QUINTO PREMIO TROFEO PENNA D'AUTORE MEMORIAL SERGIO MARTINELLI SEZIONE B (poesie singole a tema libero) RODOLFO VETTORELLO di Milano Terra di pianto (alla mia terra e a tutte le terre di Emigranti) È genuflessa terra, questa che piega a nord, tra le montagne e il fiume. È l’aria tersa a pennellare azzurro sui candidi merletti delle cime; è lana grezza, filata dalle donne nei filò, le lunghe sere; è come sangue il rosso dei tramonti dei minatori dai polmoni erosi. (La silicosi è roccia che si addensa, è pietra che condensa intorno al cuore.) È prona terra, a volte, di solitarie donne nei paesi di bimbi e nonni o eretta come i picchi che grattano le nubi passeggere. Io scelgo sempre chi non ha una voce, scelgo la fame dei bambini soli, le piaghe da decubito dei vecchi o le parole scarne dei poeti. Ti scelgo terra che non hai cantori e lo farò per darti le sole tre parole che conosco, unite insieme a simulare un canto. Ti chiamerò col nome che ti danno vedove bianche, unite nel lamento, dolente, sfortunata, genuflessa, terra di pianto. La porta socchiusa Ti sarà parso, credo, in quel momento che tutti se ne andassero e tu sola dovessi stare a dipanare il filo di quella spola. Hai trattenuto il fiato lungamente, come fanno i bambini, nei singulti, sperando fosse facile morire. Volevi farlo dandoci soltanto il piccolo dolore che si prova tutte le sere, all’ora dei saluti. Volevi che accadesse come quando mandavi, sulla punta delle dita, un bacio, socchiudendo la porta. Se mi sveglio per caso nella notte, io confondo le lucciole impazzite con le stelle cadenti e il tuo dolce parlarmi sorridendo col canto degli arcangeli celesti. Ma ormai tu taci e brillano i tuoi occhi silenziosi attraverso il frusciare delle ciglia e raccontano storie di universi che tu sola intravedi. Gli occhi soltanto dicono la storia del moto dei pianeti e l’armonia degli astri e se li chiudi si chiuderà, per sempre questa volta, la porta che tenevi un po’ socchiusa. Quand'ero libera di volare (per dire di sclerosi multipla) Alta e sottile, dentro le vetrine io mi specchiavo e mi sentivo bella e mi dicevan “bella” dai cantieri, come si fa col fischio, i manovali. Non mi ricordo più come si balla sui tacchi a spillo per le vie del centro. Passato è il tempo di quand’ero snella, lontani i giorni quando camminavo. La prima volta è stato alla stazione di Metropolitana, in via Palestro. Sono caduta senza una ragione e le altre volte non ricordo più. La mano destra mi risponde appena e l’altra invece non sembra mia. Le gambe me le piegano ogni giorno, io lascio fare e intanto guardo fuori le rondini che sfiorano di voli la mia finestra, come una TV. Io parlo poco, ormai non ho più fiato; per dare una risposta a chi mi chiede faccio dei segni solo con le ciglia. Pensavo, mentre cala già il sipario, che della storia quel che più mi manca è il manovale che mi fischia “bella” e mi sorride mentre guardo in su.
Copyright © 2011 |