Premio Editoriale Penna d'Autore - Narrativa
A MILLE ALL'ORA


di Katia Barcella

Guardandosi allo specchio Elisa non poté nascondere un sorriso raggiante. Era felice. Erano trascorse soltanto poche ore da quando aveva varcato per l'ultima volta il portone del suo vecchio liceo per correre a vedere, con il cuore in gola, i risultati dell'esame di maturità, eppure le sembrava che fosse trascorso un secolo: già non si sentiva più la scolaretta di pochi giorni prima ma una donna ansiosa di affrontare la vita. La scuola era terminata, ora l'attendeva il mondo. Il futuro non la spaventava. Non la spaventava il pensiero di dover cercare un lavoro, senza alcuna esperienza, costruirsi una posizione, trovare un appartamento ad un affitto decente. La vita le sembrava come un'autostrada, larga e dritta, e lei era decisa a percorrerla a mille all'ora, come una folle corsa. Forse già dall'indomani si sarebbe accorta degli ostacoli che l'attendevano, dei problemi che avrebbe dovuto affrontare, ma in quel momento voleva soltanto godersi quella bellissima serata.
Passò una mano sul vestito di raso nero, come per sentire se era tutto vero. Aveva sempre sognato di possedere un abito così: la stoffa lucida faceva risaltare la sua pelle chiara, la gonna le lasciava scoperte le gambe fin sopra il ginocchio, la scollatura le abbracciava morbidamente il seno. Chissà quanto aveva dovuto lavorare sua madre per comprarle quel vestito! Si capiva lontano un miglio che non aveva nulla a che vedere con le bancarelle del mercato, con le pile disordinate di stracci dalle quali proveniva tutto il suo guardaroba. Si sentiva bella, anche se aveva soltanto un filo di trucco, anche se i lunghi capelli, legati in uno chignon, proprio non ne volevano sapere di restarsene fermi come lei li aveva messi e qualche riccio ribelle le ricadeva sulla fronte. Tentò con scarso successo di risistemare qualche ciuffo ma ben presto si arrese e, dopo aver dato un'ultima occhiata compiacente allo specchio, uscì dal bagno e tornò nell'ampia sala affollata di gente. Era la prima volta che aveva il permesso di rimanere fuori fino a notte inoltrata e per di più non aveva mai messo piede in una discoteca, tranne, è vero, qualche pomeriggio, con le sue amiche, quando aveva sì e no quindici anni. Ma stavolta era diverso. La gente, la musica, le luci, i colori. Tutto era nuovo e affascinante. E poi c'era Roul.
Cercò a fatica di farsi largo tra la folla in movimento, per raggiungere il tavolino dove l'attendevano gli altri. Roul era lì ed Elisa non poté non fare a meno di fermarsi a guardarlo. Era decisamente bello, o quantomeno affascinante. Alto, bruno, con i grandi occhi scuri e un corpo plasmato da anni di palestra; era il tipo di ragazzo che quando entra in un gruppo fa strage di cuori. Un po' poeta, un po' filosofo. Per mesi, per anni, lo aveva sognato, ammirato come una divinità impossibile da raggiungere. Quella sera, invece, forse per effetto del vestito nuovo, Roul, approfittando di un momento in cui tutti i loro amici si erano allontanati per gettarsi in pista, l'aveva baciata. Era stato un bacio lungo e dolcissimo che le aveva fatto battere forte il cuore e tremare le gambe. Non si erano detti una parola. Gli occhi erano sufficienti a comunicare sensazioni indicibili. E a quel primo bacio ne era seguito un altro e poi un altro e un altro ancora... finché la musica si era interrotta e i loro amici erano tornati ai tavoli, rompendo l'atmosfera magica di quel momento. Stordita dal torrente di emozioni che l'aveva sommersa, Elisa si era rifugiata in bagno, per riordinare i pensieri e prendere coscienza che non si era trattato soltanto di un sogno. Sapeva che quella storia non avrebbe mai potuto avere seguito. Roul era fatto così. Passava da una ragazza all'altra, assaporando le effimere sensazioni che potevano dargli, amandole tutte un po' ma non tanto da sacrificare per una di loro la propria libertà. Lei era una delle tante, speciale per lo spazio di una sera. Sapeva che l'indomani tutto sarebbe ritornato come prima. Ma perché non vivere quelle emozioni? Perché sottrarsi ad un attimo di felicità in nome di falsi pudori? Meglio vivere di rimpianti o di rimorsi?
