PREFAZIONE DELL'AUTORE
PREFAZIONE
Ho voluto raccontare la "storia della mia vita" ed alcuni
fatti accaduti, non tanto per far conoscere ai lettori le mie "vicissitudini",
quanto per aiutarli nella ricerca della "verità".
Le esperienze che io ho avuto modo di fare negli ultimi trent’anni, hanno
contribuito a formare il mio carattere, oltre che a farmi avvicinare a ciò che
io credo sia la verità.
Avendo sperimentato un grande "travaglio interiore", prima di scoprire la mia
identità e il significato della mia esistenza, posso ora comprendere le ansie,
le preoccupazioni, le problematiche dei giovani che si cingono ad affrontare la
società e la vita.
Non manca di rattristarsi il mio cuore, anche quando delle persone adulte, per
mancanza di conoscenza e di discernimento, finiscono per smarrirsi nelle varie
ideologie e filosofie umane, nonché nei meandri dell’occultismo e dell’errore,
in genere.
Non riesco ad immaginare come avrei affrontato la vita, se non avessi scoperto
la "verità", trovato la risposta ai miei interrogativi, orientato le mie energie
verso la sola ed unica meta che ogni uomo dovrebbe anelare: la salvezza
dell’anima.
Si può e si deve, qui ed ora, scoprire la "verità" e l’origine della vita. Non
deve essere toccato necessariamente con la punta del bisturi o del coltello lo
Spirito di Dio, perché la scienza possa riconoscere la Sua esistenza. Non
bisogna necessariamente unirsi ad un sistema religioso, una denominazione o una
setta, per venire a contatto diretto con Dio, autore della creazione. È reale il
Suo "Regno" (dello Spirito), la Sua presenza, il "Progetto" che sta per portare
a compimento.
Nessuno può impedire che Dio realizzi il Suo "piano di salvezza", che edifichi
la Sua Chiesa-Sposa (invisibile), che mantenga le Sue promesse, si manifesti ai
Suoi eletti predestinati; che prenda nella loro astuzia gli increduli, i savi e
gli intelligenti e si riveli agli umili e ai mansueti di cuore.
Sbaglia l’uomo che pensa di sottrarsi alla guida e al giudizio di Dio, che
intende colmare il vuoto del cuore con dei palliativi e sostituti, che si
proclama ateo o agnostico, pur di gestire a suo modo la propria vita e seguire
vie che conducono verso la perdizione e la morte.
Una gran ricompensa è riservata a coloro che avranno fatto la volontà di Dio,
accettato Gesù come personale Salvatore e Signore, nonché l’Evangelo così come è
stato predicato dagli apostoli, i primi discepoli e S. Paolo in particolar modo.
Nella prima parte del libro ho voluto raccontare in breve la storia della mia
vita. Nella seconda parte, invece, ho voluto riportare alcune "riflessioni" che
certamente non mancheranno di stimolare ed incoraggiare il lettore nella ricerca
della "Verità" e della vera fonte dell’Amore.
L’Autore
CAPITOLO 1°
IL PAESE NATIO
Sono nato nel 1948 a Piazza Armerina, nella provincia di Enna,
uno dei più bei paesi della Sicilia. I miei genitori erano incolti e poveri: la
mia mamma era una casalinga, mio padre lavorava la terra e coi proventi dei
prodotti agricoli, a stento, riusciva a portare avanti la famiglia. In una
stanza di pochi metri quadrati situata al primo piano eravamo costretti a vivere
in cinque: i genitori, un fratello più giovane di me di due anni e mia sorella,
più giovane di quasi dieci anni.
La seconda guerra mondiale era finita da poco, le conseguenze di questo gran
conflitto, a distanza di pochi anni, erano ancora evidenti, nella nostra isola.
Nella gran parte delle famiglie vi erano molte ristrettezze economiche: stavano
bene i proprietari terrieri, i commercianti all’ingrosso dei prodotti agricoli,
gli impiegati statali e i cosiddetti "figli di papà".
Non esistevano fabbriche nei dintorni, le piccole industrie si trovavano a
Catania, a circa 100 chilometri dal luogo natio e soltanto pochi individui
potevano concedersi il lusso di acquistare una vettura, o un triciclo o
motociclo. A nessuno pertanto sembrava strano veder cavalcare cavalli, muli,
asini lungo i sentieri di campagna e le strade del paese.
Non sapevamo cosa fossero le "Standa", i Supermercati, i Centri Commerciali. A
poche decine di metri si trovavano piccole botteghe fornite soltanto di prodotti
di prima necessità: detersivi, pezzettini di marmellata di cotogne, zolle di
zucchero in sacchi di un quintale, sacchi di farina di grano duro, latte in
polvere, conserva, barili d’acciughe.
Si conduceva una vita piuttosto grama, paragonata a quella che si conduce oggi
nelle città e nei paesi sviluppati economicamente, ma piena di significato e
d’entusiasmo. Non sapevamo cosa fosse lo stress o la monotonia. Nel corso
dell’anno si festeggiava più volte: a Natale, a Pasqua, per S. Giuseppe, la
Madonna di Vittoria.
