Lento, senza fretta, il dito traccia in silenzio segni sulla
sabbia. Il capo chino, l’uomo accovacciato a terra sembra ignorare il brusio
inquieto che percorre la folla accalcata, le pietre strette dalle mani, la donna
ansimante al centro, imprigionata dal cerchio degli uomini.
Sì, l’uomo lo sa, se lo chiederanno per millenni. I segni sulla sabbia. Niente
di fantasioso, in realtà. Aveva bisogno di scaricare la tensione. E poi… non
sono altro che segni sulla sabbia, gli uomini; oggi ci sono, domani sono
scomparsi. Eppure, eccoli qui: tutto questo odio, tutta questa rabbia.
Aveva bisogno di non guardarli. Aveva bisogno del silenzio. Non lo avrebbero
ascoltato, se si fosse messo a discutere. Non dovevano comprendere con la testa,
non doveva capire solo qualcuno, mentre qualcun altro rimaneva nel dubbio.
Dovevano sentire. Tutti, col cuore, nello stesso momento.
Quel poco che aveva da dire dovevano sentirlo bene, doveva rimbombare nelle
coscienze. Anche solo per quell’unico istante delle loro vite, ma era
importante.
Per lui era importante, non per loro. Solo un’altra donna vittima della loro
giustizia. Quante ce n’erano già state, quante altre ce ne sarebbero state…
Una fra tante, senza importanza.
Per lui era importante.
Lei era importante.
Solo lui, tra lei e loro, tra lei e l’odio, tra lei e la giustizia ingiusta
degli uomini retti.
Così, nell’attimo di silenzio seguito alla domanda, aveva detto quelle poche
parole: chi è senza peccato… Poi il silenzio, di nuovo. Un lungo minuto di
silenzio. Il minuto più lungo della sua vita. Fino a quel momento, almeno.
In questo silenzio, lo sentite il battito del mio cuore? si chiede. Sentite
quanto mi batte contro le costole, quanto mi fa male?
Perché neanche lui comanda alle coscienze degli uomini, non decide per loro. Non
sa se la parola gettata nel silenzio arriverà dove deve arrivare. Non sa se ci
sarà qualcuno abbastanza stupido o abbastanza cattivo. Per cui aspetta, nel
silenzio abbassa lo sguardo a terra e ricomincia a tracciare segni sulla sabbia.
Il minuto più lungo della sua vita, e in quel minuto, la sabbia sotto le sue
dita si riempie di immagini.
Un altro tempo, un altro luogo, altre persone; diverse, ma sempre le stesse. Le
stesse parole, lo stesso odio, lo stesso giudizio.
Una giornata di sole, un ragazzino al mercato col babbo, Giuseppe il
carpentiere. Cammina leggero tra i colori e la luce, i suoni e le voci.
Dalla piazza in fondo alla strada ora le voci si coagulano in un mormorio cupo.
Il ragazzino sente, senza vedere. Il cuore si oscura.
Anche il babbo se n’è accorto. Cerca di allontanare suo figlio, come altre volte
ha già fatto. Vieni via. Si inventa nuove commissioni lontano da lì.
No. Devo andare.
Il richiamo del babbo lo raggiunge mentre corre veloce e i sandali sollevano la
polvere della strada, ma oggi non ubbidisce.
Raggiunge i margini della calca. Non vede molto, ma sente. Vede solo le ultime
pietre volare nel cielo luminoso. Le sente ricadere con tonfi sordi oltre il
muro delle persone.
Tutto è finito. Il ragazzino si intrufola attraverso la folla compatta che ora
si dirada. Scorrono attorno a lui, e lui quasi non se ne accorge. Un fiume
disordinato di uomini quasi lo travolge, ma lui rimane lì, immobile. Non sente
gli urti e gli spintoni.
Loro distolgono lo sguardo e voltano le spalle a ciò che è rimasto in mezzo alla
piazza.
Lui no. Non può, non riesce.
Non vuole.
Congelato dall’orrore e dalla tristezza, sommerso dal dolore. Non riesce nemmeno
a piangere. Non ancora.
Sente solo il rimbombo di un vento cupo, confuso al ricordo delle voci, discorsi
fatti quando pensavano che lui non sentisse. Lui però aveva sentito. Le
chiacchiere erano ovunque. Segreti conosciuti da tutti, da tutti falsamente
ignorati, che rimanevano tali finché qualcuno non li svelava ad alta voce.
Non poteva essere davvero tanto grave. Non poteva davvero valere la vita di una
persona.
Ma lei non era più una persona. Non lo era più stata, dal momento in cui
l’avevano messa al centro, da una parte lei, dall’altra loro.
Forse non lo era più stata da molto tempo prima, quando tutti gli uomini
sapevano quello che lei, non loro, stava rischiando. E non importava. Non era
più stata una persona, per loro.
Tutto il peso dell’esistenza di lei non valeva quello del loro piacere di
un’ora.
Lo travolge la rabbia impotente, quando sente le parole di chi sfila accanto a
lui, voltando le spalle al lavoro ben fatto. Se l’è cercata, se l’è voluta, è
stato giusto così.
Ogni parola è inumana, una coltellata nel cuore indifeso del ragazzino. Non
riesce a parlare, a muoversi.
Guarda il mucchio informe di carne, pietre e sangue, poi i volti di quegli
uomini. Uomini che lui conosce. Uomini che lei aveva conosciuto. Uomini che
avevano fatto con lei ciò per cui lei aveva cessato di essere una persona.
Loro no. Loro sarebbero tornati, in salute, alle loro case, uomini giusti che
avevano compiuto il proprio sacro dovere. Perfino ammirati, magari, e ricercati,
da chi non era presente, per farsi raccontare i dettagli.
Sei qui! Il sospiro di sollievo del babbo spezza il ghiaccio. Non dovevi
scappare via. Solo un attimo di arrabbiatura, poi l’uomo vede le lacrime
silenziose e disperate scorrere sulle guance di suo figlio, allora si
inginocchia, lo abbraccia stretto e gli accarezza i capelli.
Non esistono parole giuste da dire; al babbo il cuore batte forte, per un po’.
Il ragazzino non lo sa, ancora, lo saprà quando sarà un po’ più grande, ma il
babbo ha pensato alla mamma, a lei, che sarebbe potuta anche lei diventare una
poltiglia immobile in fondo a una piazza, in mezzo a una folla di uomini giusti.
Il ragazzino si rende conto ancora solo in modo vago che ha imparato la
compassione, dal suo babbo.
L’oscurità del ricordo scivola all’improvviso nella luce del presente.
Il dito traccia ancora segni. Gli occhi sono rivolti a terra. L’uomo non osa
alzare lo sguardo finché non sente svanire lontano l’ultimo scalpiccio di
sandalo sulla sabbia. Solo in quel momento si sente respirare.
Gli tremano un po’ le ginocchia, mentre si rialza. La tensione. La paura. Non
per se stesso, per lei. Si possono finalmente guardare, occhi negli occhi. Passa
un mondo e una vita, in quello sguardo, molto più di quanto viene detto.
Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Nessuno, Signore.
Neanch’io ti condanno; va’ e non peccare più.
Questa sarebbe stata la versione ufficiale.
Poi ci sono i pensieri del suo cuore. Ti prego, non farti più del male. Non c’è
stata compassione questa volta, e non ci sarà la prossima. E la prossima volta
io non sarò più qui a tirarti fuori dai guai.
Oggi però è andata bene. Un sorriso lieve accarezza il cuore dell’uomo, mentre
alza gli occhi al cielo terso.
Oggi è una giornata di sole.