NOTA INTRODUTTIVA Perché
una serie di atti unici? Quando affrontai per la prima volta questo genere di
espressione scritta, mi accorsi che il mio credo, “siamo arrivati nudi e nudi ce
ne andremo” (il che significa scavare fino all’essenza delle cose e poi
adottarla rifiutando ogni sovrastruttura), ingigantiva nella mia mente
condizionando il lavoro intrapreso. E che cosa meglio di un atto unico, per la
sua peculiarità di “dire” in breve tempo, può soddisfare il bisogno di toccare,
quindi di attingere all’essenziale? Con il vantaggio inoltre della piacevole
impressione di un contatto vivo con gli attori che si esibiscano proprio per
noi. L’Autrice
NON ERA IL MARE Il palcoscenico è completamente sgombro. Il fondale è tutto nero con un sole tagliato a metà che splende nel centro. Questo fondale potrà essere fatto con qualsiasi materia pur che abbia un taglio nel mezzo in modo da far scorrere la sagoma del sole (che dovrà essere mosso una volta, dal basso verso l’alto, a scena aperta) con facilità. Due attori – Ghianni e Dili – sui trenta-trentacinque anni, sono molto dissimili tra di loro dal punto di vista fisico, ma nell’insieme devono avere un aspetto normale e piuttosto accattivante. Essi stanno in piedi, uno di fronte all’altro, un po’ al di qua del centro del palcoscenico. Ghianni – Lo vedi il sole, Dili? Dili – Certamente. Io vedo un cerchio tagliato lungo il suo diametro d’un bel rosso sangue. Tutto il resto sembra una tenda molto scura. E tu come lo vedi? Ghianni – Pressappoco come lo descrivi tu, però a mio parere non è rosso, ma giallo fiamma, e tutto quel buio, che io vedo nero pece, non è una tenda ma un muro verniciato di nero. Stranamente questo muro ondeggia come la superficie di un mare appena mosso. Dili scoppia a ridere. Ghianni, un po’ risentito – Perché ridi? Dili – Oh, non essere così suscettibile, non rido di te. Mi sono solo immaginato che tutto quel nero sia un paravento e ciò che noi chiamiamo sole sia la testa di una donna che sopravanza. Magari si sta cambiando d’abito. Ghianni – Ma va… Tace rimanendo in silenzio per alcuni secondi. Intanto Dili gli gira le spalle e compie i gesti tipici di chi raccoglie dei sassi da terra e li scaglia lontano; contro il fondale in questo caso. Naturalmente il tutto è solo mimica. Ghianni – Che cosa fai? Poi non avevo finito di parlare. Dili si gira verso l’amico – Scusa, ma fai delle pause così lunghe tra una frase e l’altra che a me pare tu abbia messo il punto fermo. Ghianni – Non importa. Oramai è già passato del tempo e non ha più importanza quello che stavo dicendo. Tanto sono sempre le stesse cose. Che cosa può mai cambiare una frase, un libro intero? Disse giusto l’Ecclesiaste: non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Dili lanciando un grido – No! No! Questo non me lo dovrai più dire. Ghianni – E perché? Non siamo amici? Io la penso proprio così. Dili – Certamente, ma a tutto c’è un limite. Non me lo dovrai più dire, ti ripeto. Anzi, ti prego, non farlo più. La voce di Dili è querula. Ghianni – Va bene, va bene, calmati, per carità! Te lo prometto, però a una condizione: mi devi spiegare perché una frase così banale, in fondo, ti disturba tanto. Dili – Mi chiedi più di quello che immagini, ma proprio perché siamo amici te lo dirò. Si tratta di mio nonno, un uomo relativamente giovane (quando avevo quindici anni lui ne aveva sessanta) che io ricordo perfettamente. Per essere sincero ti confesso che non gli ero molto affezionato (oltre tutto, faccio mente locale ora, non provo alcun rimorso per questo). Lo trovavo molto noioso e, potendo appena, evitavo la sua compagnia. Nonostante ciò, vista la convivenza, m’accorgevo sempre quando qualche suo pensiero lo turbava. Avvenne che da una settimana lo vedevo depresso e ogni mattina, appunto durante quella settimana, appena sveglio esclamava con voce apocalittica: Tanto nulla può cambiare eccetera; ossia la stessa frase che hai detto tu poc’anzi. Bene, ti assicuro che alla fine del settimo giorno ne fui veramente nauseato e gli detti sulla voce ordinandogli di smetterla con quella stupida lagna. E dopo poche ore di tale sfuriata da parte mia toccò proprio a me scoprirlo già morto appeso ad una trave del solaio. Ghianni – Mi dispiace veramente. Perché non me ne hai mai parlato? Dili – A che scopo? Un libro o una biblioteca intera non possono cambiare l’ordine, o il disordine, delle cose. Forse che un impiccato o una guerra con milioni di morti possono cambiare qualcosa? Ghianni – Parole sante; purtroppo però non trovo nulla di cui parlare in questo momento. Dili – Ma non è un problema: si può anche stare zitti. Non lo sapevi? In quel momento il palcoscenico viene maggiormente illuminato e i due attori girano contemporaneamente soltanto la testa dalla parte del “sole”. Dili – Oh, guarda, il sole è salito ancora un po’. Come lo vedi ora? Ghianni – Per me adesso è d’un bianco abbagliante, mentre il muro o la tenda o qualunque cosa sia è d’un bell’argento, ma totalmente immobile. Dili – È molto strano. Io vedo il sole viola e tutto quanto lo circonda blu cobalto. Sì, mi sembra molto strana questa nostra diversità di percezione. Ma siamo sicuri che quello è il sole? Ghianni – Come faccio a saperlo? Sai che ti dico? Andiamo a fare un bel tuffo. Dili – E dove? Ghianni – Nel mare, no? Ammettendo che quello sia il sole , esso spunta sempre dal mare, quindi se la premessa è giusta anche la conclusione lo è. Dili – E se non fosse? Ghianni – Pazienza. Che cosa abbiamo da perdere, in fondo? Dili – Hai ragione da vendere, perbacco. Andiamo. I due si avviano verso il fondale nella posa tipica di chi sta per tuffarsi. Appena giunti a toccarlo si ode un rumore sordo e le voci assai deboli dei due amici che dicono: – Ghianni, non era il mare… – No, Dili, non era il mare… Sui due corpi accasciati a terra in modo scomposto cala il sipario |