Narrativa
  
di Tina Ghitti
  
Pagine: 36
   Prezzo: 8,00 euro
   Tel.: 338 5023202
   E-mail: tinaghitti@hotmail.it

 

PROFILO DELL'AUTRICE

TINA GHITTI, tecnico pubblicitario è stata corrispondente ed ha redatto programmi culturali per un’emittente radiofonica. Attualmente lavora per il Ministero dell'Istruzione. I suoi racconti sono utilizzati nelle scuole primarie. Medaglia e diploma di merito per essersi distinta nelle due sezioni del concorso promosso dall'«E.N.P.A.S» di Grosseto, poesia e racconto (2006), quarto posto al concorso internazionale "Parole Cotonate" (Roma 2006), selezionata nel concorso «Clardinoro Rossi» (Giornale del Lazio 2006), finalista nei concorsi internazionali Poesie Italiane Aletti Editore (2006), «Coluccio Salutati» (2005), Fonopoli - «Parole in movimento» (2003-2004), Il club degli autori - "Le più belle poesie" (2003-2004), «Olympia» - Montegrotto Terme (2004), «Francesco Moro» - Sartirana Lomellina (2004), «Il suono del silenzio» Tati edizioni (2005-2006, pubblicata sulle omonime antologie). Selezionata nel concorso nazionale «I sogni delle donne». Inserita sulla prestigiosa «Agenda dei poeti» OTMA EDIZIONI (2005).

 

"Oggi piove a catinelle. Sarà a causa del tempo bigio che mi alzo con calma, mentre mamma mi sconsiglia di muovermi come un bradipo. Indosso la mia maglietta preferita e scendo a far colazione: papà osserva che sembro un istrice con l’abito che mi ha prestato la zebra. Esco di casa carico come un somaro e mi fermo da Tonino. Lui è lento come una lumaca e lo devo aspettare; poi corriamo come lepri per non far tardi a scuola.
La maestra Etta Bacch mi interroga in scienze. Io cerco di riordinare le idee ma Etta non mi da il tempo e brontola che sto muto come un pesce. Divento rosso come un gambero e striscio al mio banco come un serpente mentre vorrei essere un camaleonte per mimetizzarmi coi banchi.
La campanella della ricreazione salva la situazione.
Mezza classe starnazza come un gruppo di oche e l’altra metà saltella come canguri fra i campi. Io non so che pesci pigliare, dopo la figura di un minuto fa.
Da dietro m’arriva un ronzio che pare di un’ape, ma è Rebecca la saputella che mi elenca il suo sapere faunistico. Mi salta la mosca al naso e, per risposta, faccio il pappagallo.
La pausa è finita.
"Non voglio sentire volare una mosca" tuona BacchEtta.
Mi sento un leone in gabbia.
Guizzo come un’anguilla vicino Rebecca e mi comporto come una scimmia dispettosa. Ma silenziosa.
Ah, ora sto meglio. Mi sento leggero come una farfalla.
La lezione è terminata. Come uno stormo di rondini a primavera torniamo a casa".
Ecco, non so se vi è mai capitata una giornata di questo tipo, ma credo che abbiate capito che tipo di giornata fosse.
A me, ad esempio, capita che la mia amica Giulia, che ama definirsi una pantera, mi dica che sono "una talpa", mentre il mio quasi capo Giulio, simpatico come uno gnu, mi chiama "vista d’aquila". Così, a prima vista, mi sembra che ci sia un’incoerenza. Poi, col mio "occhio di lince" vedo che l’una lo dice convinta seppure ridendo e l’altro per prendermi in giro, nonostante finga un’aria seriosa: entrambi, quindi, mi danno della tonta! Se mi spiegassero ciò che intendono con altre parole impiegherebbero più tempo a farmi capire e forse non capirei così bene. Il fatto è che ogni animale ha una caratteristica che lo contraddistingue, ed è talmente nota che risulta più pratico ed incisivo citarla. Però c’è una cosa che mi appare un po’ bislacca: tutti noi capiamo al volo il senso della frase senza, spesso, conoscere l’animale cui siamo paragonati. Senza averlo mai visto né studiato. Com’è ‘sta strana storia? E poi, e poi mi chiedo un’altra cosa: com’è nata l’abitudine di tirare in ballo gli animali per definire qualcuno? Forse nasce nella notte dei tempi, quando l’uomo era a stretto contatto con la natura. Forse qualcuno, osservando un animale, ha pensato: "Guarda, è dolce e protettiva come la mia mamma", oppure pensa "è furbo come mio zio Gino" o anche, "Si muove come la mia vicina di casa" o, ancora, "È capricciosa come sia sorella" (le sorelle sono sempre capricciose, si sa). Poi si saranno passati la voce, tramandando sino a noi queste loro scoperte confermate, spesso ma non sempre, da chi studia gli animali ed i loro comportamenti, ma... ma se leggiamo l’enciclopedia non c’è scritto che lo zio Gino è furbo come la volpe e, del resto, non sta nemmeno scritto che la volpe è furba. Forse, non ha grande importanza. O forse si. Mi sono fatta delle ipotesi, per capire da cosa è scaturita nelle mente dell’uomo l’idea che la volpe è furba e che l’elefante ha memoria e che, insomma, tutto il resto. Ma sono mie ipotesi e mi sono detta "Vuoi vedere che qualche bambino lo sa e, se non lo sa l’indovina, lo deduce o, addirittura, lo scopre?".
Ho pensato di vedere per ogni lettera del nostro alfabeto gli animali che ci sono paragonati. Sono quasi sicura, anzi sicura, anzi sicurissima che me ne sono sfuggiti un sacco. E allora ci metto anche quelli di cui non mi vengono in mente paragoni: vediamo se riuscite a scovarli o inventarli.

