PROFILO ARTISTICO
SILVIO MINIERI è nato a Napoli ed attualmente vive a Roma.
Opere pubblicate:
1999 L’uomo camuffato – L’Autore Libri Firenze. Romanzo: Un sogno d’amore nell’arco di un movimentato fine settimana.
2001 Calloné (la dea della bellezza) – Casa Editrice Menna (Avellino). Romanzo: Il tragico destino di una donna giovane e bella, occasione di riflessione sul senso filosofico della Bellezza e del Sacro.
2001 L’homme camouflé – Éditions des Écrivains (Parigi). Traduzione dall’italiano di Suzanne Rieutort.
2002 Le lion, le sang et la rose – Prospettiva Editrice (Civitavecchia, Roma). Una raccolta di racconti, che propone delicate storie d’amore tra realtà ed immaginazione. Inedito in italiano. Traduzione in lingua francese di Marie-Françoise Vaneecke.
2002 Addio alla città imperiale – Penna d’Autore (Torino). Silloge di poesie. Un canto di amore e di addio.
2003 Le passant de la nuit – Edimond (CittB di Castello, PG). Romanzo - La vicenda di un uomo che sembra impegnato a rievocare il ricordo di una donna tragicamente scomparsa anni prima, ma che finisce per essere sospettato di un omicidio passionale. Inedito in italiano. Traduzione in lingua francese di Marie-Françoise Vaneecke.
Primo racconto: IL CAVALIERE E L'ANNUNCIO
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me,
con un terrore di ubriaco.”
Eugenio Montale
Ero uscito molto presto quella domenica mattina. La giornata era limpida, l’aria frizzante in quell’ultimo scorcio d’inverno. Ritrovavo Roma, le sue strade, la sua toponomastica, dopo la mia non lunga (poco meno di una settimana) trasferta veneziana, ed avvertivo come una insospettata freschezza, quella “aria di vetro” che comunque non apparteneva alla città, ma che io mi portavo dentro. Da quando?
Ero stato sette giorni di fila in compagnia di lei, dell’altra, l’altra, che per me rappresentava l’“altrove”, quella possibile configurazione di un’altra vita in cui mi ero riflesso, vivendone una minuscola tessera dello sconosciuto mosaico, perduto com’ero nella mia solitudine sentimentale a Roma.
Più in concreto, ho avuto modo di conoscere la responsabile di una delle sedi distaccate della nostra società, la “Gelinuo s.a.r.l.”,: Il nostro gruppo, la “Gestione Nuove Linee”, si occupa di moda: creiamo e produciamo abbigliamento femminile sul territorio nazionale ed anche all’estero. Una delle sedi distaccate è a Venezia, esattamente in Campo San Giorgio, proprio alle spalle della Procuratia destra di piazza San Marco. In verità Gisella Olivieri non è la responsabile della sede, ma il “vice”: mi ha assistito durante la mia trasferta lagunare in sostituzione di Tozzi Manfredi, il Direttore assente, perché a sua volta in trasferta in Slovenia.
È una giovane donna, Gisella Olivieri, di statura non molto alta, bionda con occhi celesti. “È separata dal marito”, mi ha detto Aloisio, l’Assistente commerciale, venuto a prendermi alla stazione col motoscafo. Il marinaio alla guida ha percorso con perizia il Canal Grande, tagliando per corridoi d’acqua laterali subito dopo Rialto, dove poco prima di passare sotto l’arco maestoso del ponte ho alzato lo sguardo con ammirazione forse un po’ affettata.
Una sera il vicedirettore della “Gelinuo s.a.r.l.” di Venezia è venuta a prendermi in albergo. Avevamo concordato di andare ad una mostra di De Quirico, in Ca’ Bragadin. Gisella Olivieri era elegantemente vestita ed era in compagnia della moglie di Aloisio, appassionata d’arte ed organizzatrice della visita. Sul motoscafo l’aria fresca ed umida rimandava i suoni delle imbarcazioni che navigavano intorno, segnalando la loro presenza nel buio della sera. L’acqua rifletteva le luci delle case affacciate sul Canal Grande, con le finestre dai caratteristici archi trilobati. La signora Aloisio ha indicato il frontale illuminato di una costruzione di pietra bianca con colonne ingrigite, forse più dalla penombra che non dalla polvere del tempo. Il motoscafo ha rallentato ed ha poi attraccato sul pontile. Il marinaio ha aiutato le signore a scendere ed anche me. Ho ringraziato ed ho seguito le due donne, entrando nella galleria d’arte.
