Romanzo breve
      
    di Monica Fiorentino
      
    Pagine: 32
       Prezzo: 3,50 euro
       E-mail: non indicato
       Tel.: 333 9385362

    PROFILO DELL'AUTRICE

    MONICA FIORENTINO è nata a Sorrento (NA) il 03/10/1976, dove vive e lavora. Ha scritto per riviste locali e specializzate e ha partecipato a concorsi letterari in Italia ed all'Estero con buoni risultati. Con quest'opera chiude la trilogia iniziata nel 2002 «Ali di Carta» a cui è seguito «Ali di Carta - Sangue d'Angelo» nel 2004. Ha al suo attivo anche tre raccolte di poesia: «Fosse Amore», «Blu», «Anime di mezzo». Col gruppo Volo Pindarico ha scritto «Contatti», in collaborazione con Angelo Di Pino «Pandor in pericolo», «Forza Nibli!», «L'ombra di Mime». Ed inoltre «Devil Kiss», «Angel Cry», «Il lucidastelle». In collaborazione con la fumetteria Cartooncult di Castellammare di Stabia (NA) ha scritto «Dream» e «MxS» due racconti corredati di illustrazioni attualmente on-line. Ama le orchidee e ha in progetto di scrivere una commedia teatrale.

     

    ROMY ANGELO DANNATO

    C’era una volta un Angelo dalle morbide chiome d’argento e la pelle bianchissima di nome Romy, con due lunghe ali di scarlatta cera lacca fusa e il sorriso di ciliegia tinto che nascondeva due aguzzi canini, era lei una delle più belle creature della notte. Di due diverse nature fuse insieme quella celeste e quella dannata, viveva fra cielo e terra percorrendo al calare delle tenebre le strade silenziose fasciata nel suo lungo abito nero dalla profonda scollatura sui seni marmorei, proteggendo il Genere Umano da ogni insidia, capace di cambiare le proprie sembianze a seconda dei modi e delle necessità che lo imponevano. Abile nella lotta e scaltra nell’ingegno, dilaniata da un passato burrascoso che le aveva procurato una profonda ed insanabile ferita al cuore, altro credo non aveva che quello di difendere il suo prossimo adoperando talvolta anche la più cruda violenza.
    E proprio una notte come tante camminando adagio avvolta nel suo nero mantello di velluto adatto a nasconderle bene le ali, il suo fiuto percepì nell’aria l’odore del male e trasformatasi in un bellissimo felino dal lucente pelo scuro, si diresse sinuosa lungo una scala di sicurezza che portava sul retro di un locale affollato, attenta al suo compito. Ormai avvezza ad agire meticolosamente calcolando in frazioni di secondo rischi e pericoli, Romy si accostò ad un gruppo di giovani ubriachi che usciti da una taverna con in mano delle bottiglie rotte di proposito, cercavano con quell’arma occasionale qualcuno che gli fornisse del denaro contante e subito e guardando nella loro stessa direzione coi suoi sensibilissimi occhi di gatto, individuato in lontananza un giovane padre che con la propria figlioletta per mano si stava recando verso la banchina del porto dopo il lavoro per raccogliere delle conchiglie, leggendo nella mente dei malviventi le loro intenzioni il suo orrore fu grande e sfumando in una densa fuliggine tornando vampira, la sua ira fu tremenda. Ululando alla luna azzannò i malcapitati dilaniando le loro carni, sotto lo sguardo attonito della piccola e quando per avere salva la vita i giovani corsero via lasciandola al suolo sanguinante e pesta, il suo rantolo fu di sollievo e sofferenza. Il giovane compreso il gesto di lei le fu subito accanto e chinandosi sul suo corpo, scoprì il segreto delle sue ali senza farne parola alcuna. Romy nello scorgere la riconoscenza negli occhi di lui sorrise debolmente, il ragazzo le era accanto per soccorrerla ma l’angelo spostò delicatamente le sue mani calde. Anni addietro lei aveva portato in grembo il frutto di un’unica notte d’amore avuta con un umano, ma prima che la creatura potesse venire alla luce in preda a forti dolori abortì naturalmente e nel tenere fra le braccia quell’esserino fatto solamente di sangue, nato da se stessa guidata dalla sua indole demoniaca lo divorò coi suoi canini aguzzi cibandosene golosa. Dopo di allora non aveva avuto più gioia e la sua vita era stata devota solo alla gratuita difesa altrui. Comprendendo il dolore nelle iridi cupe di lei, profondo come poteva esserlo solo quello di chi divora il proprio cucciolo, il giovane le carezzò piano la fronte e aprendole il palmo della mano vi depose all’interno una conchiglia bianca di luna. Le ferite di quella lotta si sarebbero presto rimarginate ma quelle del cuore sarebbero rimaste tali per sempre. E aiutandola a risollevarsi l’uomo lasciò che l’angelo riprendesse la sua guardia zoppicante nel passo, prendendo fra le braccia la figlia e allontanandosi a sua volta verso casa, tenendo con se il ricordo di un Essere bello e sfortunato che dolorosi eventi avevano trasformato in una creatura straordinaria.

