Premio Editoriale Penna d'Autore - Narrativa
MESSA FUNEBRE
di Paolo Santoni
A quell'ora il paese intero ormai dormiva. Così pensava il giovane prete di D., un piccolo comune dell'interno della Sardegna cui la povertà e la desolazione andavano strappando i ragazzi che migravano al nord o all'estero. Era rimasto unico parroco da circa un anno, dopo la morte dell'anziano predecessore, ma già da tre viveva lì a D.
Solo e furtivo scalpicciava lentamente per non farsi sentire dal sagrestano che dormiva nella stanza appena sopra la sagrestia sempre pronto ad accorrere al minimo rumore sospetto. Così ogni passo gli trasmetteva lungo tutto il corpo un alito di freddo timore. Con movimenti misurati aveva preso con sé i parametri da messa, in aggiunta la stola violetta del lutto, e si incamminava verso l'altare strascicando i piedi, proprio come l'anziano parroco morto ottuagenario l'anno prima, lui che di anni ne aveva appena ventisette.
La chiesa era piccola e fredda, i muri antichi imbiancati e resi asciutti dalla calce recente, qualche dipinto di scarso valore abbelliva le cappelle laterali illuminate da mille ceri ormai vicini a estinguersi. La chiesa era infatti immersa nella vasta oscurità delle sue navate, con i soli lumini e le candele rimasti a significare uno spazio definito; il giovane parroco d'altronde non avrebbe mai corso il rischio di accendere un'altra luce. In quel buio vedeva già abbastanza, protetto come da una coltre sicura dagli sguardi degli infami e dei maligni, proprio come da bambino: il buio non lo aveva mai temuto. Contando gradino per gradino riuscì ad arrivare fin sotto il crocifisso dell'altare, vicino al quale ardeva il grande cero di Cristo; poté percorrere dal basso verso l'alto con lo sguardo il corpo magro di Gesù, le tibie segnate dalle vene esauste, le ginocchia livide, i fianchi sottili e sterili e le ferite asciutte del torace. La testa giaceva abbandonata su una spalla e dal basso concedeva alla vista il volto del morente, soprattutto gli occhi socchiusi che conservavano però la traccia fuggente dello sguardo e nella penombra quasi parevano vivi. Alla vista di quegli occhi il sacerdote trasalì, fu sul punto di scappare, ma non lo fece.
Introibo ad altare dei...
Si voltò. D'istinto i suoi occhi vagarono nello spazio di fronte a sé, ma, invece di incontrare volti in attesa, trovarono una distesa scura, si riusciva a intravederli, di banchi vuoti; lo colpì anche il silenzio freddo e privo di qualunque respiro. Nonostante l'assurdità di quell'atto gli risultasse chiara iniziò comunque. Recitò sottovoce le parole latine della messa esattamente come se di fronte avesse la folla dei fedeli, incapaci perlopiù di comprendere, ma attenti a ogni sillaba che la memoria dettava al loro prete.
Credo in unum deum, omni potentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium, et invisibilium omnium...
E intanto pensava a sua madre invecchiata e severa, sola nella sua grande casa senza più nemmeno le visite che lui le faceva ogni primo lunedì del mese; i suoi tre fratelli vivevano ormai lontano dalla Sardegna. Gli venne fatto di pensare alla stranezza delle circostanze, degli atti ciechi che l'avevano portato a quella notte cieca, a quel momento uguale a tanti che di tanti altri momenti era la soluzione, l'epilogo. Sua madre avrebbe potuto capire? Che lo venisse a sapere da estranei, che lo accomunasse ad altri nel medesimo giudizio: questo lo addolorava, insieme ai discorsi, gli ultimi per fortuna, compassionevoli e maligni degli abitanti del paese.
... et unam sanctam catholicam et apostolicam Eccelsiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi saeculi, amen...
