Mi accorsi in quel momento che mia madre stava parlando e le prestai attenzione. Stava dicendo che, da quando ero andata ad abitare da sola, sentiva molto la mia mancanza e che era contenta quando poteva passare un po' di tempo con me. Mi fece sorridere il pensiero che abitavo ad appena cinque chilometri da lei ed ero sua ospite fissa, a pranzo, ogni domenica. Capivo comunque che non era la stessa cosa di prima, per lei.
Guardai l'orologio e mi accorsi di averlo fatto già più volte, senza mai aver visto realmente l'ora. Era un po' sciocco protrarre le abitudini frenetiche della settimana lavorativa in quel giorno di tranquillità.
Chiesi a mia madre se aveva in mente qualcosa per il pomeriggio, e la mia domanda le fece ricordare, ad un tratto, il motivo per il quale era venuta a cercarmi.
Disse che lei e mio padre avevano preso dal ripostiglio una scatola di vecchie foto, e mi chiese se volevo aiutarli a riordinarle.
Accettai con entusiasmo, poiché mi trovavo nello stato d'animo adatto per immergermi nei ricordi.
Mi diressi in cucina, e trovai mio padre già «al lavoro». Stava cercando di mettere in ordine cronologico le varie fotografie, ragionando sulle persone o sui luoghi nei quali erano state scattate, sui vestiti e sulle pettinature, sulla presenza di un animaletto domestico ormai morto, o di una stanza nella quale i mobili erano stati cambiati o spostati da tempo.
Mi misi a sedere alla sua destra, mentre mia madre si accomodò al lato opposto.
Mi accorsi subito, che oltre allo scatolone di cui mi aveva parlato, sul tavolo c'erano anche delle grosse buste di cartone. Incuriosita, le aprii, e vi trovai degli ingrandimenti di dimensioni 30x40 in bianco e nero.
Capii che doveva trattarsi delle foto che mio padre aveva fatto, negli anni 70, per partecipare ad alcuni concorsi fotografarci. La fotografia era stata una delle sue grandi passioni, e mia madre mi aveva raccontato che in quel periodo la casa era diventata una specie di studio fotografico e la cucina un'improvvisata camera oscura, all'occorrenza.
Tra le varie singolari immagini che mi capitarono tra le mani, molte delle quali erano state stampate più volte, forse per cercare la giusta luminosità, ne vidi una bellissima, che avevo già avuto occasione di vedere molti anni prima quando, piccola e curiosa, avevo rovistato nell'armadio di papà.
Era la foto di un barbone; girovagava nel nostro quartiere, quando mio padre l'aveva immortalato con il suo cortese consenso. Aveva un'età di certo superiore ai quarant'anni, ma difficile da stabilire con certezza. I suoi capelli e la sua barba, entrambi lunghi e grigi, le rughe profonde che gli solcavano la fronte, potevano forse farlo apparire più vecchio di quanto non fosse in realtà ed essere invece l'inevitabile conseguenza di un'esistenza difficile.
Ricordo che, quando ero bambina, credevo che quell'uomo con gli abiti stracciati e lo sguardo intenso fosse Gesù. In effetti, adesso, potrei affermare che i suoi lineamenti non sono così diversi da quelli del Cristo rappresentato nelle opere degli artisti.
Chiesi a mio padre il permesso di prendere una copia della foto che riprendeva in primo piano il volto del mendicante. Arrivata a casa, la misi in una cornice e la appoggiai sul ripiano più alto della libreria del salotto. è rimasta sempre lì, da quel giorno.
Ancora oggi, ogni volta che guardo l'immagine di quell'uomo sconosciuto, mi chiedo come possa essere stata la sua vita, chi fosse e se la saggezza che il suo volto esprimeva fosse veramente presente in lui.
Vorrei potergli dire che il suo sguardo confortante mi ha accompagnata durante molti momenti di riflessione e di dolce solitudine.
Chissà se lo farebbe felice sapere di essere stato così importante per qualcuno che non ha neanche mai conosciuto. Ogni tanto cerco di immaginare quei brevi istanti in cui egli è stato un protagonista, davanti all'obiettivo; lo vedo mettersi in posa, mentre mio padre mette a fuoco la sua immagine. Il breve istante di qualche CLIC, poi tutto è tornato come prima, per lui...
È quasi ora di uscire.
Mi siedo sul bordo del letto e mi accendo una sigaretta.
Ho ancora un po' di tempo.
Pensare... pensare... trovare la giusta concentrazione.
Ho studiato tutto alla perfezione... Alle otto lei esce di casa per recarsi al lavoro. Si sveglia alle sette. è sempre di fretta a quell'ora, lo so perché la osservo da molti giorni. Aprirà la porta senza riflettere. Entrerò in casa con una scusa, o con la forza, se sarà necessario.
E poi...
Ho già visto questa scena mille volte nella mia testa, mille volte. Sarà tutto perfetto.
Perfetto.
Sì, questa volta deve essere davvero l'ultima. Sono già molto più vecchio della media... quelli come me, raramente riescono a sfuggire alla legge così a lungo... Sono stato fortunato... e abile...
Non so... non so se riuscirò a smettere. Ogni volta il desiderio in me aumenta, ogni volta divento più audace... il gioco si fa sempre più pericoloso.
Ho già commesso qualche errore. Due delle mie vittime sono rimaste in vita il tempo sufficiente a dare una mia descrizione alla polizia.
Ma hanno descritto due uomini diversi...
Nessuno ha mai collegato i delitti.
Nessuno mi può catturare. Sono troppo furbo...
Sono le sei e mezzo. è ora di uscire. Sono eccitato all'idea di vederla.
E c c i t a t o.
Dovrò nascondere la macchina... nasconderla in un posto non troppo lontano dalla casa. Magari nel boschetto, da dove la spiavo...
Attraverso la strada. Mentre cammino, il vestito di stracci che ho addosso mi sfiora le caviglie. Il coltello è nascosto lì sotto. Arrivo all'ingresso della casa. Alzo il pugno per bussare.
La porta si apre. Non ho ancora bussato e la porta si apre. Il marito. è il marito. Non è possibile. Lavora sempre di notte. Di solito arriva quando lei esce. Avrebbe dovuto trovare lui il suo cadavere...
Mi guarda. Cerco di dire qualcosa, ma sono come impietrito.
Chiama la moglie. Le chiede di portare qualche spicciolo e un po' di pane. Il mio travestimento è «bruciato». Non interpreto mai due volte lo stesso personaggio.
Prendo il pane e il soldi. Sto per allontanarmi, ma lui mi ferma. Mi chiede un favore.
Vuole farmi qualche foto...
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