Gina si lasciò cadere pesantemente sulla panchina
fredda e dura. Lanciò ancora una rapida occhiata
fino in fondo alla banchina per vedere se le era
sfuggito qualche passeggero ma ormai, ne era
certa, erano scesi tutti. Non rimaneva che qualche
addetto ai lavori.
Non era arrivato nemmeno con quel treno!
Sentì un dolore lancinante al petto, un dolore
antico. Respirò profondamente inalando quel sapore
ferroso, così familiare, di treni in attesa, di
binari muti, di disinfettanti acri.
Eppure prima o poi sarebbe sicuramente arrivato.
Gliel'aveva promesso e lui manteneva sempre le
promesse fatte.
Aveva cominciato ad aspettarlo di buon mattino,
stavolta sentiva che sarebbe arrivato presto. Era
andata al binario dove stava per sopraggiungere il
primo treno e si era seduta lì, sul sedile di
cemento, con la testa ancora piena del colore
della notte.
Non s'era neppure strigliata un po' i capelli e,
se lui fosse arrivato, quella - forse - non
sarebbe stata una grande accoglienza. Chissà cosa
avrebbe pensato di lei!
«Gina, Gina, non ti pettini più ora? Ma come ti
combini? Non ce l'hai un pettine ed uno
specchio?...» avrebbe potuto dire. Ma forse...
poi... l'avrebbe perdonata vedendo la sua grande
gioia e capendo ch'era stata l'ansia di essere lì
per tempo, ad accoglierlo, che l'aveva indotta a
quella piccola trascuratezza.
Gina fu scossa improvvisamente dal fischio acuto
di un treno in arrivo e dallo spostamento d'aria
delle carrozze. Il cigolio dei freni e lo
sfregamento delle ruote sulle rotaie le fecero
venire la solita pelle d'oca e sentì un brivido
correrle lungo la schiena. Era sempre così, non
riusciva ad abituarcisi. E adesso?
Adesso che non era più presa dall'onda dei propri
pensieri sentiva un dolore acuto, lancinante
proprio alla bocca dello stomaco che le ricordava
che non aveva ancora mangiato nulla.
Eh! La fretta per quell'attesa l'aveva rintronata
e non s'era ancora organizzata bene la giornata.
Frugò nella borsa di plastica per vedere se le era
rimasto qualche pezzetto di pane da trangugiare -
non voleva perder tempo per andare alla ricerca di
qualcosa al bar della stazione, e se nel frattempo
fosse arrivato? - ma non vi trovò nulla di
commestibile.
Sentì proprio in quel momento la voce metallica
dell'altoparlante che annunciava l'arrivo di un
altro treno in un altro binario e s'affrettò a
raccattare tutti i suoi pacchetti per spostarsi
sul binario giusto.
Ormai le gambe s'erano tutte gonfiate e s'erano
appesantite per l'estenuante attesa e le dovette
trascinare con fatica giù delle scale, lungo il
sottopassaggio e ancora su, verso la luce del
nuovo binario, della banchina.
Tutte uguali quelle banchine, grigie, squallide,
piene di attese, di addii... talvolta, sul
marciapiede, si depositava l'odore della
separazione, del dolore, del per sempre, dal mai
più...
Stavolta, se la sentiva, era la volta giusta!
Sarebbe arrivato. Quante volte se l'era ripetuto
dall'alba, tante che ora si sentiva quasi confusa,
come fosse un pensiero irreale. Ma il cuore le
batteva forte forte in petto, come ogni volta che
stava per sopraggiungere un treno e già cominciava
ad aguzzare gli occhi per intravvedere il muso di
quel treno che le riportava il suo amore.
L'attesa portava sempre, come un'onda in arrivo,
quello stato d'ansia, quella sospensione di
pensiero, quel gusto per l'ignoto, l'imprevisto. E
intanto si increspavano nella sua mente schiume di
immagini, memorie, sentimenti... che, ad ogni
disillusione, ricadevano con fragore, come l'onda
nella rena, e si portavano via schegge d'anima.
Non poteva controllare quello sciabordio continuo,
eliminarlo dalla sua testa, dal suo cuore; come
d'altronde fermare l'ondeggiare del mare?
