PROFILO ARTISTICO
RODOMONTE LENTI è nato a Fiuminata, in provincia di Macerata il
28-11-1922. Ha prestato servizio nella Guardia di Finanza; oggi è pensionato e
vive a Roma. Nei suoi «Ricordi di guerra» ha voluto lasciare testimonianza
scritta dell'infelice esperienza vissuta come prigioniero in un campo di lavoro
tedesco.
Primo Capitolo Mi arruolai
nel Corpo della Guardia di Finanza il 10.05.1941 e fui destinato al reparto
d’istruzione Scuola alpina di Predazzo in provincia di Trento. Al termine
dei sei mesi del Corso Allievi Finanzieri fui nominato Finanziere ed
ammesso al corso pratico-teorico per sciatori che si teneva al Passo Rolle; il
30 Novembre del ’41 terminò il corso e mi qualificai con “buono”.
Dal 1° dicembre venni assegnato alla Brigata di confine di Crissolo, in
provincia di Cuneo, sulle pendici del Monviso. A pochi passi dalla caserma un
torrente si precipitava a valle rumoroso e schiumoso: il fiume Po.
In quel tempo l’Italia, alleata con la Germania nazista, era in guerra contro la
Gran Bretagna, la Russia e la Francia; quest’ ultima era già stata quasi
interamente occupata dalle forze armate tedesche, ad eccezione di un piccolo
territorio vicino al confine italiano occupato da truppe dell’Esercito Italiano.
A Crissolo, un piccolo paese ad oltre 1300 metri di altitudine, regnava una
calma assoluta, forse anche perché era un inverno molto freddo (20° sotto lo
zero). La Brigata era composta da un appuntato ed un finanziere ammogliati e da
un finanziere scelto, da un brigadiere e dal sottoscritto, che invece eravamo
celibi ed alloggiavamo in caserma. Ricordo che in terra c’era la neve e faceva
così freddo che la mattina trovavamo le scarpe attaccate al pavimento con il
ghiaccio.
Nel mese di marzo del 1942 arrivò l’ordine del mio trasferimento al Comando
Superiore della Guardia di Finanza d’Albania con sede a Tirana, in viale
Mussolini.
Preparativi di partenza... e dopo diversi giorni d’attesa per l’imbarco, al
comando tappa, nei pressi di Brindisi, la sera del 31 marzo, fui imbarcato con
altri militari sulla motonave Vulcania. La mattina seguente, mi pare fosse il
giorno di Pasqua, di buon’ora salpammo per Durazzo.
Arrivammo nel pomeriggio; non avevo mai viaggiato in mare, pensavo fosse una
cosa divertente, invece soffrii molto il mal di mare. Non riuscivo a trovare il
punto di bilancia della nave dove il beccheggio o il rullio era quasi nullo.
Dopo il pernottamento in un Comando Militare di Tappa, la mattina del 2 aprile,
in autobus, con altri militari, raggiunsi il raggruppamento della Guardia di
Finanza di Tirana, sede di militari in servizio in città e di militari che, per
motivi logistici, erano di passaggio tra i vari reparti dislocati in quella zona
dei Balcani.
Questo centro di raggruppamento era composto di stabili in muratura per Comandi,
Uffici, magazzini, cucine e qualche dormitorio, ma la maggior parte degli
stabili adibiti a dormitorio erano baracche in legno dove l’igiene scarseggiava
(era quasi sempre una lotta contro le cimici).
Qui dovetti subito interessarmi della mia disinfestazione, a causa dei parassiti
che avevo preso durante la tappa di Brindisi, dove mi avevano dato della paglia
nuova e una coperta sterilizzata ma ugualmente ero stato contagiato.
Fui assegnato al servizio di guardia all’ingresso del Comando Superiore
d’Albania, distante poche decine di metri dal raggruppamento caserma. Sullo
stesso viale Mussolini vi era anche una bella Chiesa Cattolica recentemente
costruita e dove tutte le domeniche, alle ore dieci, veniva celebrata una Messa
per la Guardia di Finanza (in occasione della quale ricordo che il finanziere
Simone Attilio, tenore, cantava superbamente l’Ave Maria). Chiunque poteva
assistere a quella Messa e perciò la Chiesa era sempre piena anche di militari
di altri corpi.
