Romanzo
di Lorna Cargnelutti
Pagine: 69
Prezzo: 12,00 euro
ISBN 978-88-6170-097-0
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UNA DI NOI
Ero consapevole di essere una bella ragazza, di quelle che
camminando per strada facevano girare la testa, pur non esibendosi. Trasmettevo
inquietudine e curiosità per il modo di fare disinvolto e sereno, senza eccessi,
insomma mi mettevo in luce, così, mi veniva spontaneo. Sin dai tempi delle
superiori avevo più di un corteggiatore e mi contendevano, come in una
competizione, naturalmente io ero il premio e mi compiacevo di tanta attenzione,
anche se ci si limitava a dire “siamo fidanzati”. Terminati gli studi
universitari, decisi di rendermi economicamente indipendente, quindi mi misi
alla ricerca di qualcosa da fare, senza alcuna pretesa, fresca di laurea andava
bene quasi tutto. Infatti, trovai un’occupazione come impiegata in una
grand’azienda e lì, a mie spese, incominciai a capire cosa significasse vivere
nel mondo del lavoro e soprattutto a contatto con gli uomini. Il primo giorno
ero molto impacciata, meglio sarebbe dire che lo sono stata per diverso tempo.
La mia ingenuità mi rimediava, ogni tanto, qualche figura da chiodi, perché non
comprendendo alcuni atteggiamenti all’interno degli uffici, candidamente, me ne
uscivo con frasi poco adeguate alle tresche intrecciate da alcune signore…
“Come ti chiami?”, chiese la ragazza seduta alla scrivania di fronte la mia, già
come “ti chiami”. detto ad una del classico faceva rabbrividire, avrei voluto
correggerla ma con tono seccato risposi:
“Il mio nome è Sonia, Sonia Vivaldi”.
“Hai già lavorato prima di adesso? Io sono qui da circa un anno”.
“No, per me è il primo lavoro, mi sono laureata quest’anno, non so molto del
lavoro d’ufficio”.
“In cosa ti sei laureata?”.
“In lettere”.
“Uhm, insolita per questi tempi. Adesso si preferiscono titoli informatici o
cose del genere…”.
“Penso che il bello sia fare ciò che a ciascuno piace, ti pare?”.
Non la smetteva, perché era così invadente?!
“Tu, cosa pensavi di fare quando hai scelto quella facoltà?”.
“Che cosa penso di fare nel prossimo futuro, vorresti dire?”.
Il suo sguardo interrogativo m’innervosiva e, per zittirla, aggiunsi:
“La giornalista”.
Avevo creduto che la sincerità fosse tenuta in considerazione, invece ignara, mi
ero creata la nomea di quella che crede, di essere superiore agli altri, pur non
sapendo muoversi autonomamente tra le carte d’ufficio. Cercavo di trovare un
lato buono all’indifferenza che si era creata tra me e le colleghe, infatti, mi
si offriva di non sforzarmi in convenevoli, se non quelli dettati
dall’educazione. Non dovevo sforzarmi di scendere in pettegolezzi con nessuno,
cosa assai difficile per loro, che meraviglia se fosse stata una regola nella
vita. Invece anch’io, come tutti, ho imparato ad essere un po’ compiacente,
soprattutto nel rapporto con il prossimo dal quale dipendeva anche la mia
autonomia finanziaria. Naturalmente il compromesso non cozzava con i miei
principi, per lo più mi lasciavano in pace le donne, ma gli uomini, oh! Quelli
sì che erano tremendi e più in là, nel tempo, avrei capito quanto. Pur diversi
tra loro per esperienza e cultura, avevano in comune lo stesso denominatore “il
sesso”. Ogni tanto pensavo che per fortuna esistesse anche il tempo libero, si,
già, ma cosa facevo? Perdevo tempo con gli amici, ci si incontrava, si beveva
una bibita, si chiacchierava di tutto ed in particolare di niente. Volevamo
credere e far credere nostri, tutti i pensieri che si esternavamo, invece erano
quelli propinati dai media, di destra o di sinistra. Eravamo ancora confusi un
po’ tutti. Si rincasava per cena, poi ancora in giro, qualcuno si appartava,
altri, pur avendo il proprio lui o la propria lei, restavano con il gruppo per
organizzare le future uscite in discoteca o al cinema. Si partecipava a feste in
casa, messe a disposizione a turno che erano una vera noia, bisognava stare
attenti a non disturbare la quiete dei vicini, per evitare fastidi con i
genitori ospitanti, oltre che a fingere di divertirti, i ragazzi non perdevano
occasione per fare richieste quasi oscene e le ragazze chiedevano un po’ di
privacy. In effetti, qualsiasi atteggiamento accondiscendente, tenuto davanti a
tutti sarebbe sembrato di cattivo gusto, oltre al fatto che il giorno dopo
avrebbero detto di te che sei di facili costumi. I mesi scorrevano così, senza
novità. Ma…un bel giorno… un mio collega mi chiede:
“Posso accompagnarti a casa?”.
