PRIMO
PREMIO - SEZIONE RACCONTI
FABIO CIAMBELLA (Tarquinia - VT)
AVETRANA
Prima stazione: Gesù nell’orto degli ulivi.
Poi giunsero in un podere detto Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli:
«Sedete qui finché io abbia pregato». Gesù prese con sé Pietro, Giacomo,
Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: «L’anima mia
è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate». Andato un po’ più
avanti, si gettò a terra; e pregava che, se fosse possibile, quell’ora passasse
oltre da lui. Diceva: «Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me
questo calice! Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi».
(Marco 14, 32-36)
La verità. Scomoda. Parziale. Assoluta. Scontata. Ognuno attribuisce alla verità
l’aggettivo che più gli sembra che le si addica. Io... ancora devono trovarla la
mia verità. La verità che mi ha strappata a questo mondo a quindici anni. Una
verità che nessuno sa, o forse che in tanti, in troppi sanno, ma nessuno ha il
coraggio di raccontare.
Quel giorno era stato deciso che io mi immolassi. Per cosa? Non mi è stato dato
di saperlo. Dovevo pagare, era evidente, ma per quale atroce colpa io non lo so.
Bisognerebbe chiederlo a chi ha alzato la sua mano su di me e ha messo fine ai
miei giorni.
Dove? Non si sa... Come? Nessuno l’ha ancora capito... Perché? Beh, questo è il
punto fondamentale. Gelosia? Attrazione non contraccambiata? Troppe le
domande... nessuna la risposta.
È strano come quando ci poniamo delle domande sulla verità, poi nessuno sappia
dare delle risposte. Sappiamo rispondere alla domanda “che ora è?” solo se
abbiamo un orologio...
Seconda stazione: Gesù, tradito da Giuda, è arrestato.
Appena giunse, subito si accostò a lui e disse: «Rabbì!» e lo baciò. Allora
quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.
(Marco 14, 45-46)
Strangolata. Dicono che il mio assassino mi abbia strangolata. Con una corda.
Sì. Sembra quasi una verità ormai. Ma quale corda? Forse quella, o forse no. La
verità è nemica dei forse e dei no. Non ammette dubbi la verità. E non v’è
dubbio che io sia morta, questa è la verità. Indiscutibile. Assoluta.
Assoluta? E allora perché sono ancora qui? Ma qui dove? La morte non è forse la
fine di tutto? Forse. L’ho detto ancora. Allora neanche la mia morte è una
verità.
Terza stazione: Gesù è condannato dal sinedrio.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche testimonianza contro
Gesù per farlo morire; ma non ne trovavano. Allora il sommo sacerdote, alzatosi
in piedi nel mezzo, domandò a Gesù: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano
costoro contro di te?». Ma egli tacque e non rispose nulla. Di nuovo il sommo
sacerdote lo interrogò e gli disse: «Sei tu il Cristo, il Figlio del
Benedetto?». Gesù disse: «Io sono; e vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla
destra della Potenza, venire sulle nuvole del cielo». Il sommo sacerdote si
stracciò le vesti e disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Voi avete
udito la bestemmia. Che ve ne pare?». Tutti lo condannarono come reo di morte.
(Marco 14,55.60-64)
A quale scopo servisse la mia fine, questo non lo so. Per quale motivo ciò che
chiamiamo comunemente destino o fato mi abbia riservato una fine così indegna lo
ignoro. Forse (ancora una volta!) andrebbe chiesto a chi mi ha strangolata quel
26 di agosto, ma qui la questione diventa complicata, perché prima di tutto,
prima di capire per il peccato di chi mi sono immolata, è necessario che
capiscano chi è stato ad uccidermi.
Quarta stazione: Gesù è rinnegato da Pietro.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle serve del sommo sacerdote; e,
veduto Pietro che si scaldava, lo guardò bene in viso e disse: «Anche tu eri con
Gesù Nazareno». Ma egli negò dicendo: «Non so, né capisco quello che tu dici».