Le sale con tappeti rossi erano già frequentate. Vicino ad una statua di marmo, raffigurante Diana con la faretra seguita da una muta di cani, sostava Aloisio. Lentamente abbiamo cominciato a camminare attorno alle pareti dove erano appesi i quadri di De Quirico. Le pitture riflettevano lo stile “metafisico” dell’artista. Io mi sono fermato ad osservare un quadro, rappresentante un paesaggio “lunare”, un deserto di pietre illuminato dal fondo da un fascio obliquo di luce giallastra, che sorgendo da un orizzonte rosso bruno andava a confondersi con il verde scuro del cielo. Una targhetta argentata al centro della base della cornice recava il titolo: “L’annuncio eteronomo”.
“È la tipica ortodossia pittorica del De Quirico” ha osservato Aloisio, un leggero sorriso sul volto. Anche le signore sorridevano ed attendevano un mio commento. “La giusta misura dei colori contrassegnano la “mano” dell’artista” ho detto e sono rimasto fermo, mostrando l’intenzione di voler continuare il dialogo su quel soggetto.
“Non so se andrebbe bene in sede” ha detto Aloisio. “Più che altro per i contenuti” ha precisato subito dopo.
“Il titolo restringe l’interpretazione sul “messaggio metafisico” dell’artista” ho osservato e mi sono mosso. Ero scontento della locuzione da me usata: “messaggio metafisico”. Adoperavo parole abusate. Era meglio procedere oltre.
“Costa dodici milioni” ha detto la signora Aloisio, mentre continuavamo ad andare avanti.
“Non è adatto alla “Gelinuo”, mi sembra” ha osservato, rivolgendosi a me, Gisella Olivieri.
Non ho risposto, ho sorriso. Pensavo confusamente più o meno i seguenti pensieri.
Gisella Olivieri, questa sera sei bellissima e molto elegante. Sono molto contento di averti conosciuto. Leggo nello sguardo tuo lucido di celeste azzurro la tristezza della tua solitudine. Vorrei tanto vederti felice, vedere brillare una luce di speranza nel tremore di questo tuo sguardo. Non diventare il Direttore della “Gelinuo s.a.r.l.” della sede distaccata di Venezia. Resta la donna giovane di questa sera.
Ha mormorato: “Mi piace l’arte” e la sua espressione era traboccante di un’intrattenibile angoscia. “A Napoli, al Museo di San Martino, è conservato il quadro di un pittore napoletano del Settecento, Lieto Giustino… una luce trasversale argentea sorgente dal buio colpisce il Cavaliere, illuminando l’armatura del busto ed il volto …” Mi guarda, ma sembra parlare a se stessa, la sua voce è carica di nostalgia.
Poco dopo abbiamo raggiunto i coniugi Aloisio. Altre persone affollavano le sale. Abbiamo udito nuovi commenti sui quadri. Alla fine della visita, Gisella Olivieri ha salutato la direttrice della Mostra, che da lontano sorridendo ha fatto un cenno di assenso verso di me, l’ospite. Siamo usciti dal retro della Ca’ Bragadin ed abbiamo passeggiato per piccole calli rischiarate da tenui luci. Poi ci siamo ritrovati sul pontile. Ho fissato l’acqua nera, ondeggiante lievemente, mentre i veloci fari dei battelli scorrevano nel buio.
Quella domenica mattina mi sembrava di andare in un’aria di vetro. Le strade di Roma erano vuote. Il paesaggio di luci e di suoni notturni della laguna si conservavano in me come un segreto, che d’intorno non è visibile.