“Sì, va bene, grazie”, riposi senza esitare.
Possedeva una macchina sportiva ed era corteggiato da diverse ragazze, per
questo motivo avevo accettato, inoltre non era proprio male. Non vedevo l’ora
che arrivasse il momento di uscire con lui e, non sapendo come comportarmi per
evitare malintesi, decisi di attendere gli eventi, ma non fu necessario, mi
accompagnò a casa tranquillamente, inquisendomi sui fatti anagrafici: dove
abiti, hai il ragazzo, hai fratelli…, con la promessa di uscire una delle sere
successive. Mi rimase, nelle narici, il suo profumo penetrante misto all’odore
di tabacco, era più grande di otto anni, mi sentivo l’eletta. Così quella notte
non dormii per nulla, pensando a cosa dire e fare il giorno seguente. La
giornata trascorse al solito mentre lui non mandava alcun segnale, mi rendeva
nervosa il pensiero che avesse voluto ostentare con i colleghi il suo lato
persuasivo nel farmi accettare un passaggio, all’ora d’uscita lo intravidi
mentre se ne andava. Oltre ad essere delusa ero mortificata, come, tutti mi
corteggiavano e lui, lui al quale avevo confermato un’uscita serale, mi evitava?
Riflettendo sui fatti decisi di ignorarlo, fu impossibile perché diventò un
tarlo; continuamente il pensiero andava alla voglia di farmi stringere e baciare
da lui, annusare di nuovo quel profumo di maschio adulto, sentirmi desiderata,
sentirmi un po’ più grande. La sera continuavo ad uscire con gli amici, con poca
partecipazione, infatti, Guido lo notò ed incominciò a martoriarmi con le
osservazioni, tipo “da quando lavori sei cambiata, durante il giorno non mi
telefoni più, ti da fastidio baciarmi”. Che stress! Sembrava così lontano da me
anni luce, l’osservavo domandandomi come avevo potuto fare coppia con lui che
era così acerbo, così giovane. In fondo, però, era pur sempre stato il mio
ragazzo al quale mi era piaciuto accompagnarmi, studiare, uscire. Non c’era
stato vero sesso tra noi, in ogni caso i suoi baci rimanevano grandiosi. Mi
faceva tenerezza, allo stesso tempo, però, pensavo a Fulvio, a come sarebbe
stato lo stare insieme, soprattutto dove mi avrebbe portato, visto che viveva
con i suoi. Passò una settimana spietatamente lenta, fino a quando si degnò di
invitarmi ad una cena a casa di suoi amici. Eureka! Per quella sera volevo
essere elegante, frequentava persone classiche e non volevo metterlo a disagio.
Provai tutto il guardaroba o quasi, accostavo calzoni a camicie, maglie a gonne,
una scarpa e uno stivale per vedere quale stesse meglio, insomma alla fine ero
confusa, in più avevo un bel po’ di cose da ripiegare. Altrimenti chi sentiva
mia madre! Uscii in gonna e camicia, sobria ma pur sempre tanto giovane. La
serata fu molto noiosa, parlarono di politica e si mangiò poco, mentre un amico
suonava il pianoforte. Sì, parlavano perché io ero fuori da ogni loro
considerazione. Finalmente congedati, eravamo soli.
