Racconto lungo
di Roberto Barbari
Pagine: 29
Prezzo: 7,00 euro
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PROFILO DELL'AUTORE
Roberto Barbari, nato a Ponte della Priula (TV) l'11 settembre 1967.
Dopo aver conseguito nel 1987 il Diploma in Elettronica Industriale, segue una
pausa lavorativa di alcuni anni di lavoro; poi riprende gli studi all'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano e nel 1999 si laurea in Filosofia e Scienze
Umane.
La sua intera produzione letteraria è in gran parte ancora inedita e solamente
quattro raccolte poetiche sono state pubblicate: «Dai quattro angoli del cielo»
(Edizioni Il Filo, 2008), «Il Flauto di Pan» (Il Convivio, 2009), «Carezze di
luna» (Il Convivio, 2010), «Eco di vento» (Aletti, 2010), «Ad Oriente in Eden»
(Il Convivio) e «Frammenti di stelle» (A.L.I. Penna d’Autore, 2010). La silloge
«Dai quattro angoli del cielo» ha ottenuto i maggiori riconoscimenti: è
risultata finalista al concorso «Insieme nel Mondo», si è classificata al terzo
posto al concorso «Giovanni Gronchi 2009» e al sesto posto al concorso «Franco
Bargagna 2010», e ricevuto un diploma di merito al concorso «Albderoandronico
2009». Altri riconoscimenti le ha conseguiti con le composizioni poetiche «Manto
di delizie», che è stata inserita nell'Audio Libro di Penna d'Autore, «Come un
giglio tra le spine», premiata al concorso Città Cava de' Tirreni e «Chiudere
gli occhi», pubblicata nell'antologia «Habere Artem».
LA FIGLIA DI PENÌA
LA SERA
Per chi sa ancora leggere il cielo, il finale di questa
favola non riserverà alcuna sorpresa, poiché il cielo di quella sera diceva
tutto. Un cielo sincero, che solo un temporale sa dipingere, sereno e seducente,
ma non minaccioso, pronto a benedire e che capita solo quando si è innamorati
per davvero! Per chi sa ancora ascoltare il vento, la pioggia che cade, una luna
che pareva essere scesa a rubare il volto alla donna più bella sorprenderà
ancora! Per chi sa ancora sognare, per chi è innamorato e per chi lo è stato e
se lo ricorda ancora, la magia dell’amore lo guiderà nei sentieri della fortuna,
proprio come quando le stelle aprono le ali e la luna dona il suo oro migliore.
La dove si incontrano le due strade maestre, prendendo quella meno battuta, può
capitare di imbattersi in un luogo magico, conosciuto dagli abitanti del posto
come il lago di Santa Siria. Rinchiuso fra quelle sacre montagne del Nord
alimentato da una cascata che pareva originarsi in cielo, il laghetto di Santa
Siria, come un tappeto di stelle ancora da sbocciare rifletteva il rosso e l’oro
del tramonto, quasi a volersene impadronire e custodire a fianco del proprio
cuore per la notte. Forse quel laghetto era femmina tanto era innamorato del
sole! Qualcosa di magico aleggiava su quelle acque, tanto che la superstizione
locale sconsigliava di avventurarvisi di notte, poiché il posto si popolava di
tanti esseri, viventi e non, e non tutti animati da buone intenzioni. Forse la
sacralità di quel luogo sta tutta in quella superstizione, ma per Elis e Selen
era la magia di un tramonto dorato a rendere sacri quel boschi e quel laghetto.
Per i due innamorati quel paradiso terrestre poteva essere il lago dove era
solita fare il bagno la bella Afrodite, dove con la luna piena si risvegliavano
tutte le ninfe e dove le muse danzavano sui flauti degli alberi. Qualcosa di
magico metteva le ali all’aria e ai cuori, e la magia di quella sera le superò
tutte. Per Elis e Selen quel laghetto non era che un angolo del cuore, il più
pulito e selvaggio, non ancora contaminato dalla mano del mercenario. Dell’avido
aratro che ferisce la terra, della scure del mercante che fa sanguinare gli
alberi del bosco Elis e Selen non sapevano nulla.
