PROFILO DELL'AUTORE
SILVIO MINIERI è nato a Napoli e vive a Roma. Poeta, romanziere, saggista e
studioso di letteratura e filosofia, ha pubblicato tre romanzi, due raccolte di
racconti, una silloge di poesie. Suoi saggi, novelle e componimenti poetici sono
apparsi su riviste letterarie ed antologie varie. Alcune sue opere sono state
tradotte e/o pubblicate in altre lingue. Ha ottenuto diversi riconoscimenti,
anche oltre i confini nazionali.
CAPITOLO PRIMO
“Questo inno non è un canto rivolto contro qualcosa, ‘Kde domov muj’ (‘Dov’è
la mia patria?’) non auspica la rovina di nessuno, si augura solo che
continuiamo a esistere. Non è un inno di guerra, canta senza retorica il
paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, i campi e le pianure, le
betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i folti cespugli profumati e i piccoli
ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra. È stato bello difendere
questa terra, bello amare la nostra patria.”
Dulce et decorum est pro patria mori.
Ho tradotto nella romanità il pensiero dell’amica di Kafka, che Anna Reggiani
aveva annotato a penna, con elegante fotografia su quel foglio di quaderno. Più
sotto a mano era riportata l’altra citazione di Milena Jesenskà, tratta dalla
biografia della Buber Newmann:
“So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a
vivere. Tu dirai agli uomini chi ero, sarai il mio giudice clemente.”
Ho infilato il foglio in tasca e sono uscito. Con l’autobus sono giunto
vicino alla Sinagoga. Alcune persone sono in attesa del mezzo pubblico, sotto
una pensilina. Mi sono incamminato sul lungotevere ed attraverso lo stretto
ponte ho raggiunto l’isola tiberina. Le strade sono poco frequentate, nel
pomeriggio di questa domenica che declina verso la sera. Ho sceso i gradini di
pietra. In fondo attende una sposa, con il lungo strascico bianco dell’abito
nuziale. Accanto vi è un fotografo, il marito ed altre due persone,
probabilmente i testimoni.
Sono sbucato sull’ampia spianata, l’acqua verdastra scorre schiumando sulla
pietra. Guardo verso il ponte Garibaldi, il sole è un disco rosso nel cielo
imbrunito. Nell’angolo sotto l’arcata, una giovane coppia fissa il fiume.
Anch’io rimango a guardare l’acqua che scorre.
“So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a
vivere. Tu dirai agli uomini chi ero.” Ha lasciato questo messaggio Anna
Reggiani nei suoi appunti.
Compio un breve giro dell’isolotto. Nello spiazzo erboso una coppia di
giovani dalla pelle scura è seduta a conversare. Risalgo sul ponte. Un turista
asiatico sta fotografando un gabbiano, nell’attimo in cui il volatile spicca il
volo dal parapetto, saettando in basso a filo radente sull’acqua. Stride assieme
ad altri gabbiani, che volteggiano sul fiume.
Mi allontano voltando le spalle al tramonto.
Sono un collaboratore della “Pulchra Service”, una ditta di cosmesi; offro
mie consulenze di psicologia. In verità non ho un rapporto fisso d’impiego ed in
questo senso non sono un lavoratore subordinato, ma un lavoratore autonomo.
Posso dire che per conto della “Pulchra” devo condurre uno studio sul perché del
suicidio femminile e rispondere al quesito se una determinante essenziale in
questo gesto estremo sia la perdita del fascino ovvero di quella componente del
fascino, senza cui ne va del fascino stesso, la bellezza che è la bellezza
femminile. Questo compito mi è stato affidato dal giovane presidente della “Pulchra”,
con cui ho avuto un colloquio diretto. Voglio spiegare che per ottenere il
colloquio con Serontini, ho dovuto superare prove preliminari selettive. Nel
corso del colloquio il giovane presidente dava per scontato che una componente
essenziale del suicidio femminile risiede nella perdita della bellezza, che è la
dote principale del fascino femminile, la grazia. Non l’ho contraddetto, ma gli
ho fatto osservare come allora non dovrebbe essere mai capitato che una donna
bella si sia mai suicidata.
“Sì, certo,” mi ha risposto “non è mai accaduto che una donna bella si sia
mai suicidata.”
“Infatti” ho replicato “la Marlove non si è suicidata.”
Serontini mi ha guardato e senza scomporsi, con un leggero sorriso ha
replicato: “Lei è assunto, ha dato la risposta giusta, per me. Credo che la sua
consulenza contribuirà ad aumentare il volume di vendite ed il fatturato della
nostra azienda.”
Può uno studio del genere incrementare le vendite di prodotti di cosmesi ed
aumentare il fatturato dell’azienda della “Pulchra Service”? Sono scettico, ma
ho accettato l’offerta.
Dopo il colloquio, sono andato a rileggermi alcuni passi del mio saggio
universitario: “La componente estetica nel suicidio femminile”. È un lavoro che
oggi giudico un po’ grezzo e compilativo ed in più parti didascalico. Parlo
prima dell’aspetto fisico della morte, poi dell’aspetto psicologico di fronte a
questa situazione e quindi dell’atto del suicidio e delle sue possibili
motivazioni. Nella seconda parte mi dilungo sui problemi metafisici
dell’estetica parlando di bellezza e di arte.
Ho chiuso il testo ed ho alzato il capo, guardando oltre i vetri della
finestra. Poi ho telefonato ad Artieri e gli ho chiesto di compiermi una ricerca
sui casi di suicidio femminile, nelle cronache di dieci anni prima. L’altro
giorno scorrevo la rassegna stampa, che Artieri mi ha diligentemente preparato e
poi inviato. E da Chantal il mio interesse si è spostato sul caso di Anna
Reggiani.
Le cronache davano notizia di una giovane donna travolta da un treno in
arrivo alla stazione principale di Roma, la notte del 4 dicembre. I resoconti
dei giornali riferivano i fatto inquadrandolo come suicidio o disgrazia. Nei
giorni seguenti la notizia fu ripresa da poche testate: l’inchiesta giudiziaria
aveva archiviato il caso come suicidio, tenendo conto delle testimonianze del
ferroviere Borracini e del macchinista del diretto Milano-Roma. Dalla
lettura di questi ultimi quotidiani avevo ricavato
dei particolari sulla vita romana della donna,
risalendo a Corradini ed alla rivista “Presenza
Donna”. Corradini Elio mi ha raccontato della vita da giornalista
condotta da Anna Reggiani e del carattere chiuso della donna da lui
conosciuta a Rocca Peligna: “Quando venne in montagna a Rocca Peligna, su invito
di mio padre, cercammo d’inserirla nel nostro giro di
conoscenze ed amicizie, ma con scarsi risultati, anzi senza nessun
risultato. Era malata di malinconia.”
“Depressione?” ho interrogato. “Forse” mi ha risposto. Prima di congedarmi,
mi ha regalato i numeri della rivista, in cui apparivano gli scritti della
giornalista scomparsa e mi ha parlato di Olga Petrovna, l’amica di lei. Mi ha
anche consegnato dei fogli contenenti appunti scritti a penna dalla
Reggiani, forse materia di riflessione per un articolo
mai pubblicato.
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