“Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi
metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome come
scellerato, a causa del Figlio dell’Uomo. Rallegratevi in quel giorno ed
esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli”.
Lc (6, 22-23)
All’interno della casa di Dio c’è una persona che ama restare in ombra. Le
membra stanche ma protese verso un Uomo che si dibatte nel dolore della
crocifissione: i chiodi nelle mani e nei piedi, intorno al capo le spine, il
cuore trafitto dalla lancia.
“Vorrei staccarti dalla croce!”.
“Non puoi perché qui gemono i tuoi fratelli”.
Chiude gli occhi e vede uscire dal suo petto l’acqua viva che ristora quelle
anime. E non basta, vede uscire anche il sangue che lava ogni colpa mentre il
volto di Gesù, non più agonizzante, è colmo di misericordia.
Sintonizzando la sua vita con Lui ha imparato, nel tempo, che il segreto della
carità è comprensione, tenerezza, perdono, misericordia. Fisse nella mente sono
le parole della I lettera di San Paolo ai Corinzi dove la carità viene elogiata
con toni che assumono le movenze dell’inno: “È magnanima, è benigna, non si
gonfia, non si vanta, non manca di rispetto, non si adira… tutto scusa, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”.
Ora ha capito che la carità ha due direzioni, come le braccia della croce:
l’Amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Ecco perché ha chiesto al Signore
Onnipotente di poter vivere in comunione profonda con Gesù Eucarestia e di
amarlo e servirlo nella carità verso i fratelli.
È triste padre Jacques Hamel se pensa ai terroristi del Califfo e ai criminali
che li emulano. I pensieri si posano sulla strage di Charlie Hebdo e
subito dopo sulla promenade di Nizza dove piccoli innocenti, solo qualche tempo
prima, alzavano lo sguardo verso i fuochi d’artificio ma subito dopo, avvolti
nella nube nera, venivano schiacciati.
Un bisbiglio scuote l’anziano prelato e dall’altare della chiesetta cattolica di
Saint-Etienne-Du Rouvray, in Normandia, si ode la sua flebile voce
nell’impartire la benedizione ai presenti: due suore, una coppia nel giorno del
loro anniversario di matrimonio e,vicino alla porta d’ingresso, un’altra
religiosa. Non doveva essere lì, a presiedere la liturgia eucaristica, alle nove
del mattino, perché l’ottantaseienne in pensione aveva festeggiato nel 2008 i
cinquant’anni di servizio ecclesiastico: battesimi, cresime, matrimoni,
funerali.
Voleva lavorare fino all’ultimo respiro avendo promesso a Cristo di portargli
tante anime convertite. Pochi giorni prima aveva scritto sul giornale della
parrocchia:
“Prendiamoci cura di questo mondo, rendiamolo più caloroso, più umano, più
fraterno”.
Di certo non immaginava che questo appello, così intenso di testimonianza e di
fede, sarebbe diventato il suo testamento spirituale.
Sono le nove e quarantatre minuti del 26 luglio 2016 quando, dalla porticina
della sagrestia, sbucano i suoi carnefici: due ragazzi armati di coltello che
intimano a Padre Jacques di inginocchiarsi sull’altare e, girandogli intorno,
fanno il loro proclama islamico, in arabo. Lui, non accetta e viene sgozzato
davanti al tabernacolo e a quel crocifisso dove soffre un Uomo che ha preso su
di sé le nostre colpe ed è paziente ad aspettare fino a quando ogni anima venga
intrisa del suo sangue.
Chissà se la mano degli aguzzini si sarebbe fermata se avessero saputo che la
moschea di Saint-Etienne-Du Rouvray è stata costruita su un terreno donato
proprio dalla parrocchia del prete di campagna alla comunità musulmana guidata
dall’Imam Mohammed Karabilka, amico fraterno del sacerdote ucciso. Entrambi
facevano parte di un comitato inter-confessionale in cui discutevano di
religione e di convivenza.
Padre Jacques giace a terra, sanguinante, mentre i due giovanissimi terroristi
vengono uccisi dalle forze dell’ordine, intervenuti a tempo di record per
sventare il blitz. Ma il macabro atto si era già consumato, nel nome di Allah e
dello stato islamico.
Resta il ricordo del sacerdote cristiano che ogni giorno offriva al Signore le
sue preghiere per la pace, un uomo semplice e, allo stesso tempo, una figura
eccezionale che accettò la morte per la sua perseverante fede in Cristo.
La croce è stato un faro abbagliante che ha raggiunto la sua persona nel
sacrificio estremo mentre elevava a Dio la preghiera del maestro Gesù:
“Perdona loro perché non sanno quello che fanno!”.
Ora è al cospetto del Padre.
“Sono assorbito dall’incanto di Dio. Vivo in una gioia purissima. Nelle angustie
del tempo pensa a questa casa ove un giorno saremo uniti oltre la morte,
dissetati alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore infinito”.
(Sant’Agostino)