Roberto Barbari

Saggio
di Roberto Barbari
Pagine: 57
Prezzo: 8,00 euro
 


 

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PROFILO DELL'AUTORE

Roberto Barbari, nato a Ponte della Priula (TV) l'11 settembre 1967.
Dopo aver conseguito nel 1987 il Diploma in Elettronica Industriale, segue una pausa lavorativa di alcuni anni di lavoro; poi riprende gli studi all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e nel 1999 si laurea in Filosofia e Scienze Umane.
La sua intera produzione letteraria è in gran parte ancora inedita e solamente sette raccolte poetiche sono state pubblicate: «Dai quattro angoli del cielo» (Edizioni Il Filo, 2008), «Il Flauto di Pan» (Il Convivio, 2009), «Carezze di luna» (Il Convivio, 2010), «Eco di vento» (Aletti, 2010), «Ad Oriente in Eden» (Il Convivio, 2010), «Frammenti di stelle» (A.L.I. Penna d’Autore, 2010) e «Passi sotto la neve» (Il Convivio, 2011). Ha pubblicato inoltre per la narrativa tre romanzi: «La figlia di Penìa», (A.L.I. Penna d’Autore, 2010), «La coda del gatto» (A.L.I. Penna d’Autore, 2011) e «Why» (A.L.I. Penna d’Autore, 2011). La silloge «Dai quattro angoli del cielo» ha ottenuto i maggiori riconosci-menti: è risultata finalista al concorso «Insieme nel Mondo», si è classifi-cata al terzo posto al concorso «Giovanni Gronchi» (2009 e 2010) e al sesto posto al concorso «Franco Bargagna 2010», e ricevuto un diploma di merito al concorso «Albderoandronico 2009». Altri riconoscimenti le ha conseguiti con le composizioni poetiche «Manto di delizie», che è stata inserita nell'Audio Libro di Penna d'Autore, «Come un giglio tra le spine», premiata al concorso Città Cava de' Tirreni, «Chiudere gli occhi», pubblicata nell'antologia «Habere Artem» e «La conchiglia più preziosa» pubblicata nell’antologia del Premio Giovanni Gronchi.

 

L'ENIGMA DELLA VITA

Parole di Qoèlet (1,1-2)

1,1 “Parole” è un termine dall’area semantica decisamente vasta, che sta ad indicare, discorsi, riflessioni, insegnamenti. A proposito del riferimento a Salomone, come già riferito nell’ introduzione, si tratta di un testo pseudo epigrafico, in quanto opera manifestamente più tarda, come attestato dalla lingua utilizzata e dai problemi trattati, tanto da poter concludere che Salomone è qui evocato come esclusivo espediente letterario, al solo scopo di sottomettere il testo all’alto patronato del sapiente poeta per eccellenza. Il nome Qoèlet nel libro compare sette volte (simbolo di perfezione), ma non possiamo deciderci né per un nome proprio né per una professione. Qoèlet non è un personaggio noto alla storia, che lo si può, a ragione, ritenere uno pseudonimo, anche per ciò che indica: colui che parla all’assemblea.

1,2 “Vanità”, hebel, rappresenta la parola chiave, la cornice di tutto il testo, forse la più cara all’autore, certamente il succo di tutta la sua ricerca. La traduzione di hebel con vanità non è l’unica possibile, anche se molto felice. Hebel può infatti significare: soffio, vuoto, effimero, assurdo. Tutto l’universo umano è immensa vanità, tutto ciò che si compie sotto il sole è vuoto, assurdità.
Facile ci viene ora un accostamento fra il mondo ebraico e quello mesopotamico (meno con quello egizio), proprio in un punto ben preciso: la sconsolata visione della morte e dell’aldilà. L’uomo è nell’impossibilità di vincere la morte, emblematica è l’epopea di Gilgamesh. La vita dell’uomo e tutto ciò che egli può fare è hebel: egli è destinato alla morte.
Infine, che il versetto sia riportato in terza persona, potrebbe suggerire che a parlare sia un discepolo, anche se sono versi talmente qoèletiani da poter essere ritenuti, senza ombra di dubbio, fedeli al pensiero del maestro.


