SECONDO PREMIO TROFEO PENNA D'AUTORE SEZIONE B (poesie a tema libero) Giancarlo Napolitano di Rivoli (TO) Capaci Un giorno cinque vite bussarono alla luna e un urlo si levò dal fondo della strada, il cielo si coprì di pietre di cristallo, tra bocche di leone e ginestre rampicanti. La morte parlò piano al vento e al magistrato, sfiorò l’ultimo istante con lacrime cangianti, svuotò giustizie esauste in faccia ai sordomuti, tremò tutta la rabbia nel mondo senza ore. Quell’urlo fece buio, rumore sopra i sassi, l’asfalto si dischiuse nel cuore del vulcano, il vento scoperchiò la morte addormentata e Capaci fu bollente come un tango straripante. Soffiarono sirene dalla bocca del dio Eolo, soffiarono vendette sopra i rami degli aranci, il volo delle aquile franò sui grattacieli, nulla fu come prima, neanche la mia siesta. La morte parlò piano per non destare i grilli, le brune capinere, sotto mandorli salati, si spensero all’istante ingoiate dalle fiamme e un tenero sorriso marcì sopra le stelle. Sbottarono i silenzi nel giorno della strage, le rose non patirono coperte dalla mafia, spuntata per coprire la giungla siciliana e rendere isolata un’isola italiana. Un giorno cinque vite scortarono la morte e l’ombra si placò a un palmo dall’asfalto, sfidando le illusioni vestite rosso sangue, danzando sopra il cuore di un giudice coraggio. Terra di mezzo Trema ancora la terra di mezzo, trema ancora di ruvidi pianti, di santi impiccati alla scala mercalli, di mille feriti dalle ossa crepate. E continua a tremare la terra di mezzo. Le case crollate di tufo e saliva, son grigi ricordi per poveri sordi e morsi sul cuore svuotato di sangue e fragole amare protette da tuoni. C’è tutto un paese col fiato sospeso, un mese d’Aprile nel blues degli ulivi, c’è pioggia caduta su un’aquila stanca, nel buio di una Pasqua dal volto truccato. Stasera strofino il dolore di dentro, le lacrime dolci cadute dal cielo, i gufi sciacalli dal cuore spezzato, un attimo nato dal centro del mondo. E continua a tremare la terra di mezzo, continua a tremare di freddo e paura. Sui tetti di Teheran Sui grigi tetti piove l’urlo grigio delle stelle e l’anima ribelle copre il viso di Teheran, i cornicioni immacolati senza graffi, gli sbuffi buffi in certe notti silenziose. La lingua vola scalza addosso al vento: “Allah u Akbar”*. Tremano le ossa di geranio addormentato, tremano d’infarti dentro voci di violini e in braccio a temporali dalle ali blu cobalto, continuano a tremare come giovani zanzare. Tremano le labbra che spaventano ginestre e si affacciano a finestre profumate di paura, dove la cura è una preghiera solitaria, una carezza sopra al monte degli Ulivi. Sui tetti azzimo piove l’urlo grigio della luna e l’anima ribelle dal profilo di grafite, rimbomba vite che non cercano più pace, come una voce dal sapore femminile. La lingua vola scalza addosso al vento: “Allah u Akbar”. La lingua vola scalza sul velo della notte. *Allah u Akbar = Allah è grande
Copyright © 2012 |