Poi andò fuori nell’atrio e il gallo cantò. La serva, vedutolo, cominciò di
nuovo a dire ai presenti: «Costui è uno di quelli». Ma lui lo negò di nuovo. E
ancora, poco dopo, coloro che erano lì dicevano a Pietro: «Certamente tu sei uno
di quelli, anche perché sei Galileo». Ma egli prese a imprecare e a giurare:
«Non conosco quell’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, il
gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detta:
«Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte». E si
abbandonò al pianto.
(Marco 14,66-72)
È stato forse un orco dagli occhi del color del fuoco e dalle mani sporche e
callose che voleva abusare di me, ma non ci riusciva? O è stata un’arpia
travestita da cigno che provava a tutti i costi di liberarsi dal suo dolore
confessandosi sotto la luce catartica dei riflettori? Si sono forse alleati per
soffocare i miei giorni? O magari un occulto manipolatore, nascosto nei più bui
anfratti dell’inferno è uscito dal suo rifugio per colpire e tornare poi
nell’ombra?
La mano di chiunque sia stato ha stroncato la mia vita. Ha stroncato il mio
futuro. Ha spazzato via per sempre la felicità dei miei genitori e di mio
fratello. Nessuno mi darà più loro indietro. Li vedo, li sento piangere,
strapparsi il cuore dal petto, ma non c’è dolore simile al mio! Il dolore per
non aver respirato a pieni polmoni l’aria di una vita che andava ancora vissuta,
con tutte le sue gioie e i suoi dolori. Ma spettava a me, e a me soltanto il
diritto, il privilegio di decidere delle mie scelte, spettava solo a me
innalzarmi dalla gioia o sprofondarmi nel dolore.
A me.
Quinta stazione: Gesù è giudicato da Pilato.
Pilato disse loro: «Ma che male ha fatto?» Ma essi gridarono più forte che mai:
«Crocifiggilo!». Pilato, volendo soddisfare la folla, liberò loro Barabba; e
consegnò Gesù, dopo averlo flagellato, perché fosse crocifisso.
(Marco 15,14-15)
Quando la verità tarda a venire a galla aumenta la sete di conoscenza dei fatti.
E se io sono stata il capro espiatorio di un movente inesistente, qualcun altro
doveva esserlo per inventarlo questo movente.
Lui? Sì.
Perché quando si vuole a tutti i costi nascondere la verità, si può, se si è in
troppi a conoscere una scomoda verità, trovare l’inumana forza di spostare tutti
gli indizi su una persona esterna ai fatti, che permette che altri manovrino le
indagini lasciandoli liberi di agire però al buio, in quegli antri infernali
della coscienza nei quali si nasconde un angelo che sa, un angelo che è pronto a
squillare la tromba della verità, ma che è legato e imbavagliato ai margini
della psiche.
E così la verità è slittata, è stata trasportata dalla corrente per sfociare nel
mare dell’idiozia e dell’assurdità, fino a posarsi sulle coste dell’impensabile.
E lui è stato accusato della mia morte. Lui, che io amavo e che anche lei amava.
Gelosia? Forse. Ma vi prego, toglietegli le mani di dosso, non trascinatele nel
gorgo insieme a voi, non caricatelo della croce dei vostri peccati!
Sesta stazione: Gesù è flagellato e coronato di spine.
Lo vestirono di porpora e, dopo aver intrecciata una corona di spine, gliela
misero sul capo, e cominciarono a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!» E gli
percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in
ginocchio, si prostravano davanti a lui.
(Marco 15,17-19)
Io sono la preda. Una preda sbranata. Le mie carni sono state divorate dal mio
predatore e ora gli avvoltoi si gettano sulla carcassa per finirne gli ultimi
brandelli. Non basta il delitto. Ora bisogna uccidermi per la seconda volta. Ora
gli avvoltoi volano alti nel cielo e si gettano a capofitto sulla mia carcassa.
Avidi di sapere. Avidi di una verità che stenta a venir fuori. Non è beccando le
mie carni fino ad arrivare alle ossa che verrà fatta luce sulle indagini. Non è
giudicando senza sapere, ma solo supponendo infondatamente, che la mano che
lesta strinse quella corda intorno al mio collo verrà mozzata.
