PROFILO DELL'AUTRICE
TINA GHITTI, tecnico pubblicitario è stata corrispondente ed ha redatto
programmi culturali per un’emittente radiofonica. Attualmente lavora per il
Ministero dell'Istruzione. I suoi racconti sono utilizzati nelle scuole
primarie. Medaglia e diploma di merito per essersi distinta nelle due sezioni
del concorso promosso dall'«E.N.P.A.S» di Grosseto, poesia e racconto (2006),
quarto posto al concorso internazionale "Parole Cotonate" (Roma 2006),
selezionata nel concorso «Clardinoro Rossi» (Giornale del Lazio 2006), finalista
nei concorsi internazionali Poesie Italiane Aletti Editore (2006), «Coluccio
Salutati» (2005), Fonopoli - «Parole in movimento» (2003-2004), Il club degli
autori - "Le più belle poesie" (2003-2004), «Olympia» - Montegrotto Terme
(2004), «Francesco Moro» - Sartirana Lomellina (2004), «Il suono del silenzio»
Tati edizioni (2005-2006, pubblicata sulle omonime antologie). Selezionata nel
concorso nazionale «I sogni delle donne». Inserita sulla prestigiosa «Agenda dei
poeti» OTMA EDIZIONI (2005).
"Oggi piove a catinelle. Sarà a causa del tempo bigio che mi
alzo con calma, mentre mamma mi sconsiglia di muovermi come un bradipo. Indosso
la mia maglietta preferita e scendo a far colazione: papà osserva che sembro un
istrice con l’abito che mi ha prestato la zebra. Esco di casa carico come un
somaro e mi fermo da Tonino. Lui è lento come una lumaca e lo devo aspettare;
poi corriamo come lepri per non far tardi a scuola.
La maestra Etta Bacch mi interroga in scienze. Io cerco di riordinare le idee ma
Etta non mi da il tempo e brontola che sto muto come un pesce. Divento rosso
come un gambero e striscio al mio banco come un serpente mentre vorrei essere un
camaleonte per mimetizzarmi coi banchi.
La campanella della ricreazione salva la situazione.
Mezza classe starnazza come un gruppo di oche e l’altra metà saltella come
canguri fra i campi. Io non so che pesci pigliare, dopo la figura di un minuto
fa.
Da dietro m’arriva un ronzio che pare di un’ape, ma è Rebecca la saputella che
mi elenca il suo sapere faunistico. Mi salta la mosca al naso e, per risposta,
faccio il pappagallo.
La pausa è finita.
"Non voglio sentire volare una mosca" tuona BacchEtta.
Mi sento un leone in gabbia.
Guizzo come un’anguilla vicino Rebecca e mi comporto come una scimmia
dispettosa. Ma silenziosa.
Ah, ora sto meglio. Mi sento leggero come una farfalla.
La lezione è terminata. Come uno stormo di rondini a primavera torniamo a casa".
Ecco, non so se vi è mai capitata una giornata di questo tipo, ma credo che
abbiate capito che tipo di giornata fosse.
A me, ad esempio, capita che la mia amica Giulia, che ama definirsi una pantera,
mi dica che sono "una talpa", mentre il mio quasi capo Giulio, simpatico come
uno gnu, mi chiama "vista d’aquila". Così, a prima vista, mi sembra che ci sia
un’incoerenza. Poi, col mio "occhio di lince" vedo che l’una lo dice convinta
seppure ridendo e l’altro per prendermi in giro, nonostante finga un’aria
seriosa: entrambi, quindi, mi danno della tonta! Se mi spiegassero ciò che
intendono con altre parole impiegherebbero più tempo a farmi capire e forse non
capirei così bene. Il fatto è che ogni animale ha una caratteristica che lo
contraddistingue, ed è talmente nota che risulta più pratico ed incisivo
citarla. Però c’è una cosa che mi appare un po’ bislacca: tutti noi capiamo al
volo il senso della frase senza, spesso, conoscere l’animale cui siamo
paragonati. Senza averlo mai visto né studiato. Com’è ‘sta strana storia? E poi,
e poi mi chiedo un’altra cosa: com’è nata l’abitudine di tirare in ballo gli
animali per definire qualcuno? Forse nasce nella notte dei tempi, quando l’uomo
era a stretto contatto con la natura. Forse qualcuno, osservando un animale, ha
pensato: "Guarda, è dolce e protettiva come la mia mamma", oppure pensa "è furbo
come mio zio Gino" o anche, "Si muove come la mia vicina di casa" o, ancora, "È
capricciosa come sia sorella" (le sorelle sono sempre capricciose, si sa). Poi
si saranno passati la voce, tramandando sino a noi queste loro scoperte
confermate, spesso ma non sempre, da chi studia gli animali ed i loro
comportamenti, ma... ma se leggiamo l’enciclopedia non c’è scritto che lo zio
Gino è furbo come la volpe e, del resto, non sta nemmeno scritto che la volpe è
furba. Forse, non ha grande importanza. O forse si. Mi sono fatta delle ipotesi,
per capire da cosa è scaturita nelle mente dell’uomo l’idea che la volpe è furba
e che l’elefante ha memoria e che, insomma, tutto il resto. Ma sono mie ipotesi
e mi sono detta "Vuoi vedere che qualche bambino lo sa e, se non lo sa
l’indovina, lo deduce o, addirittura, lo scopre?".