Ho riflettuto in seguito sul titolo del quadro del De Quirico, poi spinto dalla curiosità ho consultato un’enciclopedia d’arte. Del pittore napoletano Lieto Giustino sono raffigurate diverse opere, tra cui quella descritta da Gisella Olivieri. È intitolata “Il Cavaliere e l’annuncio”. Questo è il commento critico:
“Il fascio di luce che investe il Cavaliere, rivelandone lo scintillio d’argento dell’armatura, rappresenta l’annuncio sopravveniente da un luogo altro, che incarica del compito di guida il soggetto a sorpresa illuminato. Ed infatti l’espressione del volto del Cavaliere investito dal chiarore rende la luminosità e la purezza del pensiero e dell’azione del giovane condottiero.
Le fattezze sono quelle del Principe di Monte Abate (1742-69), nominato dal Re Ferdinando IV Capitano Generale dell’Esercito del Regno di Napoli a soli venticinque anni. Il principe morì di emofilia due anni dopo, quando aveva sposato da pochi mesi la dolcissima sedicenne Giovanna Eleonora duchessa di Piana di Venafro.
Nel dipinto Lieto Giustino ha voluto indicare come la luce che investe il Cavaliere e la sua scintillante armatura di condottiero venga da un “altro” luogo. Egli, il Principe di Monte Abate, Capitano Generale dell’Esercito di Ferdinando IV, riceve da fuori di sé la norma della propria azione di condottiero.
L’annuncio della nomina alla carica di Comandante supremo gli viene dato per volontà regia, ma è la luce soprannaturale della grazia divina che lo raggiunge per indicargli la sua condotta di guida dell’Armata.
Fu lo stesso autore ad illustrare a Corte l’interpretazione di questa sua pittura, oggi conservata nella Rocca di San Martino a Napoli.”
Ho chiuso l’enciclopedia ed ho pensato all’intensità dell’espressione di Gisella Olivieri, quando mi comunicava il suo amore, il suo amore per l’arte e per la cultura. E capivo che il vicedirettore della sede di Venezia della “Gelinuo s.a.r.l.” era una donna colta ed istruita, sfortunata nel rapporto coniugale. Ho chiuso gli occhi ed ho rivisto lo sguardo innamorato della vita di quella donna dai capelli biondi e lisci e gli occhi in cui tremava una limpida luce celeste.
Nella pittura metafisica del De Quirico “l’annuncio eteronomo” è la luce dell’Essere nell’angosciante Nulla. L’aggettivo “eteronomo” del titolo del suo quadro è usato impropriamente (ed infatti sembra che non sia stato l’autore a titolare così il suo dipinto). Annuncio etero-nomo letteralmente vuol dire annuncio da una legge-altra. Si coniuga poco la “legge” con la “metafisica” nell’uso corrente dei termini, sebbene ogni ardita esperienza del linguaggio non sfugga ai critici, e quindi anche a me a Venezia, quella sera. Parole malate. Forse.
Non ho avuto più notizie di Gisella Olivieri. So soltanto che mesi dopo quel nostro incontro si licenziò dall’impiego e scomparve.
Non ho mai conosciuto il suo destino e non sono mai riuscito ad immaginarlo, perché lei è stata per me come quei paesaggi d’incanto che ci entrano nel cuore e non ci abbandonano più e di essi non possiamo raffigurarci un presente diverso da quello custodito per sempre nei sentimenti segreti della nostra vita.
Nelle sere d’estate vado a passeggiare sul lungomare illuminato, spingendomi fin dove sono accese le luci dei lampioni e, giunto ai margini dell’ombra, mi volto a guardare la lunga teoria di luci che si spinge lontano. Allora mi sento inumidire le ciglia e l’emozione mi assale il cuore, perché rivedo lei a fianco a me, quando da soli andammo la sera dopo quell’annuncio eteronomo a visitare la Chiesa della Santità della Grazia sulla Riva dei Vivarini. Fu prima di cena. Si congedò sulle scale del sagrato, scivolando via quasi senza che me ne accorgessi, mentre contemplavo le luci della Riva rispecchiate nell’oscurità delle acque.
Qualche volta, la domenica mattina, quando mi aggiro per le strade deserte, mi sembra di andare in un’aria di vetro e, sentendo d’intorno un grande vuoto, temo che voltandomi possa scoprire, con terrore da ubriaco, il tragico volto del Nulla.
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro…”
Di questa mia storia già sapeva Eugenio Montale.
La mia storia breve e fugace con Gisella Olivieri. Un soffio ed un leggero sospiro. Il vuoto.
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