NOTA DELL'AUTRICE
Questo saggio non è altro che una nuova stesura, opportunamente rimaneggiata e
abbreviata, della mia tesi di specializzazione post-universitaria, presentata
alla fine del “Corso biennale di specializzazione polivalente per l’insegnamento
agli handicappati”, che ha avuto come relatori i professori Erminio Sbrolla e
Giampaolo Menegatti, nell’anno accademico 1989-90. Per l’ampia bibliografia, di
cui a suo tempo mi sono servita nell’elaborazione del testo, rimando
all’originale dell’opera, custodita a Roma, presso l’Istituto della
Congregazione Suore Domenicane “Ancelle del Signore”, in via Laurentina 1800.
Roma, novembre 2005
LA MINORAZIONE VISIVA
1. Psicofisica della visione e principali patologie
Tre sono gli elementi costitutivi dell’apparato visivo: il
globo o bulbo oculare, organo di forma sferoidale alloggiato nella cavità
orbitara, protetto da palpebre e ciglia e riunito dal tessuto mucoso della
congiuntiva; il nervo ottico costituito da un insieme strutturale di fibre
nervose, che trasmettono gli impulsi provenienti dalla membrana più interna del
bulbo, cioè la retina; protetto dal tessuto elastico dello sclera, vi è l’iride
di colore cangiante con al centro un foro detto pupilla, con la funzione di
regolare l’intensità luminosa e la profondità di campo. Dietro l’iride, si trova
il cristallino o lente, trasparente e privo di vasi e nervi. Separata dall’umor
vitreo, sostanza gelatinosa e trasparente, nella parte più interna si adagia la
retina, membrana sottile dove si mette a fuoco l’immagine.
Schematicamente l’occhio funziona come una macchina fotografica, essendo
composto da diversi elementi: un sistema di lenti, ossia le varie interfacie tra
la cornea, l’umor acqueo, il cristallino, l’umor vitreo; un sistema di apertura
variabile, cioè l’apertura pupillare dell’iride; una superficie foto-sensibile,
che è la retina.
Il sistema di lenti dell’occhio mette a fuoco l’immagine sulla retina, capovolta
rispetto all’oggetto reale; avendo però il cervello imparato a riconoscere la
posizione normale rispetto a quella capovolta, la mente percepisce
l’immagine nella giusta posizione.
Le aberrazioni ottiche nell’occhio normale si possono distinguere in aberrazioni
di sfericità, aberrazioni cromatiche, inconvenienti da diffrazione e cateratta.
I difetti di rifrazione, quali miopia, ipermetropia, astigmatismo, possono
essere corretti con l’uso di appropriate lenti. Nella funzione del cervello
infine è la valutazione della distanza o percezione della profondità.
L’agente causale delle malattie dell’occhio può essere di natura genetica e
tradursi in successivi stati patologici degenerativi, come ad es. l’opacità del
cristallino ovvero cateratta, il glaucoma, il distacco della retina,
l’infiammazione della congiuntiva o congiuntivite. Il cristallino opacizzato può
essere rimosso con intervento chirurgico e sostituito con una lente artificiale
trasparente.
Nelle patologie retiniche, una carenza di ossigeno conduce ad inevitabili
retinopatie, spesso causa irreversibile di cecità. Una causa di cateratta
congenita o retinopatia è la rosolia, contratta dalla gestante entro la
quarta e la dodicesima settimana, attraverso la trasmissione del virus dalla
madre al feto. Una frequente malformazione del bulbo oculare è l’idroftalmo o
glaucoma congenito, causa di cecità infantile. Provocano cecità le alterazioni,
oltre che del globo oculare, anche delle vie di conduzione, ossia il nervo
ottico ed il chiasma ottico, dovute a cause meccaniche o processi degenerativi.
Infine la distruzione o alterazione di alcune aree della corteccia cerebrale
possono portare a forme di cecità totale dovute all’impossibilità
sensoriale di percepire la luce o provocare altre forme d’infermità della vista.
2. Minorazione visiva
Tenendo conto degli aspetti medico-scientifici, si può quindi
affermare che la minorazione visiva o cecità consista nell’assenza totale o
parziale della vista, di quel senso cioè che consenta la percezione della luce e
delle immagini. La percezione sensoriale realizzata dall’organo della vista può
essere classificata in diverse componenti: percezione della luce e sua
intensità; senso cromatico ovvero percezione dei colori; campo visivo ovvero
percezione degli oggetti nello spazio o percezione spaziale; visione centrale o
acutezza visiva; riconoscimento delle forme; senso del rilievo o senso
stereoscopico; controllo psichico delle sensazioni visive.
Quando si manifesta la mancanza di ogni qualsiasi percezione della luce da
entrambi gli occhi, si ha cecità assoluta; quando si verifica l’assenza o
riduzione di componenti visive, si ha la cecità relativa. In relazione ad una
suddivisione schematica riassuntiva in quattro parti dell’apparato visivo, cioè
retina, vie ottiche, centro corticale della visione, centro psichico, la cecità
può classificarsi in quattro stati: cecità sensoriale, cecità per interruzione
delle vie ottiche, cecità corticale, cecità psichica.
Le minorazioni sensoriali dell’organo della vista, basate su concetti
fisioanatomici, vengono definite cecità clinica o teorica; da questa va distinta
la cecità sociale o pratica, nei casi di acuità visiva estremamente ridotta, in
cui sorgono problemi giuridici d’integrazione sociale del minorato. Si può dire
che la legge, nel definire i limiti della cecità, individua un minimum nella
graduazione del visus. In Italia, ai sensi della normativa vigente, è
considerato "cieco" il cittadino affetto da cecità assoluta e minorazione della
vista fino a un decimo residuo di funzione visiva.