Quando lo raggiunse, lui le passò una mano intorno alla vita, stringendola a sé. La sua presa forte e sicura cancellò dalla sua mente ogni dubbio ed Elisa si lasciò trasportare dalle sensazioni che l'avvolgevano come un morbido velo. Le sembrava di vivere in una favola. Roul era il principe azzurro.
* * *
Da chi era partita quella proposta? Mentre si avviava verso il guardaroba per prendere la sua borsa Elisa già non lo ricordava più. In ogni caso la decisione era stata presa all'unanimità e già tutti raccoglievano le loro cose per lasciare il caldo soffocante del locale e dirigersi verso il parcheggio. Le dispiaceva un po' andare via ma tutto sommato l'idea di fare un giro in centro e mangiare un cornetto caldo non era poi così male. Tanto ormai la discoteca si stava svuotando e le poche persone che rimanevano sulla pista si muovevano come burattini guidati da una mano stanca. Magari poi avrebbero potuto andare al mare a vedere sorgere il sole. Già sentiva la sabbia carezzarle il corpo mentre, con lo sguardo rivolto all'orizzonte, attendeva l'alba in silenzio.
Quando uscì dal locale, una folata di vento la investì, facendola rabbrividire. Nel cielo le stelle splendevano, carezzando ogni cosa con una luce soffusa. Ma non c'era la luna. Il chiarore argenteo degli astri faceva apparire tutto in una dimensione particolare, ovattato, lontano, irraggiungibile. Non molto distante, un uccello, forse una civetta, cantava al cielo una nenia, una melodia un po' triste, che la riportava all'infanzia, alle lunghe estati trascorse in campagna dai nonni. Fu Roul a riscuoterla dai suoi pensieri, prendendola per mano e trascinandola verso una delle tre macchine dove ormai si erano sistemati quasi tutti gli altri ragazzi. L'auto di Mattia era già piena, così come quella di Giorgio; entrarono dunque sul sedile posteriore della Fiat Uno di Francesco, proprio mentre Giada, la solita ritardataria, arrivava di corsa. Elisa non aveva molta simpatia per Giada, la classica figlia di papà che crede di essere al centro dell'universo: parlava troppo e pensava poco, al contrario di lei che di solito era fin troppo riflessiva. Ma ormai i motori erano già in moto, doveva rassegnarsi a condividere la poco allettante compagnia. Poco male. Avrebbe rivolto tutta la sua attenzione a Roul, ignorando le noiose chiacchiere che provenivano dal sedile anteriore. Si strinse a lui, mentre le macchine sfrecciavano sul raccordo che conduceva al cuore della città.
Non c'era quasi nessuno a quell'ora di notte e le quattro corsie larghe e deserte invitavano certamente a premere un po' di più il piede sull'acceleratore... ma quel grido... «Vediamo chi arriva primo!»... da dov'era venuto? Non era riuscita a riconoscere la voce ma Francesco già aveva raccolto la sfida. Elisa non avrebbe mai creduto che quella vecchia macchina potesse andare così veloce. Guardò fuori dal vetro; il mondo scorreva come una macchina indistinta, come un film proiettato male. Quel gioco non la eccitava per niente. L'aria che entrava dal finestrino aperto le sferzava il viso, togliendole il respiro. Si accorse di avere paura. La lancetta del contachilometri continuava a salire. Sembrava di essere a mille all'ora... che senso aveva quella folle corsa? La macchina sbandò mentre superava un tir e solo a fatica Francesco riuscì a tenerla in carreggiata. Rallenta ti prego. Invece no, dopo un attimo di esitazione la velocità aumentò di nuovo. Adesso erano primi... ma dov'era il maledetto traguardo? Fino a quando dovevano continuare quella stupida gara? La macchina sbandò di nuovo. Era come un proiettile impazzito. Elisa si strinse ancor di più a Roul e chiuse gli occhi.
Voleva essere al mare. Voleva sentire la sabbia carezzarle il corpo. Voleva veder sorgere il sole. Voleva...
 

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