Saggio
di Roberto Barbari
Pagine: 76
Prezzo: 8,00 euro
Chi desidera acquistare uno o più volumi dell'autore, deve inviare una e-mail all'ali@pennadautore.it. |
|
PROFILO DELL'AUTORE
Roberto Barbari, nato a Ponte della Priula (TV) l'11 settembre 1967.
Dopo aver conseguito nel 1987 il Diploma in Elettronica Industriale, segue una
pausa lavorativa di alcuni anni di lavoro; poi riprende gli studi all'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano e nel 1999 si laurea in Filosofia e Scienze
Umane.
La sua intera produzione letteraria è in gran parte ancora inedita e solamente
sette raccolte poetiche sono state pubblicate: «Dai quattro angoli del cielo»
(Edizioni Il Filo, 2008), «Il Flauto di Pan» (Il Convivio, 2009), «Carezze di
luna» (Il Convivio, 2010), «Eco di vento» (Aletti, 2010), «Ad Oriente in Eden»
(Il Convivio, 2010), «Frammenti di stelle» (A.L.I. Penna d’Autore, 2010) e
«Passi sotto la neve» (Il Convivio, 2011). Ha pubblicato inoltre per la
narrativa i romanzi «La figlia di Penìa», «La coda del gatto» e «Why» (A.L.I.
Penna d’Autore, 2011), e per la saggistica «L’enigma della vita» e «Tu per me
non morirai» (A.L.I. Penna d’Autore, 2011). La silloge «Dai quattro angoli del
cielo» ha ottenuto i maggiori riconoscimenti: è risultata finalista al concorso
«Insieme nel Mondo», si è classificata al terzo posto al concorso «Giovanni
Gronchi» (2009 e 2010) e al sesto posto al concorso «Franco Bargagna 2010», e
ricevuto un diploma di merito al concorso «Albero-andronico 2009». Altri
riconoscimenti li ha conseguiti con le composizioni poetiche «Manto di delizie»
e «Follia d’amarsi» (A.L.I. Penna d’Autore), «Come un giglio tra le spine»,
premiata al concorso Città Cava de' Tirreni, «Chiudere gli occhi», pubblicata
nell'antologia «Habere Artem», «La conchiglia più preziosa» pubblicata
nell’antologia del Premio Giovanni Gronchi e «Promessa del vento» (Aletti
Editore).
TU PER ME NON MORIRAI
Introduzione
La creazione è una realtà materiale (detta anche penultima)
e, rappresentando un rimando a Dio, non può che essere buona. La creazione non è
un dogma di fede. Il contenuto fondamentale resta: “In principio Dio”, cioè Dio
precede, è prima di ogni principio. All’uomo resta il compito fondamentale di
comprendere ed interpretare la creazione, ogni volta daccapo con rinnovato
coraggio. Sempre presente nel rapporto uomo-dio, la creazione pone domande ed
orienta a risposte senza tuttavia darne. Ecco quindi che Dio va cercato,
scoperto nel creato, nel quotidiano reale, nella fede alla terra. La salvezza
che viene da Dio non è solo dal peccato: la creazione è già un dare vita e
spazio all’uomo da parte di Dio e perciò è già salvezza. L’azione di Dio però
non si ferma all’atto creativo iniziale: egli continua a creare conservando e
sostenendo la creazione, “garantendo il cibo ad ogni vivente” (cfr. Sl 136,25).
La creazione va perciò letta nell’amore. Dio è l’originario, tutto il resto è
secondario. Ciò che è essenziale è inserirsi in questo amore. Dio offe il suo
amore, incrollabile e fedele (poiché lui resta il creatore) e costringe l’uomo
ad una risposta, di accettazione, rifiuto, indifferenza. Il peccato perciò, non
può che essere uno sconvolgimento, da parte dell’uomo, della creazione stessa.
Il libro della Genesi va letto in chiave teleologica. La creazione è già
salvezza. Aderire al reale è salvezza. Il peccato di idolatria è proprio
l’abbandono della realtà per rifugiarsi nell’immaginario: Dio è da cogliere nel
reale, nella storia.
Fatto fondamentale col quale l’uomo deve continuamente confrontarsi è la
finitudine che lo costituisce essenzialmente. Giobbe fa l’esperienza del Dio
cattivo, e Dio gli replica rimandandolo al limite umano (cap. 38), proprio come
nella Genesi a proposito dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
L’uomo è tale se finito.
Nel Nuovo Testamento, Gesù nutriva per la creazione un atteggiamento di
simpatia, armonia, ribadendo così l’importanza di non fuggire il reale
quotidiano.
La Genesi (in ebraico Bereshit cioè In principio) è il primo libro della Bibbia
e del Pentateuco o Torah, cioè legge o insegnamento di Dio. Indica principio di
una serie di eventi salvifici di Dio. Redatta attorno al V-IV secolo a.C. dove
confluiscono fonti di epoche storiche varie nel tempo e nei contenuti.