A come Allocco
Quest’uccello dalle piume brune diffuso in tutta Italia tranne che in Sardegna non costruisce il nido, occupa le tane del tasso o del coniglio oppure nidifica negli alberi ben riparati dalla pioggia, dove i cuccioli sono accuditi da entrambi i genitori.
Da adulto se ne sta lì, immobile sul ramo con gli occhioni scuri spalancati a controllare se nelle vicinanze ci sono buoni bocconcini: topi, rane, bruchi, insetti ed... uccellini addormentati!
E chissà se questo rapace notturno è davvero sprovveduto o, invece, è lo sguardo fisso che gli conferisce l’aria spersa ed intontita il motivo per cui ai giorni nostri si usa dire "sembri un allocco" ad una persona ingenua.
Gli studiosi ci dicono che il poveretto è solo smemorato: se ci deve star su a pensare tutte le volte, è logico che impieghi un po’ di tempo a reagire alle situazioni! Più che ingenuo è pigro nel rispondere agli eventi. E pensare che gli antichi greci in quello sguardo fisso leggevano serietà, intelligenza e saggezza... se un tempo la calma appariva saggia ora sembra intontimento...

A come Anguilla
A prima vista non fa una bella impressione: sembra una biscia d’acqua, ma se capita nel piatto ben cotta ai ferri e spiaccicata è un gustoso bocconcino. Ve lo garantisco: io stessa l’ho mangiata, inconsapevole che quel corpo piatto fosse di un’anguilla. Se non fosse stata irriconoscibile, sarei rabbrividita al solo pensiero d’addentare questo essere dalle serpentesche sembianze che, invece, è un pesce con le ossa.
Di questo pesce m’affascinano due cose: la migrazione e la metamorfosi, scoperte lo scorso secolo.
Ora sappiamo che le anguille europee partono dai fiumi, arrivano ai mari e da qui si dirigono tutte verso lo stesso punto: il mar dei Sargassi nell’oceano Atlantico, dove depongono le uova in profondità. I cuccioli sono minuscoli pesci trasparenti e filiformi che crescono viaggiando; lasciandosi trasportare dalla corrente del golfo per circa tre anni percorrono ottomila chilometri, giungendo alle foci col corpo adulto ma ancora trasparente. Da qui le femmine, superando ostacoli e correnti, avanzano sino ai fiumi, mentre i maschi attendono lì le loro compagne per anni; quando le femmine li raggiungono, oramai cresciuti, riprenderanno insieme il viaggio di ritorno verso il mar dei Sargassi, per procreare e morire.
Da adulti questi pesci dalla forma tubolare hanno il corpo ricoperto da un’epidermide nera e scivolosa. Prendere un’anguilla con le mani è un’impresa non da poco, trattenerla è quasi impossibile: la forma del corpo, i movimenti serpeggianti, la pelle viscida, fanno sì che divincolarsi, per lei, sia un gioco da nulla. Perciò si usa dire "agile come un’anguilla" a chi è sciolto nei movimenti, ma il detto si estende a chi sa guizzare via da una situazione che non gli garba.

A come Aquila
La nostra regina delle Alpi è divenuta il simbolo delle missioni spaziali americane:  se già per sua natura vola davvero in alto, virtualmente raggiunge mete irraggiungibili con le ali, per quanto grandi e forti.
Grazie alla sua acutissima vista, il grande rapace vede le prede ad enormi distanze; cattura con becco ed artigli lepri, martore, donnole, marmotte e persino agnelli e camosci, oltre che altri uccelli.  Si fionda sul cibo a velocità elevatissima - sino ad oltre cento chilometri all’ora - coglie il bottino e scende giù al nido: si, scende, perché la furba costruisce il nido più in basso delle zone in cui caccia, così, con la preda fra gli artigli, non fatica, volando in discesa. Ha "vista d’aquila", quindi, chi sa vedere oltre che con gli occhi anche con acutezza d’intelletto.

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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