La sua donna. Invano cercava di tenere lontano questo pensiero dalla mente nel pronunciare le formule della liturgia. L'esercizio meccanico della memoria gli alleviava soltanto in parte la certezza della vergogna, e soprattutto quella della propria infinita viltà. Lei aveva in grembo suo figlio, concepito come a certificare la sua follia e la sua debolezza di fronte a tutto il paese e a sua madre. In realtà le malelingue già da tempo sospettavano: alcuni credevano di averlo riconosciuto nell'oscurità attraversare il paese verso la casa di Candida, però non ne avevano ancora la certezza. Lui usciva di tanto in tanto, di notte, e sempre a ore diverse. Pensò che forse adesso avrebbero finalmente avuto la sicurezza tanto cercata.
Confiteor Deo omnipotenti, et vobis, fratres, quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere et omissione: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Ricordava anche quell'istante, fuori di sé, le mani di Candida sugli occhi quasi volesse nascondergli il proprio corpo che rispondeva e si annientava nel suo. Non l'aveva certo ingannato – lui non l'avrebbe pensato nemmeno per un momento – perché lo amava davvero, se correva con lui quel rischio. Ricordava bene di averla stretta in un lungo abbraccio mentre in sé nasceva la certezza del dolore comune, lo stesso amore colpevole del primo uomo. Per un curioso gioco di associazioni, gli tornò in mente il giorno in cui aveva preso i voti, disteso sul pavimento freddo della cattedrale di Cagliari. Anche allora le mani sugli occhi gli impedivano di vedere.
Dalla Bibbia lesse alla luce del grande cero un passo da Giobbe.
«... Potranno sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, ma l'uomo che giace più non s'alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal suo sonno. O se tu volessi nascondermi nella tomba, finché sarà passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me...».
Lo lesse in italiano per capire meglio ciò che diceva, l'aveva tradotto lui stesso perché amava quel passo. Come Giobbe anche lui avrebbe voluto scomparire alla vista di tutti, anche a quella di Dio.
La sua messa solitaria proseguiva lenta, più lenta del solito perché ogni formula era accompagnata da un silenzioso pensiero. Avrebbe voluto dormire, da tanto non lo faceva se non per brevi tratti dopo i quali non sentiva alcun sollievo. Da ragazzo riusciva ad attendere l'alba prima di addormentarsi, lasciava che i rumori notturni della casa o della strada si facessero sempre più tenui e insieme più misteriosi, come se ognuno di essi portasse l'eco di un evento inconcepibile alla sua mente e la colmasse di un senso di incombente tragedia. Così almeno ricordava quella sensazione, che per paradosso lo rasserenava fino ad assopirlo.
... Domine Fili unigenite, Iesu Christe, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris, qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram. Qui sedes ad Dexteram Patris, miserere nobis.
Poteva ignorare il bambino e lasciare che tutti indovinassero, senza dir niente. Candida gli aveva già proposto di allevarlo lei, di affrontare da sola il compito di partorire un figlio di nessuno e crescerlo nel disprezzo. Oppure potevano andare via, partire insieme, lui avrebbe svestito gli abiti da prete, chiesto la dispensa dai voti...
Poteva, ma, pensava durante il Pater Noster, non a causa delle malelingue, del vescovo, nemmeno a causa di sua madre si sarebbe ucciso. Era la consapevolezza di aver mancato per sempre, di essersi macchiato di una colpa che non tollerava alcuna espiazione, né l'amore, né la pietà di nessuno, nemmeno di Candida. Nemmeno il proprio rimorso.
... et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo. Amen...
Giunse il momento dell'Eucarestia. Prese il ciborio dal tabernacolo, bagnò l'ostia nel vino, la consacrò e la mangiò. Il corpo di Cristo, un altro suicida, disse e pensò.
Per un momento il giovane si sentì tranquillo. Aveva convissuto sei mesi con quel segreto senza mai confessarlo a nessuno, e per sei mesi si era comunicato di fronte ai fedeli come per finta. Ogni domenica recitava il formulario dell'Eucarestia, ma sapeva, o sperava, che quegli atti compiuti da un sacerdote indegno quale era non valessero niente, almeno per sé. Per i fedeli era indifferente, non capivano nemmeno i termini e in ogni caso secondo la dottrina il sacramento non poteva essere annullato da un ministro corrotto.