Il cielo era pronto a benedire quell’amore così giovane e, se il tramonto era
sacro e rendeva magico tutto il bosco, il segno più tangibile di tanta
benedizione fu un bel temporale. Davvero i monti amano i temporali che, al pari
del poeta, amano combattendo ed odiano con l’indifferenza. C’è perfino chi giura
che un tempo furono amanti, prima che un fato impietoso li separasse e
prostituisse la pioggia su tutta la terra. Il battesimo della pioggia ai primi
di settembre, che qui coincide con l’apice dell’autunno, non è proprio quella
che si può definire una grazia divina e così Elis e Selen fuggono in cerca di un
riparo di fortuna, una piccola tana per orsi sarebbe bastata, una grotta dove
Elis si incarica di accendere immediatamente un fuoco per allontanare paure e
freddo e scrollarsi di dosso la pioggia e scoraggiare le bestie feroci. Attorno
al laghetto di Santa Siria non abitano certo animali pericolosi, ma la fantasia
degli umani, nel bisogno, sa produrre i mostri più inquietanti, ed il silenzio
che dimora quelle foreste e quelle acque fa paura perfino alle stelle. Un
semplice cerbiatto infreddolito indossa la pelle dell’orso e minaccia, ed il
vento pare proprio intenzionato a far camminare gli alberi che diventano
inquietanti Lestrigoni. Poche cose sono belle come una tempesta nei boschi
d’autunno, ma anche poche cose spaventano al pari degli alberi mossi dal vento
di notte. Le paure affondano sempre saldamente le radici nell’anima e nel cuore
e, proprio come un bimbo che allo spegnere della luce vede la sua cameretta
animarsi di mille creature spaventose, così Elis e Selen che vivevano ancora gli
echi di paure passate che sbattevano i sentimenti come le onde del mare contro
gli scogli. Gran brutta cosa davvero i demoni della memoria in questi casi. Ma
la voce del fuoco è poesia che riscalda il corpo e rasserena i cuori!
Fuori la tempesta increspava dolce di onde le acque del laghetto, dentro al
cuore piccoli contrasti parevano aprire ferite capaci di sanguinare ancora, ma
il dolore è solo ferita e ricordo, non vale come obiezione contro la vita, e
dentro quella grotta un fuoco di antico bivacco come un balsamo risana i cuori
che le paludi dello Stige chiudono le fauci e le Sirene di Scilla e Cariddi non
abbaiano quasi più, sebbene le ombre della notte rimangano. Davvero il cielo di
quella sera era pronto per la magia delle magie: un cielo così non può
tramontare senza aver prima portato la gioia ai mortali!
Tutto ebbe inizio quella sera ed il temporale che tutto decise spalancò le
finestre alla tempesta infinita che non perdona e che nulla ha da invidiare al
vento quando, impetuoso, agita il mare fin negli abissi, alla tormenta che sulle
cime dei monti agghiaccia i cuori, agli dei dell’Olimpo che un giorno lontano
modellarono le terre e la vita nella creazione.
Elis e Selen accoccolati in quella grotta osservavano la pioggia che cadeva, i
fulmini del potente Zeus che come una mannaia spaccavano il silenzio in due e
provavano il coraggio degli uomini. Attendevano un segno dal cielo che desse
inizio alle danze, e nei loro corpi e nei loro cuori le onde si agitavano più di
quelle del laghetto violentato dal vento.
Nel frattempo, in lontananza, attorno al castello delle Due Torri, dove le cose
contano più delle persone, nel paesino chiamato Arcobaleno poiché univa le due
sponde opposte di un fiume sacro, le luci e i canti annunciavano le festa dei
Raccolti e i soliti cittadini sempre distratti e troppo carichi di fretta
maledicevano il vento che aveva portato la pioggia, ignari delle conseguenze
della loro bestemmia: il tonante Zeus non perdona facilmente chi maledice così i
suoi figli. Contemporaneamente nel tempio del Sacro Cuore di San Salvatore,
situato proprio di fronte al castello, si andava rinnovando l’alleanza
Trono-Altare e falsi dei si prostituivano al potere imperiale e si preparavano
ad accogliere le offerte dei contadini.
Ignari erano anche Elis e Selen sull’uragano che stava per abbattersi su di loro
e che avrebbe deciso per sempre quella notte. Già, perché anche un solo attimo
d’amore condiviso può riconciliare un uomo con se stesso e renderlo felice per
una vita intera! Rinchiusi in quella grotta Elis e Selen erano così vicini che
quella pioggia pareva proprio creata per l’occasione; e chi può scommettere che
non lo fosse? Spesse volte gli dei si divertono a guidare il buon fato
attraverso le vie più bizzarre che non sempre i temporali capitano per punire i
mortali.
Non può piovere per sempre, nel cielo come nel cuore degli uomini e così, dolce
spunta la luna, un firmamento di stelle, e nei cuori un sole bello come solo la
tempesta sa donare. Elis è il primo a farsi coraggio e ad uscire dal rifugio ed
il suo pensiero corre veloce ai fiori e ne prepara una collana per la sua amata.
Non gli piaceva strappare i fiori dalla loro terra, gli pareva un furto
imperdonabile, ma Elis per Selen avrebbe rubato una stella! Non erano fiori
troppo ricercati, ma semplici fiori di bosco: qualche giglio, una rosa silvestre
, qualche rametto di menta, alloro dalle fronde immortali, ma che parevano
proprio educati alla bellezza di Selen. Elis ne raccoglie quindi in un
improvvisato cestino di saggina, semplice ma dorata come il grano nella stagione
che fa impazzire i fiori. Ne raccoglie petali e foglie che quando torna da Selen
pone proprio sopra l’entrata della grotta dove il vento realizza una nevicata,
un caleidoscopio di colori e profumi che per Selen hanno il sapore dell’incanto.
Dolce fu quel vento che, mentre spargeva i petali per tutta la grotta, non
pareva proprio intenzionato a punire o prendere a schiaffi: davvero il vento sa
sempre decidere i tempi ed i modi del suo operare.
continua |