Aveva sempre avuto una profonda ammirazione per lo scopritore di Troia e Micene. Ammirava la sua tenacia, la volontà di riuscire che l'aveva portato a studiare ed imparare numerose lingue e dialetti per potere seguire, in prima persona, ogni traccia che potesse portarlo a coronare il suo sogno. Aveva letto tutto ciò che era stato scritto su di lui.
Spostò il fascio di luce sulle pareti e vide delle torce. Ne prese una e l'accese usando l'accendino che aveva, con le altre cose, nel marsupio.
Una luce calda illuminò tutta la sala e le figure, dipinte sulle pareti, sembrarono animarsi per l'effetto della luce che le accarezzava mettendole più o meno in evidenza, secondo l'ondeggiare della fiamma della torcia.
«È di una bellezza struggente...».
Sospirò ammirando la figura ora in piena luce, accese altre torce per averne di più. Una grande emozione le inumidiva gli occhi. Iniziò, guardandosi intorno, a sfiorare, a toccare con delicatezza i vari oggetti che si trovavano ancora, nel medesimo ordine e posto, dove millenni prima mani sconosciute li avevano deposti.
Vide che, sulla parete di fondo della stanza, c'era un'altra porta. Prima di tentare d'aprirla decise di decifrare alcune iscrizioni che, tra straordinarie figure dai colori ancora accesi, pazienti mani avevano tracciato.
«Forse scoprirò a chi appartiene questa tomba».
Prese dal suo marsupio un piccolo blocco e una matita, ed iniziò il paziente lavoro di traduzione:
«Fui uno che coltivò il grano e amò il dio delle messi;
Il Nilo mi salutava ed ogni valle;
Nel mio regno nessuno era affamato, nessuno assetato;
Gli uomini vivevano in pace per quello che io facevo; e parlavano di me».
«Sicuramente si tratta di un Faraone ma non ho ancora identificato il suo nome».
Continuò a leggere e tradurre altre iscrizioni; sembravano un elenco di consigli lasciati dal defunto al figlio, il futuro Faraone.
«Dai pane a chi non ha campi
E creati una buona fama per sempre
Ara i campi che riterrai necessari,
e trai il pane dal grano battuto sulla tua aia.
è meglio uno staio datoti da Dio
che cinquemila ottenuti ingiustamente;
è meglio la povertà nella mano di Dio
Che la ricchezza nel magazzino;
meglio un pezzo di pane col cuore contento
che le ricchezze nell'infelicità...».
«Quanta saggezza! Deve essere stato un grande Faraone, un uomo di pace, ma chi era? Quanto c'è ancora da scoprire su questo meraviglioso popolo...».
Decise di spostarsi nell'altra stanza. Prese una torcia e si avvicinò alla porta ma non poté fare a meno di leggere l'iscrizione che troneggiava su di essa:
«Solo il passo leggero della mia amata Nitocris
potrà svegliarmi dal mio sonno.
Quando lei tornerà a me
passeggeremo nel giardino
che ho riempito di fiori e di tutte le dolci erbe odorose
e la sua mano riposerà nella mia
con la mente ed il cuore gioioso
perché passeggiamo ancora insieme.
Non turbare il mio silenzio
perché attendo d'udire la sua voce
e la mia vita tornerà nell'ascoltarla».
«Strano... anche questa non ha i sigilli...».
La porta si spalancò dietro una lieve pressione della mano. La stanza, come la precedente, aveva tutte le pareti affrescate. In quello centrale vi era raffigurata una stupenda fanciulla che sulle rive di un fiume si toglieva i sandali forse per entrare in acque a fare il bagno, e sotto un'iscrizione che si affrettò a decifrare attratta dalla bellezza del disegno.
«Sembra lo stesso viso della fanciulla dell'altra sala, quel viso che mi ha spaventata».
Iniziò a tradurre e si meravigliò per la facilità con la quale riusciva a decifrare quei segni.
«L'amore della mia amata corre sulla riva del ruscello.
Un coccodrillo si nasconde nell'ombra.
Tuttavia io scendo nell'acqua e il mio coraggio si leva sulla corrente, e l'acqua è come terra per i miei piedi.
Il suo amore mi rende forte Ma il coccodrillo per magia la strappa al mio cuore».
In un altro dipinto si vedeva un Falco Pellegrino, con fra gli artigli un sandalo, volare verso il Faraone che, armato di lancia, sembrava camminare sull'acqua del fiume.
«Ma io la conosco questa storia – esclamò a voce alta – certo è un'antica favola Egizia, quella della bellissima Nitocris, l'antenata di Cenerentola».
L'antica leggenda è quella di Nitocris, la bella moglie del Faraone. Un mago, pazzo d'amore per lei, con un incantesimo la fa rapire, mentre si bagna nel Nilo, da un coccodrillo per trasformarla in un magnifico fiore. Il Falco Pellegrino sacro al Dio Horus, protettore del Faraone, vede tutto e afferrato uno dei sandali della fanciulla lo porta al Faraone che scopre l'inganno. Il suo struggente dolore impietosisce Horus. Il dio sentenzia che l'incantesimo cesserà se Nitocris, nel suo peregrinare, di vita in vita, sarebbe un giorno tornata a riprendersi il suo sandalo. Se l'avesse trovato, rompendo l'incantesimo, avrebbe potuto ricongiungersi con il suo sposo in eterno. Una commovente storia d'amore.
«Allora quella antica favola ha un fondamento di verità? Mi sto muovendo nel regno del fantastico, dove tutto è possibile».
Non aveva più la cognizione del tempo, ma non voleva guardare l'orologio per verificare quante ore fossero passate dal momento del suo ingresso nella tomba.
Si sentiva eccitata e confusa nello stesso tempo. Aveva il viso arrossato e gli occhi accesi. Andò verso il centro della sala dove c'era un grande sarcofago.
Sistemò la torcia su un treppiede d'oro accanto al sarcofago. Sul sarcofago c'era un cuscino d'oro e, appoggiato sul cuscino, un sandalo. Lo prese con mano tremante reggendolo con delicatezza per osservarlo.
«Questo sì che è un amore che sfida il tempo... ha conservato il suo sandalo...».
Avvicinò il sandalo alla fonte di luce per osservarlo meglio.
«Ma... questo sandalo... è... moderno! Ma come può essere? Questo sandalo... questo sandalo... è il mio, è mio!».
Urlò sentendosi raggelare.
«Sì! è il mio, lo riconosco dai disegni che io stessa ho fatto con lo smalto delle unghie a Parigi. è il sandalo che ho preso a...».
Il suo urlo non aveva niente d'umano. Si precipitò verso l'uscita che trovò sbarrata. Lo stretto passaggio era ostruito da detriti. Iniziò a scavare con le mani, che presto iniziarono a sanguinare. Si fermò solo quando udì un grande frastuono e vide nel fondo del corridoio formarsi una nebbia che lentamente avanzava illuminata da una spettrale luce di colore verde pallido.
Si stirò emettendo una specie di muggito.
«Basta! Per oggi ho scritto anche troppo. Ora ho bisogno di bere qualcosa di fresco. Continuerò domani, se ne avrò voglia, tanto di lì Nitocris non scappa» sorrise quasi sadicamente.
Chiuse il piccolo computer portatile dopo aver salvato quanto aveva scritto, come gli avevano insegnato e raccomandato di fare, e si diresse verso la cucina.
«Un buon bicchiere di vodka-tonic non me lo leva neanche il Faraone», tornò a sorridere mentre armeggiava intorno al frigorifero.
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