Prefazione di Celeste Chiappani Loda
Anna Maria Frascaroli è entrata nel primo lotto dei finalisti
del Gran Premio Letterario Europeo di Penna d’Autore con i due racconti
«Inquietudini» e «Pagina nera» che compongono il presente volumetto.
Di lei possiamo dire che è dotata di un’accesa fantasia per il tramite della
quale crea i suoi personaggi. Nel primo racconto soprattutto, tale fantasia ha
una parte preponderante; tuttavia è come che ci si muova su due piani: sogno e
realtà. I quali piani si rincorrono, si intrecciano, si lambiscono pur
mantenendosi sempre distinti l’uno dall’altro.
Lo stile della Frascaroli è sobrio, il periodare chiaro e immediato: attraverso
di esso il lettore capisce facilmente come ella crei personaggi che ama, con i
quali divide un mondo speciale, sempre pronto a riceverla. È l’interiorità che
si fa strada per uscire allo scoperto ma che non accetta di perdersi nello smog
del quotidiano. Come a dire che l’autrice di queste pagine è suddita e regina al
tempo stesso di quello che io definisco il demone della scrittura, la passione
divorante la quale difficilmente abbandona chi l’abbraccia, qualunque sia l’iter
della sua vita, le sue esperienze lavorative, emotive, sentimentali.
INQUIETUDINI Misi in atto il mio progetto in un tardo
pomeriggio di fine marzo. Avevo vissuto nella mente ogni suo istante,
preparandomi ad affrontarlo, ma avevo paura, malgrado tutto: forse, per la
consapevolezza del suo non ritorno.
Ed iniziai a scrivere, pescando nel profondo delle mie inquietudini, parole che
non volevano venire, come se tutto ormai fosse immobile, fissato nel tempo.
Prima ancor della fine.
«A chi la leggerà.
Di solito non scrivo lettere, ma storie, le cui protagoniste sono donne, nel
bene e nel male. Ma questa volta farò un’eccezione per spiegare, in modo
sintetico, il perché della mia decisione.
Sono all’apparenza una donna fortunata, la mia vita è confortevole e mi concede
molte libertà. Mi offre, infatti, l’opportunità di dedicare parte del mio tempo
a ciò che preferisco: scrivere racconti. Mi consentono di scaricare le mie
frustrazioni, attraverso la fantasia placo le mie ansie. Un non sottovalutabile
requisito, in considerazione che, da troppo tempo ormai, ansie e frustrazioni
fanno parte della mia esistenza.
Ma oggi ho finalmente deciso di farla finita: con la vita.
È difficile, nel breve spazio di una lettera, descrivere la lenta presa di
coscienza che mi ha indotto ad una così drastica scelta e raccontarvi
cronologicamente il perché della mia decisione, non servirebbe a farvi
comprendere. Qualche risposta mancherebbe all’appello e troppe curiosità,
rimarrebbero insoddisfatte.
Dirò soltanto che la mancanza d’amore ne è stata la causa, mi ha tolto il
desiderio di vivere ed ha aperto un vuoto nella mia anima. Sono consapevole che
ciò non basta a giustificare la mia debolezza, io sola sono responsabile del mio
destino! Ho annullato ogni stimolo in me, avviandomi lungo un percorso che non
volevo, che altri avevano deciso, al posto mio. Ho sempre agito così, come se la
vita non mi appartenesse, un unico aggancio mi tratteneva ad essa: mia figlia
Flavia. Ma non è bastato a salvarmi. Ho perduto il dolce legame che mi univa a
lei, quell’invisibile filo attraverso il quale scorrevano e s’incontravano i
nostri pensieri. L’egoismo di Giovanni lo ha spezzato.
“A te Giovanni, solo poche righe.
Se riuscirai a discostarti da te stesso, fermati a riflettere: forse
comprenderai il perché della mia scelta.”
Beh, mi par chiaro: non sono più in grado di continuare a vivere.
Vorrei dare a Flavia spiegazioni, ma ho paura di farle ancor più male! In fondo,
la realtà è soltanto una: vivo angosciata da mille paure, non ho forza per
ribellarmi al destino e la debolezza m’impedisce di porre rimedio ai miei
errori. Dio, quanto mi disprezzo per ciò che ora sono e, che forse, sono sempre
stata!
E così ho deciso di finirla con questo tormento! Finalmente, ho fatto la mia
scelta.
Luisa»
Ecco. L’avevo terminata: una lettera sconnessa, com’era stata la mia vita, di
cui a Giovanni concedevo la prima lettura. Poi che importava? Tutti potevano
farlo: dopo c’era soltanto il nulla. Solo a Flavia non consentivo questo
malinconico privilegio e lo scarabocchiai rapidamente sul foglio ripiegato. Era
la mia ultima volontà. Mi augurai che riuscisse a perdonarmi e superasse quel
dolore, che non meritava. Il suo pensiero mi lacerò il cuore e con forza lo
scacciai! Non volevo e non potevo compromettere la mia decisione!
Non c’era nessuno in casa: era la serata ideale per un suicidio. Giovanni era
stato invitato ad un party da Manuel Ruano, il ricco proprietario terriero a
proposito del quale si sussurravano molte cose. Che il suo patrimonio avesse
dubbia provenienza, ad esempio, ed altre simili malignità: ma lo erano poi
veramente?
Non avevo accettato quell’invito; erano altri i miei progetti per quella sera!
