Saggistica di Gennaro Cesaro
Pagine: 72
Prezzo: 5,00 euro
Tel.: 081 8083255
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PROFILO ARTISTICO
Dello stesso autore:
Luci su Napoli (antologia a uso delle scuole medie e medie superiori), Ferraro
(Napoli, 1994).
Giacomo Leopardi: curriculum mortis, Le Monnier (Firenze, 2001).
L’oro del Sud (antologia della letteratura meridionale del Novecento), Pironti
(Napoli, 2003).
Mussolini e Carlo; Scarfoglio (saggio storico), Le Monnier (Firenze, 2003).
Nuovi tasselli sulla nascita di Leopardi (ibidem, 2004)
In preparazione: Il meglio della poesia mondiale del Novecento.
Indro Montanelli: luci e ombre (saggio critico, con documenti e testimonianze
inediti).
Victor Hugo e la figlia Leopoldine
Lo strazio causato nell’animo di Victor Hugo dall’inopinata
morte della primogenita Leopoldine è il capitolo più drammatico della sua
intensa vita e l’immendicabile lutto interiore che ne conseguì è senza dubbio
una delle pagine più coinvolgenti della poesia di ogni tempo.
Mai era capitato che un affetto familiare crudamente lacerato facesse vibrare
con tanta grandiosità di accenti lirici le corde creative di un genio.
Nata nel 1824, Leopoldine portava il nome del nonno paterno, Leopold Hugo,
generale dell’esercito. Sin dai primi mesi di vita la bambina in casa era
chiamata col vezzeggiativo Didine.
Era cresciuta nutrendosi dell’incondizionato sostegno spirituale dell’illustre
padre.
Aveva diciannove anni, quando, nel febbraio 1843, andò sposa a Charles Vaquerie,
un giovanotto di bella presenza, rampollo di una facoltosa famiglia di armatori
residenti a Le Havre, del quale la ragazza era follemente innamorata.
L’affiatata coppia di sposini era andata a vivere a Villequier, sulla riva
destra della Senna, a poca distanza dal mare.
Victor Hugo, nell’estate 1843, in partenza per le vacanze in Spagna, andò a
salutare l’amata figlia, che da tre mesi era in attesa di un figlio ed era al
sommo della felicità.
Leopoldine aveva promesso al padre che, se fosse stato un maschio, gli avrebbe
dato il suo nome.
Al momento di congedarsi dallo scrittore, fu turbata da un oscuro presentimento
e non voleva separarsi da lui.
Lo supplicò di non partire.
Il commiato fu assai malinconico e lasciò una patina di accoramento sul viso
dell’autore dei I miserabili, al punto, poi, da fargli apparire piuttosto
deludente il suo viaggio in terra iberica. Un’inspiegabile apprensione si era
impadronita del suo animo, che sulla via del ritorno si trasformò in angoscia.
Era il 9 settembre 1843, quando il grande scrittore, da poco rientrato in
Francia, si fermò in un caffè di Rochefort, per rifocillarsi e leggere qualche
giornale.
E fu a quel punto che il pungente turbamento che lo aveva accompagnato durante
le vacanze si cristallizzò in una notizia assurda, devastante.
Aperto un giornale, Hugo sbottò in un’angosciosa esclamazione: “È terribile!” e
rimase pietrificato, esterrefatto.
Il quotidiano riportava la notizia dell’improvvisa morte della sua Leopoldine e
del genero, annegati nella Senna cinque giorni prima.
“Leopoldine Hugo se noie à Villequier avec son mari”, titolava il giornale.
Oltre che al suo ostinato turbamento quella ferale notizia suggeriva
un’amarissima spiegazione al tetro presentimento che aveva attanagliato la
figlia nel momento del distacco da lui.
Era successo che Leopoldine aveva voluto fare una gita in barca, ma un
improvviso colpo di vento aveva fatto rovesciare la piccola imbarcazione,
facendo cadere in acqua lei ed il marito, il quale, abile nuotatore, aveva
cercato di trarre in salvo la moglie, ma lei, presa dal terrore, non voleva
staccare le mani dalla chiglia ormai capovolta.
Charles, resosi conto che non sarebbe riuscito a farle allentare la presa, s’era
lasciato colare a picco insieme con la moglie.
Gli sventurati coniugi furono sepolti in un’unica bara, nel piccolo cimitero
della città dove si erano stabiliti, Villequier.
Victor Hugo fu sopraffatto da un dolore indescrivibile, con una notevole
componente di rimorso: si domandava, con lancinante insistenza, se per caso non
dovesse pagare per non essere rimasto accanto alla figlia.
Da allora ogni anno, nella mesta ricorrenza del decesso di Leopoldine, al
riaprirsi, cioè, di una ferita difficilmente rimarginabile, il grande scrittore
compiva un pellegrinaggio nella cittadina di Villequier e quando, a causa del
forzato esilio a Guernesey (Belgio), scattato l’11 dicembre 1851, ciò non fu più
possibile, vi ritornava con la mente e coi versi.
Ritornato in patria il 5 settembre 1870, Hugo riprese la via crucis, che lo
conduceva al cimitero vicino alla Senna, dove riposava per sempre la
primogenita.
L’eco appassionata e commovente del suo tenacissimo attaccamento alla ragazza,
repentinamente strappatagli da un crudele destino, vibra nella seconda parte di
Le contemplazioni (1856), il capolavoro lirico dello scrittore francese, il
quale nella breve prefazione aveva scritto: “Un abisso separa le due parti di
questo libro: una tomba”, ovviamente quella della sua Didine.
La sezione del libro dedicato alla figlia contiene i versi ispiratigli dalla
morte di lei e degli anniversari di quella tragedia.
Si tratta indubbiamente delle più belle poesie sgorgate dalla penna di un padre.
Si racconta che l’Hugo, il quale aveva il pallino dell’occultismo, riusciva
spesso, nel corso di sedute spiritiche, a mettersi in contatto con l’anima
dell’amatissima Didine e a colloquiare con lei, estremo suggello di un legame
affettivo che la morte della ragazza – lungi dall’aver affievolito – aveva
oltremodo corroborato, portandolo quasi ad un livello ascetico.
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