La più attesa era la festa di Natale. In tale occasione erano allestiti dei
presepi e delle "novene" con rami di alloro ed altri elementi, come i rami di "spinella",
fiocchi di cotone bianco, arance o mandarini, altarini con quadri raffiguranti
Gesù Bambino, Giuseppe e Maria, il bue e l’asinello. I rami di alloro venivano
sistemati ad arco su delle finestre al piano terra, in modo che la sera
potessero trovarsi accanto alle persone desiderose di pregare e cantare inni di
lode.
A volte chiamavano i membri della "banda musicale" del paese, i quali dietro
corrispettivo adeguato suonavano i loro strumenti, allietando la serata con
canti spirituali e melodie di lode.
Non mancava poi il fuoco del falò che era alimentato da rami di legno secco e
tavole vecchie e da distruggere. Attorno al fuoco, naturalmente, gironzolavano i
bambini e i ragazzi che con salti di gioia rendevano la serata più attraente e
piena di brio. In quest’atmosfera che sembrava "magica" e quasi Medioevale, ogni
tanto si aggiungeva il suono melodioso delle zampogne e delle "ciaramelle" che
alcuni pastori suonavano per le strade, nonché l’esplosione di qualche petardo e
mortaretto inatteso.
Nei pressi delle "novene" e dei "falò", si assisteva a qualche lite e
tafferuglio: spesso per casi di prevaricazione, altre volte per motivi banali.
Alcuni ragazzi si sentivano più furbi e forti degli altri e non mancavano di
fare qualche dispetto per dimostrarlo.
Si trovava nell’immaginario collettivo dei giovani l’idea di non farsi
"fregare", di sembrare "duri", di apparire "forti" e di non dare l’impressione
di essere dei "perdenti".
Alla tradizionale festa della Madonna di Piazza Vecchia si riallacciava anche il
Palio dei Normanni, che si svolgeva il 13 e 14 agosto e rievocava l’ingresso
delle truppe di Ruggero in Piazza Armerina (1062). La manifestazione si apriva
con la cerimonia delle chiavi della città al Conte Ruggero. Il Palio consisteva
in una giostra di tre prove a cui partecipava un cavaliere per ognuna delle
quattro contrade: Canali, Casalotto, Castellina e Monte.
In una delle prove, i cavalieri dovevano partire al galoppo e colpire con una
lancia lo scudo di un gigantesco pupazzo raffigurante un saraceno, eretto al
centro della piazza. Tale ricorrenza continua a vivere nell’immaginario
collettivo dei piazzesi e non si sa ancora per quanto tempo.
Nelle scuole elementari la classe era affidata al maestro unico, il quale non
solo riusciva a trasferire parte del suo sapere agli allievi, ma nello stesso
tempo ad imprimere nella coscienza quei valori morali e principi spirituali che
l’uomo di ogni tempo ha bisogno di rispettare.
Rappresentava un secondo padre per gli alunni e un modello giusto da seguire. A
volte, ricorreva all’uso delle mani e della verga nel correggere la strana
condotta di chi non riusciva a rispettare le regole comportamentali e di coloro
che non avevano studiato la lezione. I genitori erano consenzienti e i risultati
finali non potevano che essere soddisfacenti, nella gran parte dei casi.
Le scuole medie superiori e il "seminario" del luogo attiravano numerosi
studenti dei paesi limitrofi, contribuendo a migliorare le condizioni economiche
di alcune famiglie che li ospitavano.
L’agricoltura era sviluppata ma gestita in modo tradizionale; soltanto pochi
contadini potevano acquistare un trattore per arare la terra o delle "trebbie"
per la raccolta del grano. Chi possedeva soltanto il cavallo, il mulo o l’asino
doveva fare tutto con le proprie braccia o farsi aiutare da altri, pagando loro
la "giornata di lavoro".
In quel periodo ricordo che immensi campi di grano erano mietuti con la falce,
mentre estesi giardini di nocciole durante la raccolta erano scandagliati da
numerosi gruppi di agricoltori e di studenti che per poche centinaia di lire
riempivano sacchi di nocciole dalla mattina alla sera.
La pastorizia era sviluppata: numerosi pastori portavano a pascolare il loro
gregge, traendo dal "frutto" (formaggio, ricotta, siero) la ricompensa dei loro
sacrifici. Spesso pasturavano le pecore nella tenuta incustodita dell’amico
vicino o delle persone sconosciute. Poche volte "regalavano" qualche forma di
formaggio o di ricotta salata al proprietario della terra "pasciuta".
Nel territorio Armerino esistevano anche delle miniere di sale e di zolfo, dove
numerosi minatori lavoravano in cambio di un modesto salario, nonostante fossero
consapevoli di contrarre alla fine delle "malattie professionali", come ad
esempio la silicosi.
Nelle vie secondarie del paese, stavano davanti alla porta della loro abitazione
delle donne, con nelle mani la maglia o il telaio per fare dei ricami. A volte
però si soffermavano a parlare di cose frivole: della vicina di casa che si
vantava, del figlio di quel tale genitore che non riusciva ad andare d’accordo
col padre ad esempio, della zitella che andava alla ricerca d’avventure.
Sembrava la vita fosse comoda dall’esterno, ma in tale ambiente si viveva con
difficoltà.
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