Settima stazione: Gesù è caricato della croce.
Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora, lo rivestirono delle sue
vesti e lo condussero fuori per crocifiggerlo.
(Marco 15,20)
Non si confessa sempre la verità. Si può confessare un delitto atroce, come si
può confessare di non aver mai fatto del male a una mosca. Chiunque abbia messo
fine alla mia vita questo lo sa bene, come lo sa bene chi del colpevole della
mia morte è a caccia. Anche i leoni hanno i loro nemici. Quel predatore che ha
affondato i denti tra le mie carni è braccato da altri nemici. E il predatore
diventa a sua volta preda. È l’inarrestabile circolo della vita. E così l’orco
dagli occhi di fuoco e dalle mani callose diventa l’agnello immolatosi per
coprire l’arpia che si professava cigno e che continua, nel buio di una cella, a
professarsi tale. Spiega ancora le sue candide ali, ma chissà che non nasconda
le macchie del mio sangue che hanno infettato il candore delle sue piume...
Piange. Prega. Dice di essere innocente, ma il mostro continua a volerla
trascinare con sé all’inferno. Orco o agnello? Cigno o arpia? La verità. A chi
spetterà il compito di brandire la lancia di Atena?
Ottava stazione: Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce.
Costrinsero a portar la croce di lui un certo Simone di Cirene, padre di
Alessandro e di Rufo, che passava di là, tornando dai campi.
(Marco 15,21)
Forse è vero che la mia unica colpa era quella di essere cigno e agnello
insieme. Forse io ero troppo docile e troppo bella per non suscitare l’invidia
del mio aguzzino. Ma di una cosa sono certa: qualsiasi sentimento io abbia
suscitato nel mio assassino, non è stato voluto da me. Non è per causa mia che
sono morta. Non è colpa mia se sono stata strangolata, ma di chi vedeva in me un
tesoro custodito gelosamente e che a tutti i costi voleva avere.
Nona stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme.
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che facevano cordoglio e lamento
per lui. Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non
piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli».
(Luca 23,27-28)
Non finivano gli appelli, le disperate richieste di trovarmi. Lacrime versate
per una causa che era ormai perduta. Non c’era più nulla da fare, ma anche in
questo caso la verità era nascosta, celata nelle profondità di chissà quale
oscuro abisso. Trovarmi sembrava impossibile.
Piangono le madri per i propri figli quando il dolore attanaglia loro il cuore,
ma piangono ancor più quando non possono provare dolore per loro, ma solo una
terribile angoscia che da un momento all’altro può trasformarsi in morte o in
vita. Sono le situazioni più incerte che danno maggiori emozioni. Sia
positivamente che negativamente. L’angoscia, terribile, così come l’attesa, si
colora delle tinte dell’incertezza e del tempo che trascorre lento ed
inesorabile. Gli equilibri si definiscono tali solo se da qualche parte c’è uno
squilibrio. Come una bilancia i cui bracci sono in perfetta parità. Basta che un
granello di polvere si poggi su uno dei due bracci, che uno dei piatti scende e
l’altro sale.
La gioia e il dolore che sono in equilibrio nell’angoscia, prima o poi si
sbilanciano. È così che vuole la natura. E laddove scende la gioia sale il
dolore.
Decima stazione: Gesù è crocifisso.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirandole a sorte per sapere
quello che ciascuno dovesse prendere.
(Marco 15,24)
Un pozzo ben nascosto. È lì che sono stata gettata dopo essere stata
strangolata. Come un oggetto che non serve più, come un gioiello troppo prezioso
per poter essere scoperto da chiunque. Non uno spiraglio di luce, non un soffio
d’aria. Poi la luce, la confessione. L’angelo aveva squillato la sua tromba,
aveva spezzato le catene che lo tenevano prigioniero negli antri più nascosti
della coscienza ed aveva soffiato la verità a pieni polmoni. La prima verità: il
mio corpo esanime era in un pozzo.
Undicesima stazione: Gesù promette il suo regno al buon ladrone.
Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te
stesso e noi!». Ma l’altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di
Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? Per noi è giusto, perché riceviamo
la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di
male». E diceva: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!».