Ancora sentì il dolore acuto allo stomaco ma
ricacciò con fastidio quella sensazione. Per
mangiare avrebbe avuto tempo poi, più tardi. Anzi!
Avrebbe mangiato assieme a lui, con grande
piacere. Ah sì! Era una festa guardarlo mangiare.
Non alzava mai gli occhi dal cibo, non staccava un
attimo l'andirivieni della posata dal piatto alla
bocca finché tutto non fosse stato consumato.
Bocca grande, decisa, quasi sempre allegra. Denti
bianchi, forti, capaci di sgranocchiare qualsiasi
cibaria.
«Mangia, mangia Gina, non perderti a guardarmi,
che tutto si raffredda!» le diceva e intanto con
il braccio libero circondava il piatto quasi a
difenderne il contenuto da qualche predatore in
agguato. Sì, sembrava un felino, quando mangiava,
tanto che accompagnava il cibo con una mossa buffa
della lingua per prendere il boccone prima che
arrivasse alla bocca. L'aveva notato solo in lui,
quel modo strano di mangiare, e nei gatti. Per
questo, quando vedeva un gatto, gli lanciava
sempre un pezzettino di pane per vederlo mangiare.
Il treno sbuffando e ringhiando s'era fermato e
stava già vomitando sulla banchina il suo carico
di passeggeri variopinti. Tutti frettolosi, con le
loro storie da portare chissà dove, chissà
perché...
Gina li scrutava ad uno ad uno cercando di
scorgere in loro qualche gesto conosciuto, qualche
particolare familiare. Era timida perciò li
guardava sempre di traverso, mai direttamente,
sbirciandoli da sotto in su e lasciandosi
trasportare dalle sensazioni.
Quello lì, in fondo, sì, quello che camminava a
gambe strette tenendo la valigetta con la mano a
pugno chiuso e col braccio teso contro il corpo
per tenere saldo il giornale sotto il braccio, era
certamente un bancario sicuro di sé, già stressato
prima di cominciare il suo lavoro, tetro, come il
suo ufficio. Quell'altro col vestito un po'
strapazzato e la barba maltagliata era il
pendolare di turno, operaio in qualche fabbrica
del circondario, arrabbiato col mondo ma
soprattutto col tempo-treno rubato al tempo-sonno
della sua vita. Sogni sempre spezzati, lasciati a
metà, in parte ripresi col sottofondo dello
sferragliare del treno, in un anonimo
scompartimento.
Alla stazione s'aveva sempre quella forte
sensazione della presenza del tempo; nessuno
sembrava avere tempo da perdere ma tutti erano
alla ricerca spasmodica della giusta scansione,
chi avrebbe voluto accelerarlo, chi rallentarlo,
chi addirittura fermarlo.
Non guardava molto le donne, Gina, solo una rapida
sbirciatina, giusto perché lei non era lì senza
una ragione, lei aveva un'attesa importante da
gestire e lo scopo selezionava lo sguardo.
Alla vista d'un'ombra vaga, ondeggiante in un
certo modo, da lontano, sentì velocizzarsi il
battito del cuore in petto. «Oddio, era lui, sì,
quel modo di camminare, un po' molleggiato, sulle
punte, come quello dei bambini che stanno
imparando a camminare, quel modo di tenere la mano
in tasca, strapazzando l'angolo della giacca,
quella particolare inclinazione a sinistra della
testa, come se i pensieri pesassero tutti da
quella parte del cervello...».
Gina si sentì quasi mancare... e adesso?
Improvvisamente si vedeva, come in uno specchio,
riflessa in tutte le sue sbavature. Capelli
spettinati, vestiti strapazzati, disordinati,
calze smagliate, gambe gonfie, occhi acquosi...
quant'era che non si metteva un po' di rossetto?
Avrebbe voluto improvvisamente possedere una
gomma-cancella-rughe, ma non sapeva se l'avevano
nel frattempo inventata e messa in commercio. Non
era pronta - se ne rendeva conto solo ora - per
accoglierlo. Che stupida! tutto quel tempo
d'attesa e non s'era preparata mentalmente per
l'evento. E forse non era sicura nemmeno di saper
piangere.