Avevo il cuore in tumulto nell’attesa di qualcosa… Fulvio guidò con tranquillità
e mentre si considerava la serata, allungò una mano sulle mie ginocchia, sentii
un brivido lungo la schiena e le gambe molli quando portò la mano sotto la
gonna, su, fino a toccarmi gli slip. Ero imbarazzata e dimostravo di esserlo,
nello stesso tempo desideravo che non smettesse. Fermò la macchina e mi strinse
a sé, cominciai a sudare impacciata come non mai, mi accarezzava le cosce
sfiorandomi il pube al disopra delle mutande, la mano calda e sapiente scorreva
su e giù, lentamente, dalle gambe all’inguine e poi verso il seno, sopra la
camicia, in un morbido massaggio, mentre la sua lingua cercava avidamente la
mia. Questo suo non violarmi accresceva il desiderio di essere toccata
intimamente, di sentire il contatto della pelle, di provare quell’emozione
intensa che mi bruciava dentro. Allungai la mano sul rigonfiamento dei calzoni
e, maldestramente, cercai di massaggiarlo, ma la lampo e la cintura ostacolavano
il movimento, se ne rese conto e dolcemente si liberò. Pensai,adesso cosa
faccio? Non ebbi molto tempo per decidere, mi guidò verso di lui e stringendomi
la mano si procurò il piacere maschio. Ero intontita, non capivo se anch’io
avessi la stessa esigenza di raggiungere l’orgasmo o se già lo era, quel piacere
che provavo con quel continuo titillare le labbra, tra le gambe. Si svolse tutto
nel silenzio, interrotto solamente dai nostri mugolii di soddisfazione. Dopo
esserci ricomposti, accesa la radio, ripartimmo alla destinazione di casa mia,
con il proposito di rivederci al più presto. Nei giorni seguenti ci s’incontrava
durante la pausa pranzo, ognuno in compagnia dei propri colleghi, fingendo di
non avere avuto quell’incontro ravvicinato. Mi domandavo se quell’incontro,
fosse stato un suo bisogno del momento o un interesse più puro nei miei
confronti. Non nascondo che il pensiero di noi, abbracciati con un unico scopo,
mi eccitava, avrei voluto telefonargli o mandare un sms per renderlo partecipe
del mio desiderio, ma il timore che non rispondesse mi faceva desistere. Sì,
ammetto l’insicurezza, dettata dal fatto che non avendo esperienza, mi mancava
la padronanza di interloquire sull’argomento con la dovuta spontaneità, quindi
attendevo il suo passo successivo. Si fece attendere una settimana, nella quale
mi ero “cotta” a puntino, c’incontrammo per un cinema. All’uscita, stesso
copione, con la variante che ci abbandonammo solo in profusioni affettuose,
fatte di baci e carezze, ci salutammo con la promessa di sentirci
telefonicamente. Nel frattempo frequentavo svogliatamente gli amici e mentivo a
Guido, adducendo stanchezza cercavo di non incontrarlo. Era evidente che, non
essendo un allocco, leggeva a chiare lettere i messaggi che mandavo con il mio
sfuggire. Aspettavo sempre con batticuore il momento della telefonata, sempre
intensa di dolcezza e d’allusioni al sesso. Affermava che non voleva
approfittare della situazione che avrebbe aspettato il momento giusto per
avermi. Pensava al futuro, voleva presentarmi ai suoi, pareva avventato oltre
che presuntuoso, non avevo sicuramente intenzione di legarmi a nessuno, dovevo
prima pensare alla mia carriera. Non mi ero sbagliata, dopo qualche mese, un
sabato, mi portò con sua madre a pranzo in montagna, durante la giornata fui
oggetto di molte attenzioni e domande, non mi erano bastati gli anni
d’interrogazioni a scuola. Probabilmente voleva capire come la pensassi, si
comportava come tutte le mamme del mondo che si preoccupava del futuro dei
figli, misto di panni da stirare e pasti caldi. Rientrammo a Milano, per fortuna
il tormento era finito, non mi ero divertita, troppo da grandi, pur essendo
attratta da lui non condividevo il modo in cui stava impostando il nostro
rapporto, avevo ancora molto bisogno di vivere con la spensieratezza e
l’entusiasmo della mia età. Esaminandomi capii che ero attratta, unicamente, dal
pensiero di andarci a letto e soprattutto che fosse molto più grande, in ogni
modo non vedevo vie d’uscita per trovare la mia soddisfazione sessuale, il primo
passo non doveva essere il mio. In ufficio le cose andavano avanti per inerzia,
non ricevevo nessuna gratificazione da quello che mi facevano fare, essendo la
più giovane e l’ultima in ordine di assunzione, ero la trottola di turno. Non
avevo un incarico preciso, dovevo aiutare un po’ tutti, nei picchi di lavoro del
settore commerciale.
continua |