Per sei mesi aveva dunque mangiato del pane insipido e bevuto vino scadente, ma quella notte fu diverso perché a quell'ultima particola teneva davvero. La Chiesa non l'avrebbe mai perdonato, lo sapeva, e quella messa era l'estrema infrazione fra le tante che aveva già compiuto. Non ce la faceva ad accettare l'idea, lui così vile, di morire senza un funerale, senza un'ultima benedizione. Non poteva accettare l'idea che fossero gli uomini ad allontanarlo per sempre da Dio e a negargli il diritto a chiedere perdono, anche se quel diritto sapeva di non poterlo più esercitare.
Ite missa est.
Arrivato alla fine del rito scese dall'altare, si inginocchiò di fronte al transetto, e stando così per un paio di minuti si bagnò con l'aspersorio. Era la forma di benedizione riservata alla cassa dei morti, doveva compiersi senza la musica dell'organo e senza altre parole che quelle della benedizione.
... in nomine Patri et Filii et Spiritus Sancti. Requiescat in pace. Amen.
Si alzò e corse nella sagrestia ancora umido d'acqua santa. Svestì i parametri e la tonaca per rimanere in pantaloni e camicia, abito che normalmente non gli era consentito. In fretta e furia per approfittare delle poche ore di luce che la notte ancora gli riservava uscì dalla chiesa quella volta meno timoroso del solito. Scelse come sempre le vie più buie e gli angoli meno battuti, attraversò perfino un tratto in discesa tra la vegetazione incolta e il fogliame, per arrivare alla casa di Candida, ma quella notte si sentiva indifferente al pericolo di incontrare un vecchio ubriaco o un pastore mattiniero.
Come d'accordo lei lo aspettava sveglia, dietro la porta laterale di una grande casa isolata all'entrata del paese. I vecchi genitori dormivano sul lato che dava sulla strada e non potevano accorgersi di nulla. Candida lo sentiva arrivare ogni volta anche se il passo del prete era lieve e il suo respiro impercettibile. Aprì la porta e con la stessa leggerezza di lui gli corse incontro e lo baciò. Restarono in silenzio per un minuto, durante il quale lui poté contemplare quel viso felice in cui già indovinava nella penombra di un quarto di luna le venature della tristezza che l'aspettava.
Le parlò come se niente fosse, le chiese del bambino, come si sentiva, se qualcuno avesse capito qualcosa. Lei rispose di no, che nessuno poteva ancora capire e che stava bene. Lui la baciò ancora e la strinse forte a sé per un istante non pensava più a ciò che sarebbe stato di lei e, come ormai accadeva di rado, si sentiva sollevato da tante ansie. Quasi senza accorgersi iniziò a pronunciare le parole della cerimonia nuziale in articulo mortis. La ragazza rise nel sentire quelle strane formule latine, pensò a uno scherzo, né capì di che si trattasse.
Lui infine le chiese allontanandosi un po': «Candida vorresti sposarmi?».
Sulle prime lei non lo prese sul serio, lo strinse di nuovo a sé e tentò di baciarlo, senza riuscirvi perché il giovane sacerdote freddo e serio ripeté la domanda.
«Davvero: vuoi sposarmi?».
«Certo certo, Matteo» rispose lei.
«Sì o no?».
«Sì certo, lo voglio. Ci sposeremo un giorno, vedrai, staremo sempre insieme e nessuno potrà parlare mai di noi, di nostro figlio».
Matteo non disse più nulla, le baciò la fronte e nell'oscurità le rivolse un saluto che somigliava a una benedizione.
«è tardi. Devo andare adesso, scusami». E si allontanò facendo forza a se stesso per lasciarla lì sola e per sempre. Lei lo guardò risalire la collina di querce da sughero, riprendere la strada per la chiesa e svanire infine fra le ombre mentre un soffio di vento più fresco annunciava la prossima luce dell'alba. Tornò in casa con un presentimento che già le appesantiva il cuore.
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