I pensieri si accavallavano nella sua testa,
confondendosi con le emozioni e i sentimenti che
tutti insieme spingevano per uscire e tutti dalla
stessa parte. Gioia, dolore, rimpianto, rabbia...
Ah! la rabbia. Forse non le avrebbe nemmeno
permesso di spiccicare qualche parola.
Cercò di schiarirsi la gola e provò qualche
vocale... Niente! Le uscì solo un rantolo e due
tre parole senza senso scappate fuori da chissà
dove. Intanto la sagoma si avvicinava - le sembrò
sempre più minacciosamente - e lei cominciò ad
agitarsi sulla panchina ancor più dura e fredda.
Con gesti stereotipati, cominciò a spostare i
sacchetti da una parte all'altra del sedile, per
evitare di guardare in quella direzione, quasi a
mascherarsi, per non farsi scorgere. Poi,
d'improvviso, quando l'uomo le passò proprio
davanti quasi sfiorandola, la tensione cadde di
colpo.
Non era lui! Ma certo, non poteva esserlo! Come,
come aveva potuto sbagliarsi in quel modo così
grossolano? Non aveva nemmeno la sua altezza, lui
era robusto, molto, molto di più di quel
bitorzolo!
La donna lasciò cadere pesantemente il suo corpo,
come sgonfiato, sulla panchina. Si sentiva quasi
risollevata nello spirito. L'agitazione, come
d'incanto, era scomparsa ma le rimaneva un senso
di vuoto incombente che la disorientava. Adesso
sarebbe ricominciato tutto daccapo, in un altro
binario, ma sentiva che non avrebbe potuto
sopportare un'altra scarica di adrenalina come
quella. Inoltre, le fitte per la fame si facevano
sempre più acute, perciò decise di darsi una
tregua e di andare a rifocillarsi un po'.
Dopotutto, il prossimo treno non sarebbe arrivato
prima di una buona mezz'ora.
Raccattò meticolosamente i sacchetti, si tirò un
po' su la calza che s'era raggrinzita sulla gamba,
e si lisciò la gonna. Si alzò stancamente e,
trascinando i piedi come fossero ancorati a
qualche grosso macigno, si avviò verso il bar
della stazione.
La barista, una donna ben piantata, mora, con i
capelli ricci e la cuffietta sempre di sghimbescio
in testa, faccia larga e simpatica, era una di
quelle donne nate per prendersi cura in
continuazione di qualcuno. Quando la vide arrivare
le fece un largo sorriso.
«Allora Gina, l'hai visto? Non è ancora arrivato
oggi? Sei in ritardo, pensavo che non saresti più
venuta... ti hanno lasciata dormire in pace
stanotte, o ti hanno cacciata fuori dalla sala
d'attesa? Guarda che gliel'ho detto io, che ieri
sera sarebbe stato freddo e che non avrebbero
potuto farti una carognata come quella. Dimmi,
bella, vuoi una brioche?» e allungò la mano
attraverso il banco porgendole quel pezzetto di
dolce profumato e morbido.
Gina rispose con un sorriso sdentato pieno di
riconoscenza e, senza rispondere, tanto, le
domande e le risposte, tra loro, erano come un
rito, scontate, senza feed-back, prese la brioche
e se la ficcò quasi tutta in bocca, come a
chiudere la fame che mordeva dentro, da qualche
parte.
Ci voleva quel ristoro, dopo tutte le emozioni
della mattinata! E la delusione - sì anche quella
aveva un peso - andava in qualche modo
gratificata.
Scosse la testa come a dire, niente, niente
ancora, per ora, non è arrivato! Arriverà, c'è
ancora tempo, la giornata è lunga, e poi c'è
anche... domani, dopodomani, doman l'altro...
tutta la vita che rimane, ancora...
Una, due parole le scivolarono dalla bocca,
inattese, senza un filo di senso che legasse il
contenuto dell'una con l'altra... poi si scosse e
rizzò la testa ad ascoltare... L'altoparlante
annunciava l'arrivo di un treno.
Gina s'affrettò. Raccolse i sacchetti, che aveva
depositato per terra, tutto il suo mondo, lanciò
un'occhiata di traverso, riconoscente, alla
barista e s'allontanò di fretta.
Sì, se lo sentiva, sarebbe sicuramente arrivato
con quel treno...
Copyright © 1999