Eibingen, 23 settembre 1720
Caro Fratello,
Finisco in questo momento di leggere la tua lettera, arrivata al monastero dopo
un mese da quando l’hai inviata, e mi sento svenire. Vorrei essere più forte, ma
mai avrei pensato che sarei venuta a sapere della morte di nostra madre in
questo modo. Del resto, attraverso le tue righe, mi rendo conto di quanto anche
tu abbia sofferto e mi sento raggelare al pensiero di non esserci stata per te
quando ne avevi più bisogno.
Dio mi perdoni se piango, ma non posso farne a meno; e anche tu perdonami,
fratello mio, se le lacrime inzuppano la pergamena, se la mia mano tremante
deforma queste parole in un groviglio illeggibile. Perché sono così egoista?
È così difficile percorrere la Via che il Signore ci ha aperto, specialmente
quando coloro che ci accompagnano lungo il cammino se ne vanno. Siamo così
deboli, e al contempo così arroganti! È proprio il Signore che ci ha affiancato
queste persone per alleviarci il peso del tragitto: se arrivano a destinazione
prima di noi, non dovremmo forse gioire per loro, che godono della sua Luce?
Non credere, però, che voglia rimproverarti il lutto e i lamenti. La Santa
Vergine ha pianto ai piedi della Croce, e nessuno di noi può astenersi dal
soffrire quando rimane da solo. Il vero errore sarebbe perdere la Fede, il
nostro unico tesoro, la corda che ci tiene sospesi sopra l’abisso spalancato
dell’Inferno, sempre pronto a inghiottirci. Non dimenticare che il Cristo non è
il Dio dei morti, ma dei vivi! Non dobbiamo, fratello, nascondere questa Luce
divina sotto un vaso o sotto il letto, ma lasciare che il Fuoco dello Spirito
Santo guarisca le nostre ferite sanguinanti e le trasformi in pietre preziose!
Con tutto il mio affetto.
Sophie.