Inoltre, non mi piacevano i suoi ospiti e tanto meno lui, nonostante il cordiale
atteggiamento che esibiva e la sua calorosa, ma dominante ospitalità!
In quelle poche ore di libertà avevo riflettuto, impiegando proficuamente il mio
tempo ed ero decisa.
Mi diressi verso la stanza da bagno, attraversando l’ampio corridoio, dalle cui
pareti mi osservavano con sussiego i numerosi quadri d’autore, tangibili
conferme dell’agiatezza raggiunta! La galleria dell’ostentazione! Mi erano
ostili, come tutti gli arredi che mi circondavano, del resto. Non mi era mai
stato concesso il privilegio di partecipare alla loro scelta: era un diritto che
spettava a Giovanni, a lui soltanto, naturalmente.
Ma c’era un luogo in cui la sua individualità non era riuscita ad imporsi e lì
soltanto mi sentivo veramente bene: il mio studio. Tra quelle pareti davo vita
alle mie eroine, realizzavo le loro storie e le vivevo, insieme a loro. Era la
mia stanza magica, la preferita tra gli ampi spazi di cui potevo disporre, nella
mia grande casa! Strano! Usavo il possessivo “mia,” riferendomi ad una residenza
che mi era estranea e la cui imponente maestosità aveva contribuito soltanto ad
accrescere in me la solitudine, facendomi sentire intrusa! Nulla mi apparteneva
lì dentro, solo il laboratorio era mio! E nel suo caotico disordine di carta e
di ricordi, ritrovavo la me stessa di un tempo!
Guardai le foto incorniciate, appartenenti a momenti diversi, lontani, immagini
che mi sorridevano felici, attimi di vita che avevo vissuto e pensai che parte
di quella vita sarebbe sopravissuta nel tempo, nonostante tutto. Ma fu solo un
attimo, poi i miei occhi si riempirono di lacrime.
Volsi lo sguardo attorno, tornai alla realtà che mi circondava e fui colta da un
dubbio improvviso: di tutto il mio lavoro, ammonticchiato sulla scrivania o
archiviato, nella memoria del mio computer, che ne sarebbe stato? Sarebbe morto
con me?
Quel pensiero mi distolse per un momento, ma che potevo farci? Il dopo non
contava più nulla. Al bando i sentimentalismi, non quella sera! Mi allontanai,
quel luogo mi legava troppo alla vita, che io, ormai, rifiutavo. Dovevo andare
oltre e festeggiare la mia decisione! Per la prima volta, l’iniziativa era mia.
Entrai nella stanza da bagno, aprii l’armadietto dei medicinali e scelsi, a
colpo sicuro, la confezione di pillole. Era nuova, conteneva trenta palline
rosa, incastrate dentro un blistex che mi costrinse ad estrarle, una per una.
Strinsi quel mucchietto nel pugno, con una forte sensazione di possesso: era la
soluzione ai miei problemi. Non sostai dinanzi allo specchio, mi disturbava
l’immagine del mio volto pallido, quasi una triste anteprima di ciò che sarebbe
rimasto di me.
Un improvviso barlume di civetteria, si risvegliò inaspettato: la morte,
impietosa e senza riguardo, che ricordo avrebbe lasciato di me? Alzai le spalle:
non potevo farci proprio nulla. Il maggior danno, lo aveva fatto il tempo.
Dal frigorifero, in cucina, estrassi la bottiglia di spumante italiano, ultima
testimonianza d’amore per il mio paese! Che Diamine! Avevo lasciato da pochi
anni l’Italia e non l’avevo certo dimenticata! Sentivo ancora forte la mia
appartenenza!
Uscii in giardino e mi diressi verso il salice piangente, l’albero che
preferivo. Il sole stava calando ed i raggi, ancor caldi, s’insinuavano tra i
suoi rami e tra i cespugli variopinti della siepe, creando giochi di luce e di
colore. Mi piaceva quell’angolo verde, con i suoi fruscii di brezza leggera che
portavano fin lì l’odore del mare! Per questo lo scelsi. Era ideale per
trascorrervi gli ultimi istanti della mia vita, che, per quanto inutile,
meritava rispetto, non foss’altro, per il coraggio della decisione finale.
Mi sedetti sulla sedia a sdraio in comoda posizione e misi in atto il mio
progetto.
Ingoiai tutte le pastiglie, in un sol boccone, senza pensare. Con gesto
simultaneo, quasi una recita studiata in precedenza, aprii la bottiglia di
spumante facendo saltare il tappo. Potrà sembrare strano, ma mi rallegrò il suo
rumore ed il gorgogliare festoso delle bollicine che premevano per uscire! Ne
versai un po’ nel calice di cristallo: c’era sempre un vassoio coi bicchieri sul
tavolino di fianco alla sedia, per gli ospiti di Giovanni. Pochi sorsi,
sufficienti a farmi ingoiare il mio boccone amaro. Poi bevvi il resto, vuotando
il calice ed assaporai con voluttà quel nettare, fino all’ultima goccia, col
piacere della disubbidienza e della trasgressione, per quella che, dal punto di
vista di Giovanni, sarebbe stata una scelta inaspettata! Sorrisi a quel pensiero
e quasi provai rammarico, per non poter assistere alla sua sorpresa. Riempii
un’altra coppa di spumante, lentamente, per non disperderne le bollicine e la
gustai, mentre il sole, che, come me, stava morendo, mi riscaldava la pelle con
i suoi ultimi raggi del giorno.
Un’altra coppa ancora, senza fretta.
Poi…, non ricordo più nulla.
continua |