Niente di nuovo sotto il sole (1,3-11)

1,3 Assieme al versetto 2, il 3 anticipa la tematica generale del testo. Il problema di Qoèlet è infatti quello di cercare cosa vi sia di bene per l’uomo nella vita, quale vantaggio vien dal fatto di essere uomini. Va ricordato che ai tempi di Qoèlet anche la civiltà greca andava cercando, non più i grandi problemi del cosmo o della metafisica, ma semplicemente il bene per l’uomo. Gli inizi dello stoicismo e dell’epicureismo sono contemporanei a Qoèlet. Qoèlet è un osservatore spietato che osserva le cose dall’esterno ma anche da dentro, nel profondo del suo io. Non ha paura della ricerca, fiducioso com’è nella potenza della ragione, sebbene alla sua domanda fondamentale fa eco solo il vuoto, la vanità.
Egli conosce il travaglio della creatura uomo nonché quello ancor più terribile interno ad ogni singolo uomo. E dall’alto di questa torre di osservazione guida le sue indagini.
Del lavoro viene sottolineato l’aspetto faticoso, duro ed aspro, mentre “sotto il sole” è un tipico grecismo presente un po’ in tutta l’area mediterranea, che delimita lo spazio vitale dell’uomo, in contrapposizione al “cielo” dove invece sta solo Dio. Il destino dell’uomo si compie interamente “sotto il sole”, psicologicamente più acuto e limitante di “sulla terra”. La domanda di Qoèlet è decisamente retorica, e si attende perciò una risposta negativa, andando contro un’intera tradizione sapienziale ben consolidata, secondo la quale la vita è trasparente e priva di problemi insoluti.
Il versetto 3 si risolve quindi in una condanna: siamo schiavi, e l’inutilità di tanta fatica è contrapposta alla vera sapienza che riconosce ed accetta il proprio limite.

1,4-7 Prima testimonianza della vanità che pervade tutto ci viene dalla natura. Le generazioni scorrono (sia avviano alla morte, qui solo implicitamente richiamata), mentre la terra sussiste: la terra è più forte dell’uomo! La ciclicità vana raggiunge perciò anche la natura, il sole, il vento, i fiumi, il mare. Eccoli i quattro elementi fondamentali che suggeriscono un evidente contatto con la filosofia greca (anche se Qoèlet non tratta di principi generali ed astratti, quanto di realtà visibili e concrete). La ciclicità della natura è garantita proprio da questo non colmarsi delle mete, compresa la morte, verso le quali sono diretti i movimenti, cosa che l’autore non manca di sottolineare. Tutto si muove sulla terra, anche se con circolarità vincolanti.

1,8-11 Dopo la natura ecco la storia, più vicina all’uomo, a dare conferma alla vanità di tutta l’esistenza umana. Il versetto 8 svolge una chiara funzione di ponte fra due pericopi: come conclusione ai versetti 4-7 e come anticipazione di quelli 9-11. Tutte le cose affannano e l’unico strumento di dominio dell’uomo su di esse ne esce sconfitto: la realtà supera la parola, l’uomo, e non viceversa come invece credeva la troppo ottimista tradizione sapienziale fino a Qoèlet. Come non si colma il mare così non si sazia l’uomo di conoscere sebbene questa sete si scontri coi limiti umani. L’uomo è una porta sull’infinito!
Il mondo di Qoèlet è quello dell’antichità che fa coincidere immobilità con perfezione e viceversa, bipolarismo che si trasferisce alle due sfere, quella sotto il sole e quella sopra. Sotto il sole regna la ciclicità e l’imperfezione: nulla di nuovo salvo illusori quanto vani miraggi.
Il versetto 11 ci fornisce la ragione ultima che fa apparire nuovo ciò che nuovo non è. È il tema della fama, della memoria che funge da tentativo ultimo di superare la morte, ma la conclusione è più elegiaca che mai: l’oblio stende il suo velo su tutti, malvagi e pii. Negata l’immortalità individuale, non rimane neppure quella del ricordo. L’oblio che si riteneva riservato solo ai malvagi, Qoèlet lo estende a tutti gli uomini (cfr. Sap 2,4-5; Sir 44,10).
Qoèlet è un buon filosofo, amante quindi più della sapienza che della scienza. Per lui la vita è una fatica, un affanno che però vale la pena vivere. Qoèlet è un appassionato ricercatore di senso, un innamorato del vivere umano, che gioisce nella ricerca anche quando la vita pare sbaragliare ogni speranza sollevando i vuoti più tremendi. La ricerca di Qoèlet è spietata e coraggiosa, perché, in ogni scalata c’è bisogno di punti fissi ai quali ancorarsi sicuri: ma ora non c’è nessuno a cui aggrapparsi. È questa la dimensione del mistero, antropologico prima di tutto, e religioso poi.

continua

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