Saggistica
  
di Antonia Izzi Rufo
  
Pagine: 37
   Prezzo: 6,00 euro
   Tel.: 0865 954107
   E-mail: antoniaizzi@virgilio.it

 

PROFILO DELL'AUTRICE

Scrittrice, poetessa, saggista, Antonia Izzi Rufo, nata a Scapoli (IS) e residente a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta al Volturno (IS), laureata in Pedagogia con specializzazioni didattiche per la “Conoscenza dell’Africa” e l’”Emigrazione nei Paesi Tropicali” (Napoli, anno accademico 1969-1970), ha finora, al suo attivo, oltre quaranta pubblicazioni (prosa, poesia, saggi e altro); sue opere sono inserite in molte antologie. Il suo nome risulta nell’«Atlante Letterario Italiano» (www.literary.it), nell’«Enciclopedia degli Autori Italiani» (A.L.I. Penna d’Autore, Torino) e in molti siti internet dai quali si possono richiedere anche i suoi libri. Ha avuto molteplici riconoscimenti letterari. Collabora a riviste letterarie. Noti critici e personalità della cultura nazionale e internazionale hanno scritto di lei. Così Vincenzo Guarracino: «C’è una commovente disponibilità al canto in questi “Passi leggeri” di Antonia Izzi Rufo: un’attitudine estatica e contemplativa, da leopardiano “respiro dell’anima”, che subito coinvolge il lettore fin dalle prime battute, con un’affabilità di tono e di ritmo che è sapientemente memore di grandi stagioni della poesia non recente... C’è la forza suggestiva del canto di “un’anima bella”, c’è la capacità di dar corpo in versi limpidi e arcani ad una musica la cui misura genera nel lettore una strana vertigine di bellezza. A scorrere i versi, pagina dopo pagina, ci si accorge di essere trasportati in un’atmosfera di stupore e tenerezza, in cui le tensioni della vita momentaneamente si sospendono e la poesia realizza davvero il suo scopo di costituire un’oasi incantata di pace, “un mondo sano e sereno /dove l’anima respira la pace”» (Un mondo sano).

 

I "Poetae novi"

Prima di iniziare la disamina del "Liber" di Gaio Valerio Catullo, ritengo utile accennare al gruppo dei "Poetae novi" o "Neóteroi", così come definì Cicerone, in senso dispregiativo, una scuola di poeti sorta in Roma nel primo secolo a.C. (Neóteroi = più giovani; comparativo di neòs = nuovo, giovane).
I "Poetae novi" provenivano quasi tutti dalla Gallia Cisalpina ed erano legati da reciproca amicizia, oltre che dall’origine comune. Non erano liberti né grammatici, bensì giovani del bel mondo. Nella loro opposizione alla poesia latina tradizionale, diedero vita ad una lirica nuova, di carattere soggettivo e individualistico. Di tale maniera poetica, innovatrice del gusto letterario, avversata spesso e derisa per l’imitazione e ripetizione dei modelli alessandrini, fu ritenuto maestro P. Valerio Catone, definito da Bubàculo "summum grammaticum, summum poetam".
I Neóteroi si ispirarono  alla lirica ellenistica e alessandrina. Studiosissimi, in poesia, della affinatezza della tecnica, della squisitezza del lessico, dell’eleganza dell’espressione, allo stesso modo degli Alessandrini bandivano i grandiosi componimenti epici e drammatici dell’antica arte classica e si compiacevano dei minori componimenti dell’epillio (piccolo epos), dell’idillio (piccolo quadro di vita), dell’epigramma, del giambo (breve componimento di intonazione satirica), dell’elegia, con tendenza alla cura e alla preziosità dell’espressione non solo, anche dell’erudizione mitologica. Essi costituirono un cenacolo molto esclusivo, che mirava ad evadere dalle passioni politiche e s’impegnava di dedicarsi solo al culto della poesia rinnovata.
Contemporanea a Lucrezio è la fioritura della poesia lirica. Essa sorge in Roma quale genere poetico autonomo. Coincide con le mutate condizioni della vita politica e privata (raffinamento e anche corruzione dei costumi, diffusione di un più libero pensiero filosofico, decadenza politica), e insieme con la maggiore conoscenza e penetrazione in Roma della poesia alessandrina la quale aveva introdotto un nuovo gusto letterario.
A Lucrezio si oppone Catullo, contemporanei. Sebbene di idee opposte, essi si completano a vicenda, segnano entrambi il passaggio da un’epoca destinata a sparire ad un’altra che rappresentò per Roma il più rigoglioso fiorire dell’arte. Catullo era amante della vita allegra ed era preso da una passione amorosa che lo sconvolse, Lucrezio era solitario e sdegnoso e deprecava le passioni di ogni genere, da cui voleva liberare tutti come forse era riuscito a liberare se stesso.
Catullo è il poeta dell’amore e dell’amicizia ed esprime, e descrive, con dolcezza e profondo realismo i suoi sentimenti. Non sempre, nei suoi carmi, incontriamo immersione panica nella natura, estasi per le sue bellezze meravigliose.
Lucrezio aveva un temperamento squisitamente lirico. Dalla sua opera, insieme scientifica e poetica, l’effusione lirica «sprizza fuori dalle maglie del ragionamento, fiorisce impetuosa su dalle aride lande della fisica descrittiva, spesso si espande imperiosa, inattesa, trionfante di fuori e di sopra dal rigido schema».

