mi ritrovai a
terra. Mentre cercavo, con grandi difficoltà, di
rialzarmi, venne in mio soccorso una donna che
avevo già intravisto qualche volta da lontano. Fu
molto gentile e mi invitò ad entrare in casa sua a
rinfrancarmi un po'. Accettai molto riconoscente.
Mi disse che mi conosceva e che sapeva dove
abitavo. Lì per lì non ci feci caso, ma più
parlava e più mi incuriosiva. Fui anche molto
stupita nell'accorgermi che i capelli bianchi e
gli occhiali un po' scuri mi avevano ingannata:
infatti, il suo viso era piuttosto giovanile e
credo avesse parecchi anni meno di me. Il suo modo
di muoversi era molto armonioso e man mano che
continuava a parlare mi sentivo avvolgere da
un'atmosfera di sogno. Non era certamente una
donna comune, e mi stupiva molto che vivesse in un
piccolo paese come il mio. Piano piano, quasi
senza rendermene conto, affiorò alla mia mente il
ricordo della donna dai capelli bianchi che avevo
visto quella famosa notte di trent'anni prima.
Come se avesse letto nei miei pensieri, in quel
momento si tolse gli occhiali: non posso dire come
rimasi quando vidi che aveva gli occhi bianchi!
Era lei, non c'era dubbio! La donna sorrise e mi
prese le mani in un gesto di amicizia. Io tremavo,
ma lei mi disse: «Non devi avere paura, io ti sono
amica».
«Ma io mi sento in colpa verso di te, quella
notte ho spiato dalla finestra e ho visto quello
che forse nessuno avrebbe dovuto vedere».
«Io lo sapevo, ma ti è stato permesso».
Rimasi allibita. Avrei voluto fare un sacco di
domande, ma mi uscì solo uno strozzato: «Perché?».
«Perché tu appartieni alla famiglia a cui
dobbiamo molta riconoscenza».
«Non capisco».
«Ascolta. Più di duemila anni fa, questa terra
era abitata dai Salassi, un fiero popolo che lottò
strenuamente contro i romani invasori. La prima
grande battaglia fu vinta sì dai Salassi, ma i
romani non demordevano, li perseguitavano
continuamente. Piano piano, furono costretti a
cercare luoghi sempre più sicuri, sia per poter
vivere che per organizzarsi per la probabile
prossima battaglia. Infatti, erano consapevoli che
la vendetta romana non avrebbe tardato. Scavarono
rifugi sottoterra, per potervisi rifugiare in caso
di pericolo. Sai che quello che chiami il
palazzotto fu eretto sulle fondamenta di un
edificio in pietra: quello era l'ingresso di una
serie di gallerie e di caverne sotterranee.
All'inizio era una miniera d'oro, ma fu poi resa
confortevole e adatta alla vita di parecchia
gente. Furono portati viveri e armi, con la
speranza di poter resistere ad un lungo assedio.
«Vivevano ancora abbastanza serenamente
all'aria aperta, quando un giorno arrivò un
manipolo di soldati romani. Per fortuna non
avevano intenzioni particolarmente bellicose, e si
stanziarono poco distante da qui. Il centurione
che li comandava si chiamava Magus: era un
bell'uomo sulla trentina, che quando non era di
servizio girovagava per i boschi e i prati, in
cerca di piante ed erbe strane.
«Dopo qualche giorno, fu chiaro che i soldati
non avrebbero dato fastidio a nessuno, a meno di
non esserne costretti. Piano piano i Salassi, pur
con circospezione, dapprima ripresero le loro
occupazioni normali all'aria aperta, poi decisero
di celebrare ugualmente i loro riti, a cui per
tradizione e per religione non potevano
rinunciare. Per il solstizio d'estate, sopra
un'altura vennero accesi dei grandi falò sistemati
in circolo, in modo da racchiudere all'interno di
esso l'ara su cui la sacerdotessa avrebbe
officiato il rito delle offerte propiziatorie.
All'esterno del cerchio di fuoco, stava tutto il
popolo in raccoglimento. La sacerdotessa arrivò,
seguita da quattro fanciulle che rappresentavano
le stagioni, entrò nel cerchio di fuoco e si
assise sull'ara. Ella rappresentava la Grande
Madre Terra e una fanciulla, la primavera, la
ricoprì di fiori; l'estate donò spighe di grano e
l'autunno foglie e frutti. L'inverno portava in
braccio un agnello per simboleggiare il bianco
della neve e il sacrificio degli animali che ci
nutrono.