Il Colonnello Palandri Enrico, comandante in capo della Guardia di Finanza
d’Albania, era magnanimo con gli Albanesi: aveva creato una specie di Polizia
Militare i cui dirigenti erano Albanesi, essi conferivano con il Colonnello in
modo confidenziale, a volte armati, ed entrambi si salutavano come si usava in
Albania. Erano stati arruolati soldati finanzieri e, per loro musulmani, nel
rispetto della loro religione, vi era una cucina a parte.
Nel servizio che esplicavo nel turno di notte sentivo spesso, in lontananza,
degli spari. La situazione non era completamente calma, mi dicevano che nei
piccoli paesi ed in campagna quasi tutte le famiglie avevano in casa un’arma da
sparo (anche il moschetto). Tutte riservatissime, le loro case, in genere si
componevano del solo piano terreno, erano recintate da un muro alto più di due
metri e con un portone di legno massiccio.
Secondo Capitolo
L’8 settembre 1943 il generale Badoglio, col benestare del Re
Umberto di Savoia, firmò l’armistizio con gli angloamericani che già avevano
occupato gran parte dell’Italia meridionale, così l’Italia si trovò divisa in
due: Sud e Nord. L’Italia settentrionale fu occupata dai nazifascisti che
riorganizzarono lo Stato istituendo la Repubblica di Salò. Il Comando Tedesco
Balcanico ordinò al Comando superiore della Guardia di Finanza a Tirana di
rientrare, per via terra, nell’Italia del nord per continuare il proprio
servizio d’istituto.
Fu così che il 19 settembre, raggruppati in un unico reparto, con le nostre armi
personali, con la nostra sussistenza, con cucine da campo e reparto sanitario,
fummo avviati a piedi ed a tappe verso la stazione ferroviaria più vicina,
cioè a Bitola (in Macedonia) a circa 250 chilometri di distanza.
Nella tarda serata della prima tappa venimmo attaccati con mitragliatrici dai
partigiani che, dalle vicine colline, con megafoni, ci esortavano a consegnare
le armi e ad unirci a loro perché comunque i Tedeschi non ci avrebbero
consentito di tornare in Italia.
Sparavano alto, si sentivano le pallottole sfrondare gli alberi degli olivi
sotto i quali eravamo accampati. La nostra carovana di veicoli da trasporto era
ferma sul ciglio della strada ed i partigiani, mentre razziavano i carri dei
viveri, furono dispersi da due autoblindo tedesche sopraggiunte da Tirana. Non
vi furono né morti né feriti d’arma da fuoco.
La mattina riprendemmo la nostra marcia. Più avanti, a Struga, vennero in
accampamento alcuni militari bulgari in divisa tedesca, erano armati; con ordini
tedeschi e motivi banali ci disarmarono e non ci diedero nulla da mangiare.
Arrivammo a Bitola stanchi ed affamati. Un finanziere richiamato, che a
Corridonia (provincia di Macerata) faceva il macellaio, ci propose di macellare
un cavallo, il migliore; assicurava che sarebbe stato buonissimo. Difatti dopo
qualche ora mangiammo carne lessa, la migliore di tutta la mia vita, e del brodo
con qualche pezzo di galletta.
Il 3 ottobre ’43, a Bitola, ci fecero salire su di un treno merci e partimmo
verso il Nord. Dopo varie fermate e cambi di treno: Skopje (il 4 ottobre)
Kraljevo (il 6) Belgrado (il 7) Baja (il 9) Vienna (l’11) Linz (il 12) Ratisbona
(il 12) Riesa (il 13) Poznan (il 14) Kutno (il 14) Varsavia (il 15) Leopoli (il
16), arrivammo la sera del 16 ottobre ’43 (sabato) a Biala Podlaska (Polonia)
vicino ai confini con la Russia. Era un campo di concentramento e smistamento
per definitive assegnazioni.
Il 20 ottobre del ’43 fui inserito in un folto gruppo di giovani militari, quasi
tutti italiani, e ci fecero ripartire in treno per raggiungere il campo di
assegnazione.
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