Gran Premio Letterario Europeo Penna d'Autore - SECONDO PREMIO ASSOLUTO
IL SENSO DELLA VITA
Giuseppina Ranalli
Quando lavoro all’uncinetto mi sento bene, mi piace vedere
come riesco a creare delle cose con un gomitolo di cotone e un pezzo di ferro
uncinato. Le mie figlie e le mie nuore apprezzano molto i centrini a forma di
farfalla che so fare, per non parlare delle presine, delle gallinelle e dei
personaggi del presepe.
Sì, mi fa piacere essere utile, mi gratifica l’apprezzamento dei miei figli. Da
quando sono rimasta vedova non sento altro scopo. Vivo sola da molti anni ormai,
dovrei essere abituata, eppure i ricordi mi tormentano. Ho vissuto per la mia
famiglia, sono stata una donna fortunata perché ho conosciuto l’amore vero, mi
sono messa contro genitori e parenti per questo amore, e ho fatto bene, la vita
mi ha premiata. Però tutti questi ricordi felici oggi mi tormentano. Ho anche
vissuto la miseria sapete, la paura della guerra, la fame, ma la grandezza di
quell’amore ha offuscato i momenti difficili e mi ricordo solo le cose belle.
Non pensavo che sarebbero state motivo di dolore.
Lui mi manca moltissimo. Non credo ci sia qualcosa dopo la morte. Sono sola. Sia
chiaro, non riuscirei a vivere a casa di una delle mie figlie, di questi tempi è
già così difficile tenerla unita la famiglia, che la presenza di un genitore mi
sembra "di troppo" non lo dico tanto per dire, io ho convissuto per molti anni
con mio suocero, invalido, e l’ho assistito, ma oggi ho le mie abitudini che
sono certamente diverse da quelle di qualcun altro, e fortunatamente sono
autonoma. Quando sono rimasta vedova stavano con me giorno e notte le mie
figlie, per non lasciarmi sola, ma dopo circa un mese ho rimandato tutti a casa.
Tornate dalle vostre famiglie, la vita continua, e stare qui due mesi, tre, un
anno, non servirebbe a far tornare papà, mentre voi avete figli e mariti che vi
aspettano.
Ah, lo so! Nessuno avrebbe pensato che mi sarei rimboccata le maniche e che
avrei vissuto in questa casa da sola. Se l’ho fatto, se ci sono riuscita, è per
loro, e loro non lo sanno.
Inutile che ci raccontiamo bugie, se vivo è solo perché il cuore regge, ma non
ha più senso questo esistere, la perdita di mio marito mi ha svuotata. I nipoti
sono stati una grande gioia, e i pronipoti anche, ma il tempo passa e anche se
vivo, se esisto, è come se per la famiglia che si estende io appartenessi già al
passato. Ho nipoti che non si ricordano neanche di farmi gli auguri a Natale, o
che quando passano vicino a casa non pensano di suonarmi il campanello per farmi
un saluto. La vita li ha rapiti, sono schiavi del tempo e forse sono troppo
grandi per ascoltare quello che dicono i genitori. Io penso a tutti, non li
posso abbracciare ma dalla mia pensioncina metto da parte i soldi per la
promozione dei pronipoti, i compleanni dei nipoti, e lavoro all’uncinetto... e
purtroppo penso. Oggi i giovani si lamentano che perdono la memoria, la vorrei
io quella grazia, invece la mia memoria è forte e mi tormenta, perché mentre
lavoro rivedo la mia casa brulicare di gente che amo e sento profumi appetitosi
venire dalla cucina (oggi non cucino neanche più, mi basta poco per saziarmi).
Però è proprio vero che sono una vecchia lunatica: soffro di nostalgia e quando
viene a trovarmi mia figlia che vive lontano, o mia nipote con la sua famiglia
per fermarsi qui da me qualche giorno, dopo un po’ mi sento soffocare e rivorrei
il mio spazio, la mia casa, la mia solitudine. Eppure io le amo infinitamente.
Non solo, quando ci sono loro dormo bene. Anche questa è una cosa che non ho mai
voluto ammettere, ma ho sempre avuto paura della notte, è come se di notte mi
sentissi particolarmente vulnerabile..., e dormo pochissimo. Così lavoro
all’uncinetto, ma la vista mi sta tradendo e le mani mi dolgono se tengo
l’uncinetto in mano a lungo.
Diavolo! Ma qual è il senso della vita?
Gioco con le carte. Faccio dei solitari che mi fanno trascorrere un po’ di tempo
serenamente. Qualche volta esco a passeggio con un’amica di vecchia data.
Lo riconoscerei Simone se lo incontrassi? Quanto tempo è passato, quanti anni
sono che non lo vedo? I ragazzi oggi crescono così tanto e così in fretta...
Poi improvvisamente, senza una vera ragione, anche mio figlio si allontana.
Neanche una telefonata settimanale per chiedermi come sto.
Forse il problema sono io, eppure non ho mai chiesto niente, l’amore non si
chiede. Allora avrò dato troppo poco, e questo è quello che mi merito. La mia
mente ricorda: non ho dato poco. Non volevo credere alle storie dei vecchi
abbandonati. Era impensabile per me dimenticare un genitore, i miei li ho
assistiti fino alla fine, anche se mi sentivo sacrificata e l’ho fatto e lo
rifarei. Ma erano altri tempi. Oggi ci si dimentica delle persone.
Mi sono vista allo specchio: sono una vecchia. Fino a qualche tempo fa non mi
sentivo così. Questo avanzo di vita penoso che mi resta è di troppo anche per
gli altri.
Già non esisto. Ma quando vedo che passa molto tempo senza avere notizie di uno
dei miei figli, chiamo io. Anche se telefonare al cellulare (a casa non trovo
mai nessuno) mi costa di più, lo faccio lo stesso pur di sentire la loro voce.
Che senso ha soffrire perché non mi chiamano, il tempo mi sta scappando, la
faccio io la telefonata, in fondo ho vissuto solo per loro. Quando noi donne
diventiamo madri, una parte di noi seguirà i figli per sempre, e il nostro cuore
smette di appartenerci.
Spero di morire in silenzio, qui, di notte, come il mio uomo, senza disturbare
nessuno.
Suonano alla porta, il trillo del campanello mi fa fare un tuffo al cuore.
Chi sarà?
È mia figlia con suo marito, in mano hanno un vassoietto di paste. Adoro le
paste, mi sento una bambina. Che sciocca che sono: improvvisamente sono felice.
«Andiamo a mangiare la pizza mamma, preparati, vieni con noi, abbiamo voglia di
stare un po’ insieme a te».
Le mie gambe danzano, il mio cuore canta... in un attimo ho dimenticato tutti i
pensieri tristi, solo questo momento ricorderò domani, ne sono certa.
Copyright © 2004