Guido Vitali

Dall’«Invocazione iniziale a Venere» (De Rerum Natura, I, versi 1-20):
«O madre degli Enèadi, o delizia / d’uomini e Numi Venere divina, / che sotto i trascorrenti astri del cielo / il navìgero mare e le contrade / fruttuose del mondo empi di vita, /..../ a te dinanzi e al tuo ritorno, o Dea, / si disperdono i vènti e le procelle, / sotto i tuoi passi   l’operosa terra / gitta fiori soavi, a te la stesa / ride dei mari, a te rasserenato / brilla di luce dilagante il cielo. / ...schiusa vigoreggia del germinale zèfiro la brezza / ...primi gli uccelli, nel cuore percossi, / ...di te, del tuo giunger dan chiaro segno / ...petulche esultano le mandrie pei ridenti pascoli / ed a nuoto varcano gonfie correntìe di fiumi / ...Sui monti, in mar, nelle rapaci acque dei fiumi, / nei frondosi asili degli uccelli, pei verdi aperti campi, / tu l’ebbrezza d’amore in tutti infondi / ...».

Da "Arte e natura" ("De rerum natura", V, versi 1379-1404) 
(Nella storia lenta e faticosa dell’evoluzione dell’umanità, l’imitazione delle voci degli uccelli e del vento è il primo inizio della musica e della poesia):
«E ad imitar con la voce i liquidi canti di uccelli / assai prima essi (gli uomini primitivi) appreser che note armoniose col canto / a modulare soavi, agli orecchi a dar dolce carezza. / Prima il vento insegnò, tra le vuote canne fischiando, / agli agresti a dar voce alle cave zampogne col fiato; / e, giorno a giorno, essi appreser di poi i soavi lamenti / che, dalle dita tentata, la canna sa esprimer del flauto, / per erme balze scoperto, fra boschi e recessi di selve, / di pastorali campagne solinghe negli ozi divini. / Tali diletti prendevan, siffatti piaceri giocondi, / quando di cibo eran sazi; che allor si godon più grati. / E sopra l’erbe novelle, accanto ad un fresco ruscello, / giocondamente corcati, a l’ombre d’un albero folto, / davan con lieve dispendio ai lor corpi gioioso ristoro; / massimamente se il cielo rideva splendente, e di fiori / l’erbe stellava dei prati la lieta stagione dell’anno. / Il conversare, gli scherzi, le tinnule risa gioconde, / erano a loro diletto; ed allora esultante fioriva / l’agreste Musa. E la gioia festosa di liberi cuori / loro apprendeva ad ornar di corone e gli omeri e il capo, / ed in ritmo mal certo a muover i piedi e le membra, / duramente, e la terra lor madre coi duri lor piedi / battere in danza, fra giochi, fra scrosci gagliardi di risa».
Già prima di Lucrezio e Catullo questa nuova attività e questa nuova tendenza poetica si erano venute affermando e svolgendo; di essa però non rimane quasi nulla, qualche scarsissima reliqua.
Tutta la produzione è andata perduta, rimane solo quella di Catullo. Secondo le testimonianze degli antichi, rimangono di Catullo 2300 versi.
Si ritiene che la raccolta dei carmi da noi posseduta sia stata messa insieme molto tempo dopo la morte dell’autore e che  non sia stata edita da lui. Pare che egli ne pubblicasse un gruppo da lui definito "lepidum libellum", scherzi brevi e leggeri che, nella dedica a Cornelio Nepote, chiama "Nugae". Così come ci sono stati trasmessi, i carmi sono 116 (qualcuno dice 113 perché tre composizioni, 18-20, sono estranee alla tradizione manoscritta del libro); sono diversissimi per argomento, misura, versificazione.
Non sono disposti in ordine cronologico. I primi 60 sono componimenti brevi, in metri lirici e d’argomento vario; segue il gruppo centrale di 5 componimenti "dotti": due epitalami e tre epilli (Attis, Le nozze di Teti e Peleo, La Chioma di Berenice tradotta da Callimaco); gli ultimi 50 sono componimenti brevissimi, tranne il LXVIII, in distici elegiaci, e sono di argomento vario.
Dai carmi di Catullo, in particolare da quelli dedicati agli amici, ma anche da altri, emergono le linee poetiche seguite dai "Poetae novi" e il rapporto di stima e affetto reciproco che tra essi esisteva, a parte l’amore per Lesbia. Riporto qualche esempio.

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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