Questa definizione legale di cecità serve a ricoprire l’ambito di applicazione
protettiva nei confronti di una categoria di cittadini, ma ai nostri fini
tiflopedagogici quello che viene in rilievo è il grado di minorazione del potere
visivo, che richiede applicazioni metodologiche educative differenziate.
3. Riflessi pedagogici della minorazione visiva
Sotto il profilo educativo, si possono distinguere tre
categorie di minorati: i difettosi visivi, gli ipovedenti, i non vedenti.
I difettosi visivi si possono ulteriormente distinguere in due sottogruppi:
soggetti che mediante sussidi ottici possono ripristinare integralmente la
funzione visiva; gli ambliopi, minorati necessitanti di una tecnica d’intervento
riabilitativa detta ortottica o pleottica. Per i primi non sorgono problemi
speciali di apprendimento, potendosi parlare soltanto di adattamento alla
protesi, gli occhiali. Per i secondi deve dirsi che un riflesso
nell’apprendimento scolastico si ha nel corso del periodo in cui l’ambliope è
sottoposto al trattamento rieducativo dell’occhio.
L’ambliopia può definirsi come quella diminuzione del campo visivo, senza
lesioni apprezzabili dell’occhio e non correggibile mediante lenti.
L’alterazione della visione è dovuta al difettoso funzionamento degli annessi
oculari o ad una strutturazione anomala dell’occhio. L’Ordinanza del 9 luglio
1964 istituì classi speciali per alunni ambliopici, inserite nelle scuole
comuni, con il compito per gli insegnanti di seguire specificamente gli alunni
durante il periodo del trattamento ortottica, quando rimaneva occluso l’occhio
sano ed il bambino doveva sforzare l’occhio pigro per l’apprendimento
scolastico. Queste classi ebbero scarsa fortuna ed in merito non si è mai
definita una metodologia ben delineata.
La seconda categoria dei minorati visivi, gli ipovedenti, può essere distinta,
in relazione all’apprendimento scolastico, in tre gruppi: efficienti visivi,
subefficienti visivi, inefficienti visivi.
I primi sono in grado di utilizzare mezzi e metodi comuni alla classe ed al
gruppo, senza ricorrere a metodi particolari. Per essi s’impone una vigilanza
sulla stabilizzazione del residuo sensoriale di funzione visiva, sull’insorgere
di effetti collaterali rispetto ad un comportamento visivo al di sopra o al di
sotto della normale attività e sul regolare necessario controllo oculistico.
I secondi, i subefficienti visivi, non superano il decimo di residuo di
percezione da entrambi gli occhi. Costoro possono utilizzare per l’apprendimento
scolastico gli stessi metodi della classe comune, ma necessitano di mezzi
didattici differenziati, adatti alle loro esigenze.
Gli ipovedenti inefficienti visivi sono quegli alunni, per i quali si rende
necessario ricorrere non soltanto a strumenti didattici, ma anche a metodologie
differenziate. Ai fini scolastici, considerando il problema sotto il profilo
didattico e strumentale, questa categoria di ipovedenti può essere assimilata ai
non vedenti. In proposito giova qui proporre un’osservazione che ben si adatta
al tema. Da un punto di vista tiflopedagogico è proprio con riguardo
all’educazione del senso estetico del fanciullo non vedente che viene a
cogliersi la differenza tra i ciechi assoluti, privi di qualsiasi percezione
della luce, ed i minorati della vista con residuo minimo di funzione visiva, che
consente loro di percepire una seppure debole differenza tra l’ombra e la luce.
In tale contesto, non appare affatto inopportuno citare il pensiero di due fra i
maggiori autori di tiflopedagogia della nostra storia recente e della
letteratura attuale: Augusto Romagnoli ed Enrico Ceppi.
Ha scritto il primo: "Chiare fresche e dolci acque. Come spieghereste il primo
aggettivo in una scuola di ciechi? Chiare, come il cristallo che lascia passare
la luce e il colore del sole dalle vetrate chiuse di una finestra, e come quando
l’aria è serena e fa udire i più tenui suoni di lontano e vedere le cime dei
monti, dove pascolano le greggi belanti; o come quando l’acqua è pulita, che
scorre tersa come aria tra le mani e cade sonora in gocce come perle. Ciascuno
capisce ciò che può; e il resto intuisce e indovina e se ne appaga, pronto e
contento di capir meglio, di rettificare poi, se nuove analogie più abbondanti e
più proprie gli daranno il piacere di ampliare le sue immagini e le sue
percezioni."
Si è espresso così il secondo: "Possedere un residuo di funzione visiva anche
minima, poter scorgere il sorgere del giorno, l’illuminarsi della stanza al
sorgere del sole, il sopraggiungere delle tenebre notturne, percepire alcuni
colori fondamentali, il bianco di una distesa di neve, o il verde intenso di un
prato, anche se non si riesce a discriminare ed a riconoscere le forme, se non
le più rilevanti, sono tutti fatti che giocano un ruolo di fondamentale
importanza nella vita e quindi nell’educazione e nella crescita del bambino. Vi
sono percezioni tenuissime di luce ed ombra, che non sono valutate dagli
oculisti, né ai fini giuridici, considerandosi a tutti gli effetti il soggetto
portatore di questa situazione sensoriale cieco assoluto; eppure la sua
situazione è diversa. Con quanto rimpianto A. Romagnoli pensava a quel tenue
filo di luce che illuminava l’oscurità della sua percezione fino ai venticinque
anni: era quel tenue filo di luce che rischiarava il suo banco d’alunno, che gli
indicava lo spazio di una finestra, l’arco di un colonnato nei portici della sua
Bologna; era a quella tenue guida che egli riconosceva il merito della sua
appassionata ricerca di un’estetica per non vedenti."
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