(Luca 23,39-42)
L’orco che custodiva gelosamente il suo tesoro era uscito dalla sua caverna con
il suo prezioso scrigno e l’aveva mostrato agli uomini. Era stato lui a rubare
il tesoro e spettava a lui restituirlo al possessore. Ma mancava qualcosa, un
qualcosa che non potrà mai più tornare nello scrigno: la vita.
Dodicesima stazione: Gesù in croce, la madre e il discepolo.
Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava,
disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua
madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.
(Giovanni 19,26-27)
Madre. Il mio pensiero va a te in questo luogo dove io non sono più io, dove
echeggiano lontani i tumulti di una guerra che ti scuote il cuore e te lo
strappa dal petto. Il mio pensiero va a te, amazzone furiosa che scacci gli
avvoltoi che accerchiano il mio corpo senza vita. La gioia di una figlia ti è
stata data. La gioia di una figlia ti è stata tolta. Cosa puoi desiderare
adesso? Raggiungermi qui dove sono? Ti aspetto madre. Aspetto di abbracciarti e
quando finalmente sarò di nuovo tra le tue braccia io sarò ancora una volta la
tua bambina e tu la madre alla quale sono stata tolta troppo presto senza alcun
motivo.
Tredicesima stazione: Gesù muore sulla croce.
Venuta l’ora sesta, si fecero tenebre su tutto il paese, fino all’ora nona.
All’ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che,
tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Alcuni dei
presenti, udito ciò, dicevano: «Chiama Elia!». Uno di loro corse e, dopo aver
inzuppato d’aceto una spugna, la pose in cima a una canna e gli diede da bere,
dicendo: «Aspettate, vediamo se Elia viene a farlo scendere». Gesù, emesso un
gran grido, rese lo spirito. E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima
a fondo. E il centurione che era lì presente di fronte a Gesù, avendolo visto
spirare in quel modo, disse: «Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!».
(Marco 15,33-39)
Padre. Sono morta. Questo lo sai bene. Ma non sai dove sono ora. Non sai che in
questo luogo un giorno ci rincontreremo. Devi crederci padre. Devi credere che
io non sono morta. Mi sono nascosta alla vista tua, di mamma e di mio fratello.
Ma sono sempre lì con voi. Non posso alleviare il vostro dolore ora, ma gioiremo
insieme un giorno. Fatti forza padre mio, sorreggi la mamma affinché non vacilli
mai. Allevia il suo cuore dal peso della mia morte. Tu sei forte papà...
Quattordicesima stazione: Gesù è deposto nel sepolcro.
Vi erano pure delle donne che guardavano da lontano. Tra di loro vi erano anche
Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Iose, e Salome, che lo
seguivano e lo servivano da quando egli era in Galilea, e molte altre che erano
salite con lui a Gerusalemme.
Essendo già sera (poiché era la Preparazione, cioè la vigilia del sabato), venne
Giuseppe d’Arimatea, illustre membro del Consiglio, il quale aspettava anch’egli
il regno di Dio; e, fattosi coraggio, si presentò a Pilato e domandò il corpo di
Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto; e dopo aver chiamato il
centurione, gli domandò se Gesù era morto da molto tempo; avutane conferma dal
centurione, diede il corpo a Giuseppe. Questi comprò un lenzuolo e, tratto Gesù
giù dalla croce, lo avvolse nel panno, lo pose in una tomba scavata nella
roccia; poi rotolò una pietra contro l’apertura del sepolcro.
(Marco 15,40-46)
Aspetterò qui in questo luogo una verità che arriverà, fosse anche nell’ora
estrema della vita del mio aguzzino. Aspetterò qui una luce che nel pozzo non
giungeva. E come quando lo scrigno che mi custodiva si era aperto per lasciar
vedere al mondo la mia bellezza priva della luce negli occhi, così arriverà
anche qui il momento della mia Resurrezione, il momento in cui in anima e corpo
troneggerò sopra colui che, arso dalle fiamme dell’inferno, mi aveva privato
della luce che meritavo e che voleva e della quale verrà privato per l’eternità.
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