«Il rito venne accompagnato da un bellissimo e
gioioso canto, intonato da tutto il popolo. I
soldati romani assistevano di nascosto,
meravigliati. Magus ne fu colpito in modo
particolare: la sua sensazione venne ingigantita
dal fascino misterioso che esercitava su di lui la
sacerdotessa. Prima che finisse la cerimonia, si
accorse di amarla, e che questo amore sarebbe
durato per sempre. Poi la sacerdotessa, che si
chiamava Cordelia, si alzò, sollevò al cielo i
doni e cantò, nel silenzio della notte. La sua
voce era la voce stessa della Terra, della Natura,
del Cielo. Il popolo era prostrato in preghiera. I
romani, commossi loro malgrado, fecero ritorno
alle loro tende, ma Magus no. Magus avanzò fino al
sentiero dove sarebbe passata Cordelia, e attese.
Quando ella arrivò, si inchinò, poi la guardò
negli occhi. Rimase stupefatto al vedere che erano
bianchi, e non riuscì a pronunciare una parola. Ma
ella disse:
«“Non temere, romano, io posso vedere ciò che
tu vedi, ma leggo anche dentro di te. Io conosco
la sincerità del tuo animo e mi addolora il fatto
che siamo nemici. Noi non siamo barbari, ma la
nostra civiltà è diversa dalla vostra. Voi potete
prendere con la forza le nostre terre e le nostre
ricchezze, ma sappi che non ci renderete mai
schiavi”.
«“Ascolta, donna sublime - rispose Magus - io
non sono più tuo nemico. Tu per me rappresenti la
Terra, la Vita... e l'Amore. Perché ti amo,
Cordelia, e ti amerò per sempre”.
«“Anch'io ti amo, Magus, ma sappi che l'amore
non mi è consentito. Non solo perché sei romano,
ma perché io non posso appartenere a nessuno, mai.
Il castigo sarebbe terribile, perché le leggi del
mio popolo sono severe. Io sono stata prescelta
come sacerdotessa di un'antica religione in cui
credo, in cui tutti crediamo. Se io tradissi,
attirerei sul mio popolo l'ira della Dea. Addio”.
«Magus, disperato, si coprì il volto con le
mani. Quando si riprese, la donna era scomparsa.
«Passarono i giorni e Magus era sempre alla
ricerca di Cordelia, ma non la vide mai. Non
sapeva nemmeno dove vivesse. Una notte che
girovagava per il bosco, fu attirato da un tenue
suono verso una strana apertura della montagna. Il
passaggio era stretto, ma dopo pochi metri si
allargava. Incuriosito, Magus avanzò: dopo una
svolta, si ritrovò in un grande locale,
confortevole e caldo. Tre pareti erano ricoperte
di stuoie variamente dipinte. Sul pavimento erano
poste, come tappeti, grandi pelli di vari animali.
La parete più lontana, invece, era ricoperta di
maschere d'oro, meravigliosamente cesellata e
tutte diverse. Sotto la parete stessa, il
pavimento era invece ricoperto da un grande
tappeto di pelli di pecora, morbido e caldo, e sul
tappeto era distesa, addormentata, Cordelia. Magus
si avvicinò tremando, guardandola con adorazione
ma senza osare di toccarla. Non voleva svegliarla,
ma un sospiro gli sfuggì e la donna aprì gli occhi
e lo vide. Non fu stupita. Disse solo: “Sapevo che
saresti venuto”.
«E l'amore fu più forte delle leggi, dell'onore
e delle religioni... Ma l'ira della Dea fu
tremenda. Apparve loro prima che facesse giorno e
disse: “Tu, romano, hai tradito la tua patria e
hai sedotto una sacerdotessa. Meriti la morte. Ma
tu, Cordelia, hai tradito tutto il tuo popolo,
perché per colpa tua esso sarà distrutto e
cancellato dalla faccia della terra. Molti saranno
uccisi e molti sceglieranno di morire di propria
mano. Di loro non si saprà più nulla e invano, nei
secoli, si cercheranno le loro tracce”.
