Raccolta di Racconti
      
    di Francesca Santucci
      
    Pagine: 139
       Prezzo: 10,00 euro
       E-mail: xlisabeth@tin.it
      

     

    NOTE BIOGRAFICHE DI FRANCESCA SANTUCCI

    Francesca Santucci, napoletana, poetessa e scrittrice, ha conseguito diversi premi e riconoscimenti sia per la narrativa che per la poesia.
    Ha pubblicato due sillogi poetiche, La vana attesa (A.L.I. PENNA D'AUTORE, 2000) e L'ultimo viaggio (IL FOGLIO, 2002), l'antologia poetica al femminile Donna non sol ma torna musa all'arte (IL FOGLIO, 2003), Donne protagoniste (IL FOGLIO, 2004), profili di donne variamente attive, e Racconti e fiabe (A.L.I. PENNA D'AUTORE, 2004).
    Ha, inoltre, curato la prefazione del libro dell'antichista Letizia Lanza Il diavolo nella rete (Joker, 2003), e dei Ricordi di guerra di Rodomonte Lenti (A.L.I. PENNA D'AUTORE, 2004).
    È presente con poesie e racconti in antologie collettive e raccolte multimediali (case editrici Book, Seledizioni, CE.AR.C., Centro Incontri, Ursini, Penna d'Autore, Il Filo, I fiori di campo, Aletti, etc.).
    Collabora con la rivista letteraria Il notiziario per i soci italiani della Brontë Society ed in rete con Vico Acitillo 124 - Poetry wave, nello specifico per la sezione Senecio dedicata alla classicità greco-romana.
    Il suo sito internet è: www.letteraturaalfemminile.it.

