Il mito rivive a casablanca

 

3° PREMIO
SEZIONE
NARRATIVA INEDITA
FRANCESCO TADDIA di Pieve di Cento (BO)
con il racconto: «Nostra Signora di Tihvin»

Un ultimo tocco di rossetto. Trucco pesante come al solito. Indosso i lunghi stivali neri e sono pronta per un’altra notte di lavoro. Porto con me solo una piccola borsetta con i ferri del mestiere. Non dovrò aspettare molto, a volte c’è già qualcuno in attesa o in perlustrazione. Poi oggi è sabato e la domanda aumenta. A quest’ora la strada lungo il ponte della ferrovia è tutto un via vai di auto, alcune che passano veloci, altre che rallentano per visionare da vicino la merce. Un paio si avvicinano, guardano, poi sfrecciano lontano. Un’auto scura di grossa cilindrata accosta al marciapiede. Il vetro del finestrino si abbassa rapidamente e mentre sto per elencare le mie tariffe il guidatore mi fa cenno di salire a bordo. Mi accosto, apro la portiera e salgo sulla macchina. Solo ora mi accorgo, nella penombra dell’abitacolo, che si tratta di un signore anziano, oltre i sessant’anni, vestito in maniera elegante e dai modi apparentemente gentili.
Procediamo lungo le strade della città allontanandoci dal centro verso le colline. Per tutto il tragitto il signore non proferisce parola, restando concentrato sulla guida. Solo un paio di volte si gira leggermente osservandomi con molta discrezione da dietro gli spessi occhiali. Ci inoltriamo lungo una strada in leggera discesa e ci fermiamo in prossimità di una costruzione circondata da un’alta recinzione in muratura.
Oltrepassato il cancello si entra in un ampio giardino, cinto da un’alta siepe di alloro molto curata. La casa è immersa in una selva di alberi di svariate fogge e dimensioni. Si tratta di un palazzo molto elegante, come mi era capitato di intravedere solo nelle vie centrali di qualche grande città.
"La prego signorina". Appena spento il motore il signore scende rapidamente dall’auto e mi invita a seguirlo aprendo la portiera e porgendomi la mano con fare gentile.
Ci soffermiamo appena sull’entrata e dopo aver riposto le chiavi e mi fa sedere comoda sul grande divano azzurro del salone e comincia a parlare. Mi perdo nell’osservare i numerosi dipinti che ricoprono le pareti della stanza. Anche il soffitto è tutto coperto da affreschi. Mi racconta della sua vita, della moglie, di un bambino. Tutta gente che non c’è più. E io lì ad ascoltare, solo ad ascoltare. All’inizio penso che abbia qualche strana perversione. Non propriamente un maniaco, non mi sembra tale. Magari uno con delle idee originali, amante di qualche giochetto particolare.
"Ora possiamo andare". Si alza e mi fa salire lungo le scale che portano al piano superiore. Sui pianerottoli si trovano tante piccole sculture, probabilmente antiche, almeno a giudicare dall’aspetto.
"Ecco. Di qua. Si accomodi pure". Mi conduce sulla soglia di un’ampia sala. Solo entrando mi accorgo che si tratta della camera da letto. Sulla parete di destra è appeso uno specchio con una splendida cornice intarsiata. Mi tolgo lentamente la pelliccia e la porgo al signore. Siedo sul bordo del letto e comincio a sciogliermi i capelli, quindi a slacciarmi la camicetta. Continua ad osservarmi mentre finisco di spogliarmi. Sono completamente nuda ma il signore rimane impassibile, appoggiato alla parete della stanza. Quindi si dirige verso il mobile di fianco al letto e apre le ante di un vecchio guardaroba pieno di indumenti femminili. Sfila delicatamente una sottoveste di raso nero e me la porge.
"Per favore la indossi!"
Mi dirigo verso di lui, prendo la sottoveste e velocemente la indosso. Mi osserva compiaciuto, sul suo viso corrugato si dipinge un sorriso lieve, appena accennato.
"Era di mia moglie. Le sta benissimo. Con i capelli biondi sciolti e la pelle chiara le assomiglia tanto".
Rimane ad osservarmi in silenzio per qualche minuto. Poi mi chiede di indossare un vestito ed un altro ancora. E andiamo avanti così per almeno un paio d’ore.

E alla fine mi paga e pure bene. Mi sembra di rubarli questi soldi, a confronto di quelli guadagnati con altri clienti. Certi signori, anche persone altolocate, con vizi da veri porci. Più sono importanti e più sono schifosi e pretendono prestazioni di qualunque tipo. Arrivano con la loro auto e spesso consumiamo sui sedili, senza proferire parola. A volte chiudo gli occhi e nel sentirne i grugniti mi sembra di trovarmi in balìa di belve feroci. Sento il loro alito, i loro corpi e il loro fetore di bestie che si appiccica alla mia pelle, tanto che posso lavarmi anche cento volte senza riuscire a cancellare la sensazione di sporco e di peccato.

Mentre parliamo noto un’immagine appesa alla parete. Salgo sul bordo del letto e mi inginocchio per poterla osservare da vicino.
"Le piace? È un’icona russa. L’ho acquistata tanti anni fa a San Pietroburgo. Si dice che l’originale sia stato dipinto da San Luca l’apostolo. Nostra Signora di Tihvin!"

Nostra Signora di Tihvin. Mi rivedo bambina attorniata dai miei fratelli più grandi. E ricordo la nonna, piccola e canuta che ci mostra l’immagine della Vergine e ci raccomanda di fuggire dal peccato. "Se perderete la retta via diventerete degli esseri immondi agli occhi del Signore". Ci faceva pregare Dio di tenerci lontano dal male e ci metteva in punizione ogni volta che andavamo contro ai suoi insegnamenti.

Adesso a punirmi ci pensa il mio protettore che mi picchia a sangue ogni volta che ritorno con un incasso inadeguato.
Non oso nemmeno più guardarmi allo specchio; spesso dopo la punizione sono una maschera di sangue. Una volta avevo gli occhi lividi e il labbro tumefatto, talmente gonfio che sembravo un’altra persona. Forse sono davvero un’altra persona dalla bambina pulita che ero.

Mi sento strana, imbarazzata, provo la vergogna di mostrarmi nuda davanti ad un estraneo.
"C’è qualcosa che non va, si sente male?".
Il signore si avvicina. Avverto le lacrime che scivolano lungo le guance.
"La prego, ora può accompagnarmi?".
Mi rivesto velocemente, usciamo dalla casa e risaliamo in macchina.
Nel buio della notte ripenso alla nonna e la sento cantare l’Ave Maria. Mi rivedo mentre contemplo la Vergine che ci osserva dall’alto della piccola icona sulla parete. Sembrava che mi sorridesse e anche stasera mi sembra di vederla nel grande cielo stellato.
Che mi sorride benevola, nonostante tutto. Nonostante l’orrore che mi circonda. Nonostante sia rimasto poco o nulla della dolce bambina che ero.
Scendo lentamente dall’auto e mi incammino verso casa.
La luce timida e flebile della luna accompagna il mio passo lento e incerto verso un nuovo giorno.

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