Romanzo breve
      
    di Silvio Minieri
      
    Pagine: 35
       Prezzo: 4,00 euro
       E-mail: silvio.minieri@libero.it
       Tel.: 347 4926211

     

    PROFILO DELL'AUTORE

    SILVIO MINIERI è nato a Napoli e vive a Roma. Poeta, romanziere, saggista e studioso di letteratura e filosofia, ha pubblicato tre romanzi, due raccolte di racconti, una silloge di poesie. Suoi saggi, novelle e componimenti poetici sono apparsi su riviste letterarie ed antologie varie. Alcune sue opere sono state tradotte e/o pubblicate in altre lingue. Ha ottenuto diversi riconoscimenti, anche oltre i confini nazionali.

     

    CAPITOLO PRIMO

    “Questo inno non è un canto rivolto contro qualcosa, ‘Kde domov muj’ (‘Dov’è la mia patria?’) non auspica la rovina di nessuno, si augura solo che continuiamo a esistere. Non è un inno di guerra, canta senza retorica il paesaggio della Boemia con i suoi colli e pendii, i campi e le pianure, le betulle, i pascoli e i tigli ombrosi, i folti cespugli profumati e i piccoli ruscelli. Canta il paese dove siamo a casa nostra. È stato bello difendere questa terra, bello amare la nostra patria.”
    Dulce et decorum est pro patria mori.
    Ho tradotto nella romanità il pensiero dell’amica di Kafka, che Anna Reggiani aveva annotato a penna, con elegante fotografia su quel foglio di quaderno. Più sotto a mano era riportata l’altra citazione di Milena Jesenskà, tratta dalla biografia della Buber Newmann:
    “So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a vivere. Tu dirai agli uomini chi ero, sarai il mio giudice clemente.”
    Ho infilato il foglio in tasca e sono uscito. Con l’autobus sono giunto vicino alla Sinagoga. Alcune persone sono in attesa del mezzo pubblico, sotto una pensilina. Mi sono incamminato sul lungotevere ed attraverso lo stretto ponte ho raggiunto l’isola tiberina. Le strade sono poco frequentate, nel pomeriggio di questa domenica che declina verso la sera. Ho sceso i gradini di pietra. In fondo attende una sposa, con il lungo strascico bianco dell’abito nuziale. Accanto vi è un fotografo, il marito ed altre due persone, probabilmente i testimoni.
    Sono sbucato sull’ampia spianata, l’acqua verdastra scorre schiumando sulla pietra. Guardo verso il ponte Garibaldi, il sole è un disco rosso nel cielo imbrunito. Nell’angolo sotto l’arcata, una giovane coppia fissa il fiume. Anch’io rimango a guardare l’acqua che scorre.
    “So che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a vivere. Tu dirai agli uomini chi ero.” Ha lasciato questo messaggio Anna Reggiani nei suoi appunti.
    Compio un breve giro dell’isolotto. Nello spiazzo erboso una coppia di giovani dalla pelle scura è seduta a conversare. Risalgo sul ponte. Un turista asiatico sta fotografando un gabbiano, nell’attimo in cui il volatile spicca il volo dal parapetto, saettando in basso a filo radente sull’acqua. Stride assieme ad altri gabbiani, che volteggiano sul fiume.
    Mi allontano voltando le spalle al tramonto.
    Sono un collaboratore della “Pulchra Service”, una ditta di cosmesi; offro mie consulenze di psicologia. In verità non ho un rapporto fisso d’impiego ed in questo senso non sono un lavoratore subordinato, ma un lavoratore autonomo. Posso dire che per conto della “Pulchra” devo condurre uno studio sul perché del suicidio femminile e rispondere al quesito se una determinante essenziale in questo gesto estremo sia la perdita del fascino ovvero di quella componente del fascino, senza cui ne va del fascino stesso, la bellezza che è la bellezza femminile. Questo compito mi è stato affidato dal giovane presidente della “Pulchra”, con cui ho avuto un colloquio diretto. Voglio spiegare che per ottenere il colloquio con Serontini, ho dovuto superare prove preliminari selettive. Nel corso del colloquio il giovane presidente dava per scontato che una componente essenziale del suicidio femminile risiede nella perdita della bellezza, che è la dote principale del fascino femminile, la grazia. Non l’ho contraddetto, ma gli ho fatto osservare come allora non dovrebbe essere mai capitato che una donna bella si sia mai suicidata.
    “Sì, certo,” mi ha risposto “non è mai accaduto che una donna bella si sia mai suicidata.”
    “Infatti” ho replicato “la Marlove non si è suicidata.”
    Serontini mi ha guardato e senza scomporsi, con un leggero sorriso ha replicato: “Lei è assunto, ha dato la risposta giusta, per me. Credo che la sua consulenza contribuirà ad aumentare il volume di vendite ed il fatturato della nostra azienda.”
    Può uno studio del genere incrementare le vendite di prodotti di cosmesi ed aumentare il fatturato dell’azienda della “Pulchra Service”? Sono scettico, ma ho accettato l’offerta.
    Dopo il colloquio, sono andato a rileggermi alcuni passi del mio saggio universitario: “La componente estetica nel suicidio femminile”. È un lavoro che oggi giudico un po’ grezzo e compilativo ed in più parti didascalico. Parlo prima dell’aspetto fisico della morte, poi dell’aspetto psicologico di fronte a questa situazione e quindi dell’atto del suicidio e delle sue possibili motivazioni. Nella seconda parte mi dilungo sui problemi metafisici dell’estetica parlando di bellezza e di arte.
    Ho chiuso il testo ed ho alzato il capo, guardando oltre i vetri della finestra. Poi ho telefonato ad Artieri e gli ho chiesto di compiermi una ricerca sui casi di suicidio femminile, nelle cronache di dieci anni prima. L’altro giorno scorrevo la rassegna stampa, che Artieri mi ha diligentemente preparato e poi inviato. E da Chantal il mio interesse si è spostato sul caso di Anna Reggiani.
    Le cronache davano notizia di una giovane donna travolta da un treno in arrivo alla stazione principale di Roma, la notte del 4 dicembre. I resoconti dei giornali riferivano i fatto inquadrandolo come suicidio o disgrazia. Nei giorni seguenti la notizia fu ripresa da poche testate: l’inchiesta giudiziaria aveva archiviato il caso come suicidio, tenendo conto delle testimonianze del ferroviere Borracini e del macchinista del diretto Milano-Roma. Dalla  lettura  di questi ultimi  quotidiani  avevo  ricavato  dei  particolari  sulla vita romana  della  donna,  risalendo  a  Corradini  ed  alla  rivista “Presenza Donna”. Corradini Elio mi ha  raccontato della  vita da giornalista condotta da Anna Reggiani e del carattere chiuso  della  donna da lui conosciuta a Rocca Peligna: “Quando venne in montagna a Rocca Peligna, su invito di mio padre,  cercammo  d’inserirla nel nostro  giro  di  conoscenze ed amicizie,  ma con scarsi risultati,  anzi senza nessun risultato. Era malata di malinconia.”
    “Depressione?” ho interrogato. “Forse” mi ha risposto. Prima di congedarmi, mi ha regalato i numeri della rivista, in cui apparivano gli scritti della giornalista scomparsa e mi ha parlato di Olga Petrovna, l’amica di lei. Mi ha anche consegnato dei fogli contenenti appunti scritti a  penna dalla Reggiani, forse  materia  di  riflessione  per un articolo mai pubblicato.

    continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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