Ho pensato di vedere per ogni lettera del nostro alfabeto gli animali che ci
sono paragonati. Sono quasi sicura, anzi sicura, anzi sicurissima che me ne sono
sfuggiti un sacco. E allora ci metto anche quelli di cui non mi vengono in mente
paragoni: vediamo se riuscite a scovarli o inventarli.
A come Allocco
Quest’uccello dalle piume brune diffuso in tutta Italia tranne che in Sardegna
non costruisce il nido, occupa le tane del tasso o del coniglio oppure nidifica
negli alberi ben riparati dalla pioggia, dove i cuccioli sono accuditi da
entrambi i genitori.
Da adulto se ne sta lì, immobile sul ramo con gli occhioni scuri spalancati a
controllare se nelle vicinanze ci sono buoni bocconcini: topi, rane, bruchi,
insetti ed... uccellini addormentati!
E chissà se questo rapace notturno è davvero sprovveduto o, invece, è lo sguardo
fisso che gli conferisce l’aria spersa ed intontita il motivo per cui ai giorni
nostri si usa dire "sembri un allocco" ad una persona ingenua.
Gli studiosi ci dicono che il poveretto è solo smemorato: se ci deve star su a
pensare tutte le volte, è logico che impieghi un po’ di tempo a reagire alle
situazioni! Più che ingenuo è pigro nel rispondere agli eventi. E pensare che
gli antichi greci in quello sguardo fisso leggevano serietà, intelligenza e
saggezza... se un tempo la calma appariva saggia ora sembra intontimento...
A come Anguilla
A prima vista non fa una bella impressione: sembra una biscia d’acqua, ma se
capita nel piatto ben cotta ai ferri e spiaccicata è un gustoso bocconcino. Ve
lo garantisco: io stessa l’ho mangiata, inconsapevole che quel corpo piatto
fosse di un’anguilla. Se non fosse stata irriconoscibile, sarei rabbrividita al
solo pensiero d’addentare questo essere dalle serpentesche sembianze che,
invece, è un pesce con le ossa.
Di questo pesce m’affascinano due cose: la migrazione e la metamorfosi, scoperte
lo scorso secolo.
Ora sappiamo che le anguille europee partono dai fiumi, arrivano ai mari e da
qui si dirigono tutte verso lo stesso punto: il mar dei Sargassi nell’oceano
Atlantico, dove depongono le uova in profondità. I cuccioli sono minuscoli pesci
trasparenti e filiformi che crescono viaggiando; lasciandosi trasportare dalla
corrente del golfo per circa tre anni percorrono ottomila chilometri, giungendo
alle foci col corpo adulto ma ancora trasparente. Da qui le femmine, superando
ostacoli e correnti, avanzano sino ai fiumi, mentre i maschi attendono lì le
loro compagne per anni; quando le femmine li raggiungono, oramai cresciuti,
riprenderanno insieme il viaggio di ritorno verso il mar dei Sargassi, per
procreare e morire.
Da adulti questi pesci dalla forma tubolare hanno il corpo ricoperto da
un’epidermide nera e scivolosa. Prendere un’anguilla con le mani è un’impresa
non da poco, trattenerla è quasi impossibile: la forma del corpo, i movimenti
serpeggianti, la pelle viscida, fanno sì che divincolarsi, per lei, sia un gioco
da nulla. Perciò si usa dire "agile come un’anguilla" a chi è sciolto nei
movimenti, ma il detto si estende a chi sa guizzare via da una situazione che
non gli garba.
A come Aquila
La nostra regina delle Alpi è divenuta il simbolo delle missioni spaziali
americane: se già per sua natura vola davvero in alto, virtualmente
raggiunge mete irraggiungibili con le ali, per quanto grandi e forti.
Grazie alla sua acutissima vista, il grande rapace vede le prede ad enormi
distanze; cattura con becco ed artigli lepri, martore, donnole, marmotte e
persino agnelli e camosci, oltre che altri uccelli. Si fionda sul cibo a
velocità elevatissima - sino ad oltre cento chilometri all’ora - coglie il
bottino e scende giù al nido: si, scende, perché la furba costruisce il nido più
in basso delle zone in cui caccia, così, con la preda fra gli artigli, non
fatica, volando in discesa. Ha "vista d’aquila", quindi, chi sa vedere oltre che
con gli occhi anche con acutezza d’intelletto.
continua |