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SECONDO CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE
3° PREMIO
Agnese Palmucci di Roma
per il racconto
VENERDÌ L’aria di quella notte era un macigno di ghiaccio e terrore.
Il vento entrava dalle narici e paralizzava i sensi. Sentivo una spada
trafiggere il mio stomaco e vedevo le mie mani sporche del mio sangue. Sangue di
peccatrice. Camminavo con miei fratelli lungo un viale in salita. Gli alberi di
ulivo mi inondavano di quell’odore acre che nel caldo d’estate profuma la pelle.
Camminavo. E ad ogni passo sprofondavo nella terra dura, che si infilava nei
sandali e faceva fango dei miei piedi stanchi. Solo il rumore dell’affanno e dei
lamenti. Ero in fondo alla folla. Ci avevano detto che il nostro Signore era
stato preso e condannato a morte. E adesso saliva verso la fine, avanti a tutti.
Ecco. Signore forse è il tuo questo sangue che dipinge la terra? Signore, che ti
stanno facendo? Tutto finirà. Nel sangue. Quello stesso che adesso bagna le tue
mani senza peccato. E noi che fine faremo? A chi crederemo? Ora cosa accade?
Nessuno lo sa! Lamenti e grida. Le sue. Ero certa. Corsi avanti, tra la folla.
Il mio Signore grida. Finalmente lo vidi e corsi da lui. Due guardie mi
gettarono giù, in ginocchio. Io lo chiamai forte, ma lui mi aveva vista. Era
caduto sotto un peso atroce. Il suo volto non era più un volto d’uomo. Mi vide.
E sapeva. Lui sapeva e io non sapevo niente. Pensai che il posto appeso a quella
croce infame era il mio. Non il suo. Mi vide e mi disse che stava pagando lui
per me. Il conto era saldato, ogni debito estinto da quella croce. Mi parve che
mi sorridesse. Mentre io mi massacravo di disperazione. Il mio Dio. Poi chiuse
gli occhi, si rialzò in piedi e continuò a salire. Le guardie mi scacciarono
fuori dal corteo. Ormai non era più notte, e neppure giorno. Né più terra, ma
neppure cielo. Niente aveva un senso, eppure lui sapeva.
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