PRIMO PREMIO TROFEO PENNA D'AUTORE SEZIONE B (poesie a tema libero) Carmelo Consoli di Firenze Dalle torri fumarie Quassù dalle torri fumarie adesso è la voce dei megafoni a squarciare la valle; i fumi sciolti nelle inutili attese, il cielo che quasi si tocca, il vento una furia sui volti, tra le bandiere. È così da mesi. Da quassù mai avremmo pensato che fosse tanto dolce il pendio dei colli, tanto amaro il silenzio delle sirene; stupiscono le trine rosa dei tramonti, nelle notti le tende preparate sono lucciole tremule gonfie di speranze. È così da mesi col coltello tra i denti e la nostalgia dei figli annidati sul cuore spento delle fonderie, nelle malinconie dei torni, delle presse a un passo dalla luna, nel volo dei merli. Non avremmo mai creduto di arrampicarci un giorno nella vertigine dei venti metri in un ceruleo vuoto di orizzonti, scalare metro dopo metro il cilindro dei mattoni fino in cima nell’aria sospesa dei giorni di lavoro a sventolare la dignità finita nel macero dei sogni. È così da mesi tra funi e carrucole, il saliscendi delle ceste per la magra colazione nello stupore delle albe, delle stelle, nel coro delle mogli giù nei cementi del piazzale. Quassù a un passo dalla luna avvolti in un giro di striscioni con la voce finita, la barba lunga resistiamo come aquile tenaci sopra i capannoni decisi a non mollare il nido sottile della vita. Grezzano di notte Ci rapiva l’immenso di stelle. Grezzano di notte, stretta, lontana borgata dei sogni. Tre case e campi d’avena sul sentiero che saliva alla foresta a un passo dalla luna, dal canto dei lupi innamorati. Erano le chiare infanzie a vestirci di foglie e fragranze, i cieli respirati in un lampo di cometa, le nicchie tra alberi e cespugli così lontane dal peso degli affanni. Era Grezzano un mare di papaveri, il grido, la sfida al quadrifoglio: “fortuna a chi lo trova” tra i fossati e la collina dove il fiume rallentava per farsi accarezzare e si univa al gioco delle rane, al ballo delle libellule prima che il tempo delle meraviglie svanisse nel macero degli anni. Era quel breve istante della giovinezza stupore nel cuore del granturco, segreto tra i faggi ventosi e le ombre del bosco, la gioia cristallina delle acque, il quadrifoglio della piccola fortuna chiusi noi nell’attesa del domani a un passo dalla luna, dal canto dei lupi innamorati. Noi come le corolle, i fili d’erba a bocca aperta nell’azzurro limpido dei giorni. I treni siciliani Dai treni che non hanno orari e si fermano nelle perdute campagne si possono toccare il rosso, il giallo degli aranci, dei limoni, vedere sentieri che portano nel cuore delle zolle arse, ai casolari bianchi di silenzi e solitudini. Poi anche se partono hanno la lentezza delle controre assolate ed è come se si perdessero in un tempo smemorato di ulivi neri, in una danza rosa viola di fichidindia a pali. Seguono binari che sembrano sparire nel fitto dei vigneti, nell’abbraccio dei mandorli. Si portano dietro l’esultanza delle cicale il volo verde e radente dei calabroni dorati. E quando arrivano hanno visto tutta la tristezza dei muretti neri, quello che resta delle cose bruciate, tagliato armonie e fragranze, disperazioni e miasmi nel solco aspro dei campi. Sostano nella calma di stazioni senza tempo e nessuno scende, nessuno sale in un riposo di zagare. Accarezzano marine luccicanti, sabbie dorate, portano segreti e sogni inconfessabili nel vermiglio dei tramonti. Cullano occhi dolci e grandi, stanchi e rassegnati. Sanno di ruggine antica e bianchi gelsomini.
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