Era un sentiero lungo e diritto e spariva man mano che lo percorrevamo. Non
sapevo dove fossimo diretti né come fossi arrivata in mezzo a quell’umanità
sconosciuta. Confusa nella folla, procedevo con passo lento e cadenzato in un
silenzio tanto perfetto da far raggelare il sangue nelle vene.
Non un sospiro, non un gemito, non una voce e neppure un rumore di passi.
In quel silenzio assoluto, i sensi all’erta, seguivo impotente quell’onda in
movimento che mi trascinava con sé. Avrei voluto uscire da quella schiera
allineata e compatta ma mi ero appena resa conto di non poterlo fare. Il mio
corpo sembrava governato da una forza sconosciuta che sovrastava la mia volontà.
Cercavo disperatamente un modo per uscire da quella assurda situazione quando,
accorgendomi di essere rimasta sola, una luce abbagliante apparsa dal nulla
aveva preso ad avvilupparmi, sospingendomi verso l’alto. Stavo volando in un
azzurro perfetto, leggera come una piuma mentre giù in basso la terra
rimpiccioliva sempre più. D’un tratto, una virata improvvisa e io planavo sopra
un manto setoso in un luogo incredibile. Dinnanzi a me un paesaggio i cui colori
accesi da mille diverse sfumature sembravano catturare la luce per poi
restituirla alla vista, moltiplicata in altri mille diversi bagliori.
Stormi di uccelli maestosi ed eleganti nei loro abiti di piume variopinte,
lucide come seta preziosa, sfiorandomi appena al loro passaggio si libravano
veloci in quel cielo terso. Catturata da quello spettacolo, non avevo avvertito
la presenza di qualcuno accanto a me fino a quando una manina non si era
insinuata nella mia.
Un bimbo dal viso stranamente familiare, mi stava scrutando attentamente con i
suoi enormi occhi verdi dalle lunghe ciglia scure.
«Ciao Sara, - mi dice con un sorriso stupendo - benvenuta nell’Immensità!»
Intorno a noi risate e voci gioiose di bimbi che giocavano e si rincorrevano
festosi. Guardavo quella scena e me ne domandavo il senso quando lui aveva
ricominciato a parlare: «Io sono Gabriele e questa è la nazione del BA: il posto
dove noi bambini aspettiamo la nostra chiamata alla vita».
«Ciao Gabriele. Come mai conosci il mio nome e perché mi trovo qui?» gli avevo
chiesto incuriosita e preoccupata al contempo.
«Non ora, prima devi venire con me» e così dicendo, prendendomi per mano, mi
stava portando via.
Dopo aver attraversato territori aridi e luoghi desolati, d’un tratto ci eravamo
fermati.
«Eccoci arrivati!»
Quelle due parole, anziché tranquillizzarmi, mi avevano trasmesso inquietudine.
Davanti a me soltanto il “nulla” eppure, in quel nulla si udivano pianti
sommessi di bimbi. Ne percepivo la sofferenza, ne avvertivo la presenza eppure
non ne vedevo alcuno.
«… guarda Sara, qui siamo dove fanno ritorno i figli rifiutati. Quelli
annunciati e mai nati. Quelli che una mamma “mancata” ha gettati via».
Dopo una breve pausa aveva aggiunto: «Ora tu conosci il loro dolore ma ancora
non ne conosci la vera causa. Quando un bimbo chiamato alla vita comincia a
crescere nel buio di un luogo a lui sconosciuto, ne è dapprima spaventato ma
quando comincia a riconoscere quella voce e quella mano che lo accarezza, la sua
paura scompare perché nel suo cuore è entrato l’amore...».
Mi sveglio di soprassalto. Istintivamente mi porto le mani al ventre e
accarezzo il mio bimbo. Fra poche ore la sua vita sarebbe stata spezzata
nonostante il nostro dolore. Quello mio e di Stefano, mio marito. Decidere di
rinunciare a lui perché non possiamo permetterci un terzo figlio è stato
devastante. Oggi mani estranee me lo strapperanno dal grembo e sarà stata solo
colpa mia.
Quel sogno però mi aveva ripiombata nell’incertezza.
Da poco siamo in questa fredda camera d’ospedale ad aspettare la fine. Vorrei
poter fermare il tempo: questi sono i nostri ultimi istanti insieme ma io non
voglio rinunciare a te, piccolo mio. D’impulso dico a Stefano: «Arrivo
subito...»
Esco dalla stanza senza dargli il tempo di fare domande. Raggiungo la cappella
che ho intravisto al mio arrivo e vi entro, sollevata nel trovarla deserta. Mi
inginocchio ai piedi della Madonna e comincio a pregare. «Tu che sei la Madre di
tutti aiutami! Indicami la strada. Ave Maria piena di grazia…»
In quel preciso momento sento passi che si avvicinano. Li riconosco,
appartengono a Stefano. Sollevo lo sguardo e quando lui mi sorride, nei suoi
occhi ritrovo il mio stesso pensiero. Mi tende la mano, la afferro e mentre
ringrazio Maria per avermi mandato Stefano in risposta alla mia supplica,
cominciamo a correre felici. Una solerte infermiera cerca di fermare la nostra
corsa, ma noi proseguiamo senza rallentare il passo anche mentre Stefano le
risponde urlando: «Grazie ma noi ce ne andiamo via!»
Come due ragazzini innamorati, corriamo verso casa. Abbiamo fretta di dare la
bella notizia anche a Elia e a Mara. Ma loro non sapranno mai che stanotte nel
fantastico mondo del BA ho incontrato Gabriele, il loro fratellino…