     

     

    STABIA ANGELO NOTTURNO

    C’era una volta un meraviglioso Angelo di bronzo posto sopra l’altura di un piedistallo di marmo dalla meravigliosa apertura alare e il corpo fasciato da una lunga veste alla caviglia, finemente modellata dallo scultore che ne aveva minuziosamente rifinito ogni tratto, di nome Stabia. Creata nell’atto di compiere un balzo teneva fra le braccia stretta una croce, che sotto la pioggia battente ed il sole rovente offriva ai passanti che le rivolgevano sempre una composta preghiera, generata come creatura oggetto di culto e venerazione, fiera e felice del suo ruolo che pure la costringeva ad una perenne e forzata immobilità che lei ben sosteneva sempre sorridente.
    Ma una notte giunta l’ora tarda e cessato l’andirivieni di macchine e persone, circondata dal silenzio, certa che ogni umano fosse nel proprio letto Stabia eludendo occhi indiscreti scese dal suo basamento e prese a passeggiare per le strade, godendosi per la prima volta la luna e il dondolio lontano delle onde chete del mare contro il molo, inconsapevole della presenza dell’Ombra della notte, creatura crudele e maliziosa dalle mille maschere ed i trucchi più forbiti che andava col favore delle tenebre per i vicoli a perpetuare il male più abbietto. E il suo stupore fu enorme nell’incrociare di colpo i suoi occhi e leggervi all’interno la boria più furiosa ed il desiderio più perverso, e facendo velocemente di riflesso un passo indietro alla proposta di lui di lasciare la croce e seguirlo sull’arena per giacere un po’ insieme, il suo sgomento divenne panico nel rendersi conto che la mano del mostro già stringeva il suo polso pronto a non lasciarla andare oltre quel lembo di strada, che sarebbe divenuto il suo sudario. E trascinata di peso sulla sabbia inchiodata di spalle al suo stesso crocifisso le sue urla strazianti si persero nel vento mentre aperte le sue cosce, l’ombra le riempì il suo ventre di ferro vuoto all’interno con forza e le sue lacrime scivolarono via silenziose, quando lui finito l’amplesso la lasciò riversa e lurida del suo caldo seme ridendo sazio sparendo poi per sempre nel buio. Intorpidita e ferita più nell’anima che nel bronzeo corpo violato Stabia non volse nemmeno per un attimo gli occhi al cielo rialzandosi, e tenendo zoppicante stretta a sé la croce risalì sul suo stallo cercando la propria postura sotto gli occhi addolorati di uno sconosciuto di passaggio, che riconoscendo su di lei i segni dello stupro con rispetto senza proferire parola l’aiutò a sollevare dal suolo la sua insegna cristiana lasciandola poi da sola a stringersela al seno ferito.
    Mai nessuno seppe quanto accaduto quella notte e soltanto lui che aveva visto, prese a farle visita di tanto in tanto lasciando ai suoi piedi fasci di candidi gigli profumati.

    continua con altri racconti

    - VETRINA LETTERARIA -

     
    HOME PAGE