Sostanzialmente è costituita da due tavole: i primi undici capitoli che vedono
come protagonista l’adamo, cioè l’uomo (e che costituiranno l’oggetto di questo
studio) ed i capitoli successivi che hanno per oggetto Abramo e la sua
discendenza.
Nei primi undici capitoli si possono distinguere fondamentalmente due fonti di
narrazione dette anche tradizioni. Quella jahvista (dove il nome di Dio è Jahweh,
presenza viva ed attiva presso il suo popolo). Nasce attorno al X secolo a.C.
alla corte di Gerusalemme e rappresenta una prima sistemazione dei ricordi
originati da Mosè, con assieme una prima meditazione teologica su di essi. È il
periodo di Salomone, epoca di grande splendore. Israele, partito da pochi
pastori, si ritrova ad essere un popolo ricco e potente e tenta di giustificare
questa ascesa riconoscendo in Dio la vera fonte della vita e della prosperità.
In questa tradizione prevalgono narrazioni molto vivaci e pittoresche ricche di
antropomorfismi: la creazione (c.2.3); la storia di Caino (c.4); il racconto del
diluvio (c.6-8); il castigo dei figli di Noè (9,20-27); la torre di Babele
(c.11). Si tratta di una teologia concreta, pragmatica, nazionalista,
ottimistica fino quasi all’ingenuità, che al peccato dell’uomo contrappone la
bontà di Dio e le sue promesse che non vengono meno mai. È l’epoca salomonica o
poco più tarda, ed i racconti poetici e cultuali, inorganici sulla bocca del
popolo, divengono letteratura. Le tradizioni cultuali erano impensabili fuori
dall’ambito del sacro, ma con la crisi del culto genuino e con l’inizio della
monarchia che da vita allo stato di Israele, l’illuminismo salomonico subordina
materiali cultuali ad idee più vaste e ad un’elaborazione letteraria.
L’altra tradizione è quella sacerdotale, sorta attorno al VI secolo a.C., in
contemporanea alla deportazione degli Ebrei in Babilonia ed alla successiva
fiducia nel ritorno dall’esilio. La prosperità antica è perduta, il tempio,
simbolo dell’alleanza fra Dio ed il suo popolo è distrutto, il rischio di
perdere la fede elevato. Si tratta di una tradizione rigorosa, astratta e
dottrinale, tipica di una scuola, ma precisa e desiderosa di mantenere
l’identità dell’ebreo anche nella confusione dell’esilio babilonese e nella sua
tentazione idolatrica. È il momento grave della prova che costringe a rifondare
una fede tutta nuova. L’esilio mette doppiamente in discussione la fede dei
padri: da un lato sta il male subito in attrito stridente con le benedizioni e
le promesse di Dio, dall’altro lo splendore di Babilonia, autentica beffa per
l’ebreo. In questa scuola prevalgono le genealogie, del cielo e della terra
(c.1), da Adamo a Noè (c.5), quella universale (c.10), da Sem ad Abramo (c.11).
a tale proposito occorre ricordare che le genealogie non sono affatto
riconducibili a cronologie anagrafiche, bensì indicative di una direzione, di un
destino benedetto da Dio con la benedizione delle benedizioni: la generazione di
figli.
Questi primi undici capitoli della Genesi rappresentano quindi un profondo esame
di coscienza dell’umanità alla luce della Parola Rivelata, sul senso,
del’esistenza, della fede, dell’amore, della libertà. Il testo si confronta con
la meraviglia della creazione nella quale entra in scena l’uomo con il dramma
della caduta, del male e dell’oppressione, per approdare però, non allo
scoraggiamento ed alla disperazione, bensì al fiorire della speranza e della
salvezza in Abramo.
La parola di Dio è scritta nelle pieghe della storia: queste sono pagine
sapienziali! Pagine ispirate che salvano l’immensità del messaggio divino e
costringono l’uomo ad una continua interpretazione.
Nel testo che andremo ad esaminare possiamo infine distinguere due prospettive,
una luminosa che appare nei primi due capitoli dove si avverte il sogno di Dio
sulla creazione, ed una tenebrosa che si protende fino all’undicesimo capitolo.
L’uomo è creato libero fuorché nei confronti dell’albero della conoscenza del
Bene e del Male, non dispone cioè di una libertà assoluta circa i principi
morali, ed il pessimismo dell’autore ritiene fragile la libertà dell’uomo al
punto di cedere alla tentazione di costruirsi da sé un sistema morale: ecco la
tragedia. L’uomo non è un Dio, non può fare da creatore della morale. Il
rapporto uomo-donna è infranto e segnato da violenza, così come quello con la
creazione e col Creatore; il fratello uccide il fratello, l’umanità si corrompe
fino a causare il diluvio, la volontà di potenza sfocia nella confusione di
Babele. Nulla di diverso dall’uomo d’oggi che,dopo aver ucciso Dio, ha creduto
di poter fare da sé e da sé costruire un sistema morale.
|