    UNO DEI RACCONTI

    L’AGONE
    Ubi maior minor cessat.
    Quando c’è chi vale di più, chi vale meno  si deve mettere  in disparte.
    (motto di origine medievale)
    Don Vincenzo Varriale, parroco della chiesa di Sant’Alfonso Maria De Liguori, situata nel cuore dell’Arenaccia, ce l’aveva a morte, in senso buono, con don Antonio Nazionale, parroco della chiesa di Sant’Attanasio.
    Infatti ogni volta che, in occasione di una festività, bisognava addobbare l’interno e l’esterno delle due chiese, la meglio addobbata risultava essere sempre quella di padre Nazionale, e questo indispettiva non poco l’altro prete.
    I due uomini, pur esercitando lo stesso sacro officio, erano diversi come il giorno e la notte, tanto era schivo ed introverso il primo quanto era esuberante ed allegro il secondo.
    Don Vincenzo era smilzo, mingherlino, con le spalle molto strette, i capelli lisci e sottili quasi tutti bianchi, la voce flebile, e con un carattere tanto riservato da rasentare la timidezza, sicché le sue prediche domenicali venivano quasi bisbigliate e non pochi fedeli, annoiati, finivano per addormentarsi durante la Santa Messa.
    Padre Nazionale, invece, era di taglia e carattere forte, con un pancione imponente, largo, ma così largo da farlo assomigliare ad una donna gravida al nono mese.
    Sotto la folta capigliatura riccia e scura c’era un volto a forma di luna piena, sempre colorito e sorridente, caratterizzato da una grossa escrescenza carnosa a forma sferica proprio al centro della fronte (i più lo chiamavano “il bernoccolo del prete”) e con una bella voce profonda e carezzevole che, durante i sermoni, si dispiegava in tutta la sua potenza, affascinando e costringendo all’attenzione, in più possedeva uno spiccato gusto estetico ed un forte senso artistico che gli consentivano, puntualmente, di primeggiare nell’allestimento della chiesa.
    Anche quell’anno, in occasione della festa di San Gennaro, che non poteva non essere celebrata con tutti i sacri crismi, entrambi i sacerdoti avevano cominciato ad adoprarsi tempestivamente.
    Don Vincenzo aveva deciso fermamente che stavolta lo sfizio doveva proprio riuscire a levarselo: la chiesa di Sant’Alfonso Maria De Liguori, vescovo del ’700, autore di importanti opere teologiche, poeta, musicista, ed anche compositore della stupenda Novena del Santo Natale in dialetto napoletano (il Santo era, infatti, dell’opinione che con il popolo bisognasse comunicare in vernacolo, vernacula, si opus sit ) avrebbe, a tutti i costi, primeggiato in magnificenza e splendore.
    In fondo non lo faceva solo per se stesso o per i suoi parrocchiani (tanto sic transit gloria mundi!), ma anche per il povero Sant’Alfonso che, sicuramente, nella gloria dei Cieli doveva sentirsi mortificato rispetto a Sant’Attanasio, compatrono di Napoli, non solo per la lugubre posizione eternamente inclinata in avanti, da scartellato
    (1) (così come da sempre lo ritraggono quadri ed immagini votive), ma anche per questa puntuale sconfitta in casa.
    Infatti la parrocchia di Sant’Alfonso fin dalla notte dei tempi era considerata la principale della zona, e quella di Sant’Attanasio, pur avendo pari importanza, era considerata come una sorta di dépendence, perciò era quasi un diritto che spettasse a lei essere quella addobbata nel modo più sontuoso.
    Sì, quell’anno doveva assolutamente vincere Sant’Alfonso!
    E così don Vincenzo cominciò ad organizzarsi per tempo, con un entusiasmo ed una passione che non gli si erano mai visti prima.
    Chiamò a raccolta tutti i giovani dell’Associazione cattolica che, abitualmente, perdevano solo tempo a giocare a flipper oppure a chiacchierare nella sala del cineforum, e li affidò a Pasquale, un insegnante di catechismo che frequentava l’ultimo anno dell’Istituto d’Arte, sotto la cui guida sperava di riuscire nell’ardua impresa.
    Dopo aver spiegato le sue intenzioni, e cioè di rendere onore a Sant’Alfonso, il sacerdote, con le guance accalorate, concluse:
    - M’arracumanno, guagliù, nun facimmo pure chist’anno ‘na brutta figura!-
    (2)
    In verità don Vincenzo si sentiva abbastanza sicuro, era dalla sua un gruppo di giovani che, si sa, sono sempre creativi e, come se non bastasse, aveva anche un buon asso nella manica: Pasquale, un artista. E che diav… diamine, se non ci riusciva quell’anno a fare bella figura, e ad umiliare il rivale, quando mai ci sarebbe riuscito?
    Il vecchio parroco, però, confidava troppo su questo giovane che, sì, frequentava la scuola d’Arte dal pretenzioso nome “Raffaello Sanzio” ma che non aveva poi quel gusto estetico e quelle capacità artistiche necessarie all’apporto fondamentale della causa, considerando anche la statura del rivale da sconfiggere.
    E così, nonostante la buona volontà dell’artista, l’entusiasmo dei collaboratori e la fiducia illimitata del parroco, il risultato non fu certamente disastroso, ma decisamente mediocre e di gran lunga inferiore rispetto a quello del fuoriclasse padre Nazionale che, ancora una volta, per raffinatezza e creatività, risultò essere il vincitore dell’agone tra le due parrocchie.
    Forse era proprio destinato che il povero don Vincenzo dovesse restare per sempre all’ombra di padre Nazionale, e Sant’Alfonso a quella di Sant’Attanasio, tuttavia il sacerdote non dovette rammaricarsene a lungo perché, tre mesi dopo, spirò serenamente nel sonno.
    E fu proprio il suo antagonista che s’incaricò della cerimonia funebre, che non fu un semplice funerale ma un tripudio di colori, profumi, suoni e canti: insomma, una vera festa!
    Esternamente l’edificio venne rivestito di drappi neri, bianchi e viola, setosi e lucenti, tra i quali si rincorrevano piccole rose, camelie immacolate e iris multicolori dai vellutati petali; la navata centrale, che conduceva all’altare maggiore ove, su una panca di mogano scuro, era adagiata la bara di legno scoperchiata contenente la salma del parroco, fu infiorata di crisantemi doppi rigorosamente bianchi; candele e ceri giganti illuminarono a giorno in tutto il loro splendore le immagini sacre; le acquasantiere furono lucidate con un preparato speciale per marmi proveniente direttamente dal Vaticano; tutti gli arredi sacri della liturgia (dalla preziosa pisside, ricoperta da un impalpabile velo ricamato a mano dalle consorelle dell’Ordine di Santa Chiara, all’ostensorio a raggiera, ornato di gemme) vennero apparecchiati per l’uso, persino le canne dell’organo brillarono come se fossero state d’oro massiccio talmente erano state fregate con la crema.
    Ed infine un’attenzione ancora maggiore venne riservata all’enorme quadro a parete raffigurante Sant’Alfonso con la spalla incurvata: adesso troneggiava all’ingresso con un’illuminazione così vivida da abbagliare la vista e far quasi scomparire la posizione spettrale del Santo (infatti qualcuno, ingenuamente, chiese come mai non tenesse più ‘o scartiello.
    (3)
    Mai la chiesa dell’Arenaccia era apparsa così bella e, se fosse stato vivo, il povero don Vincenzo non avrebbe potuto esimersi dall’apprezzare tanto sfarzo e tanta magnificenza e, sicuramente, avrebbe anche gradito la colonna sonora del suo funerale, proprio la Novena del Santo Natale di cui era autore il suo amato Sant’Alfonso e che ben si addiceva all’imminente festività natalizia, e si sarebbe rallegrato pure dello splendore di cui ora godeva il quartiere causa le innumerevoli luci volute anche all’esterno dall’impagabile padre Nazionale:

    Quanno nascette Ninno a Bettalemme
    era nott’è pareva miezojuorno.
    Mai le stelle, lustre e belle
    se vedettono accossì...
    (4)

    La chiesa restò addobbata per tre giorni, come se fosse morto un papa, e nel quartiere si parlò di quel funerale veramente alla stregua di una festa, perciò non si poté non concordare con chi, dimenticando di aver presenziato ad un officio funebre, sentenziò soddisfatto:
    - È stata proprio ‘na bella cerimonia! -

    1 ) con la gobba.
    2) mi raccomando, ragazzi, non facciamo brutta figura anche quest’anno.
    3) la gobba.
    4) quando nacque il Bambin Gesù a Betlemme era notte ma sembrava mezzogiorno. Mai le stelle si videro così luminose e belle (dalla Novena del Santo Natale, di Sant’Alfonso Maria De Liguori).

    continuano altri racconti

    - VETRINA LETTERARIA -

     
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