poesie di CRISTINA CODAZZA
«PUISQUE» (ADAGIO NOTTURNO)
Vivo le tue profondità
con volontà ancestrale,
rinascendo da esse
in ogni istante
come spirito strenuo,
limpido e magico
(opposta dimensione
ai miei pensieri lacerati).
Scavo sicura
tra i ricordi di zucchero
e ti avverto nelle pulsazioni
che mi scuotono il cuore
(mio albero vitale,
mia sensazione).
Guardo il mio amore
propagarsi nel tuo,
infinito
(celeste amore mio)
e infinite le tue mani
che ondeggiano lente
nell'aria notturna
fino a sfiorarmi
(fino a sentirmi)
ti accarezzo
come fosse il mio corpo
poiché in esso tu esisti
(in esso ti schiudi).
Vedo te oltre
ciò ch'è destino
e mi unisco alla terra
'ché sia tenera
ad ogni tuo passo
('ché sia vera).
Portami nel cuore
in questo adagio notturno
poiché il tuo ricordo
allora
si nutrirà
(si vestirà)
di questo mio canto.
«ABISSI» (DELLE INEVITABILI ASSENZE)
Così mi guardi
mentre ti stai perdendo
violentando anche la più piccola
molecola del tuo essere,
morendo dentro,
nella vita che la tua mente
mette a nudo, castiga
e odia selvaggia,
mi guardi, così
nel tuo disagio anonimo
tacendo le parole
che non esprimono
ma ti uccidono
ed io ti afferro
perché stai scivolando
tra quegli abissi di silenzi
che sempre partoriscono
le inevitabili assenze.
Non puoi sgretolarti
nell'aria indifferente
se mi guardi ancora
tra i tormenti della sera,
se mi chiedi di sorridere un po'
per te, un po'
per non lasciarti andar via.
HOMELESS (SENZA TETTO)
Vederli nascosti tra foglie secche,
immobili sulle ginocchia ripiegate
mentre strappano a morsi un'esistenza costretta
deforme, battuta dal vento primordiale
dalla durezza acuta e tagliente.
Sentono la morte dolorosa ma bianca:
«Perché oltre la siepe
ogni casa di cartone avrà almeno un giardino
e dentro sarà calda,
lo so, me l'hanno detto».
Pregano in ogni notte trascinata e stanca del nulla,
vorrebbero rientrare «a casa» la sera,
come la gente che passa veloce nelle macchine,
come la gente che piange perché crede ancora alla vita,
perché crede.
Non vogliono occhi per vedersi
e non hanno dita per sfiorarsi,
pagano i giorni come una colpa strana,
seduti nel buio,
dissolvendo i miei sguardi nell'aria.
IL SIGNORE DEL TEMPO
L'acqua seguiterà comunque
a scorrere, a modificare
là dove accatastai pietre
e pagine scritte
mai distrattamente,
sempre sfiorando il tuo sguardo,
sempre.
sino a fluire tra i tuoi ricordi
non come acqua purificatrice
ma trasparente turbine,
esaltante divinità
che con sé porta
enormi ceste colme delle levigate pietre
che l'uno ha posto
per il ricordo dell'altro.
Pietre ghermite e nascoste
da antiche mani
in luoghi a noi paralleli
o solo sconosciuti,
trattenute in ingiusti esilii
di memorie.
Mi avvierò con questo sacco
ricolmo di belle pietre e buone parole
scritte su pergamene e stoffe rare
per darle io stessa al Tempo,
perché non le prenda ad altri
e mi indichi l'esatto punto in cui
esse diverranno infinite.
RABBIA
Ho camminato
accanto a te
ad un passo soltanto,
estranea al tuo
affanno,
rinchiusa-perduta
nelle scarpe che guardo
per non vedere il dolore
al di sopra
della terra che schiaccio
(dove la rabbia forse
echeggia, evapora perché
non la si vuole guardare).
Tu, immobile,
con gli occhi nervosi
al di là di quel ponte
non urli,
non agiti braccia
perché io ti veda
resti piegato
nella tua follia.
Scavalchi la ringhiera.
Siamo in tanti
alla fermata del tram:
c'è frastuono, movimento,
stavo guardando verso
il ponte, poi è arrivato
un autobus della linea Z,
ho preso quello,
ha svoltato al primo angolo
veloce come sempre,
ho chiuso gli occhi
per un attimo
non so perché.
Copyright © 1996