«La disperazione dei due infelici era immensa,
ma le preghiere e le suppliche riuscirono a
impietosire un poco la Dea. “Poiché avete tradito
per amore, la punizione non sarà eterna. Tu,
Magus, berrai questa pozione che ti farà vivere
giovane per moltissimo tempo. Ma sarai infelice.
Ella berrà la medesima pozione, ma cadrà in un
sonno simile alla morte. Ogni trent'anni, il tuo
supplizio si ripeterà, perché una donna
perfettamente simile a lei si presenterà a te.
L'amore solamente ti permetterà di porre fine a
questa maledizione: dovrai scoprire ogni volta se
la donna sarà Veramente Cordelia. Se sbaglierai,
sappi che ella morrà. Se indovinerai, potrai
attendere ancora che ritorni a te. Potranno
passare centinaia di anni, ma se l'ami veramente,
sarai perdonato. E tu, Cordelia, sappi che se un
giorno ti sveglierai, sarai l'unica rappresentante
di un popolo scomparso. Forse il fato era in
attesa, e tu sei stata solo il suo strumento”.
«Dette queste parole, la Dea porse loro la
pozione; Cordelia bevve con gli occhi chiusi,
pallidissima ma con fermezza: non dimenticava di
essere stata una sacerdotessa; questo castigo
significava sofferenza, ma anche purificazione e
speranza. Poco dopo, il capo stava già reclinando.
Magus la prese tra le braccia e la tenne stretta,
fino a che non diede più segni di vita. Allora
bevve. La Dea prese la donna e, come se non avesse
peso, la portò via con sé, dicendo a lui: “Io sola
avrò cura di te”.
«Di Magus e Cordelia, nessuno seppe più nulla».
Ero commossa, e tra le lacrime le chiesi:
«Saranno veramente perdonati?».
«Questa notte, la vera Cordelia si sveglierà.
Sinora, Magus non ha mai sbagliato».
«Dove si trova?».
«Nella sala sotterranea».
«E se indovinerà, cosa riserverà loro il
futuro?».
«Una vita d'amore».
«Ma si sentiranno persi, non conoscono nulla
del mondo attuale».
«Magus è un uomo intelligente, in tutto questo
tempo ha studiato. Gli sono stati portati molti
libri. Sarà felice di insegnare a Cordelia tutto
quello che ha imparato».
«Ma dove vivranno?».
«Nella tua casa, se tu lo permetterai; quella
che tu chiami il palazzotto».
«La mia casa?».
«Sì, tu sei la discendente della famiglia...;
l'ultimo proprietario, come te sapeva tutto e
lasciò scritto che la casa non fosse venduta per
nessun motivo. Ma ora tu sei la proprietaria e
spetta a te decidere».
«Ne sarò felice».
«Ti ringrazio, a nome di tutti».
«Chi, tutti!».
«Tutti coloro che hanno contribuito a far sì
che questa maledizione abbia una fine. Quelli che
tu vedesti arrivare alla casa e poi andare via.
Sono, anzi siamo, gli ultimi discendenti dei
Salassi».
«Ma le bambine?».
«Sapevamo che ogni trent'anni si sarebbe
verificata la nascita della sosia di Cordelia, ma
non sapevamo chi sarebbe stata la madre; così,
venivano tutte a partorire qui. Ed erano sempre
meno. La bambina veniva allevata dalla donna che
era stata presentata per ultima poi, terminato il
suo compito, era libera di andarsene o di restare.
Ora andiamo, il destino sta per compiersi».
Uscimmo nella notte. Finalmente, misi piede per
la prima volta nella casa misteriosa; scendemmo
gli scalini che portavano al sotterraneo ed
arrivammo in una stanza non molto grande. Lì era
adagiata la vera Cordelia. La mia compagna le si
avvicinò, pronunciò strane parole e Cordelia aprì
gli occhi. L'aiutò poi ad alzarsi e le fece bere
un liquido profumato, che restituì un po' di
colore alle gote pallidissime. Era spaventata e
tremante: sapeva che era giunta la grande prova.
Ci avviammo verso la sala dove si trovava Magus
in attesa. Al nostro ingresso, egli guardò
Cordelia e gli parve, questa volta, di
riconoscerla. Non ancora sicuro, si inginocchiò e
le disse: «Donna sublime...». Allora, negli occhi
di lei spuntò una lacrima. Finalmente non ebbe più
dubbi: era lei. La prese tra le braccia, senza
parlare. La maledizione era stata vinta. La dea
aveva perdonato.
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