Perdono, figlio, per la favola
degli alberi verdi a primavera
e l’inganno di cieli azzurri
specchiati a fiumi di vetro.
Non seppi di stagioni impazzite
né di stracci di plastica alle sponde
e le onde erano canzoni d’amore
sussurrate sulle spiagge a melodie di lune.
Perdono per la pace che ti dissi
e il volo alto della libertà,
per la paternità e il dono di tua madre
e per le nostre vite, unite, ad amare la tua.
Non vidi terre rosse di sangue all’orizzonte
e, perso, il volo bianco dei gabbiani
al crepuscolo nebbioso d’autunno.
Non udii il grido di figli rinnegati
pieni d’assenza, vuoti di memoria.
Non mi raggiunse assordante l’urlo (mio Dio!)
di bimbi straziati da madri senza grembo
oltre il confine giunte dell’umana empietà.
Abiteranno ancora gli angeli il sonno di un bambino?
Perdono, figlio, per la vita sbagliata
respirata come l’aria fresca del mattino
dentro lo sguardo di tua madre e quello mio.
Perdono per tutte le aurore,
per i domani attesi sulla soglia
dopo tramonti di piogge novembrine.
Ma sopra le colline, figlio mio,
l’arcobaleno ci sorride ancora.
Ed è come se tutto cominciasse ora.