PROFILO DELL'AUTRICE
Scrittrice, poetessa, saggista, Antonia Izzi Rufo, nata a Scapoli (IS) e
residente a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta al Volturno (IS),
laureata in Pedagogia con specializzazioni didattiche per la “Conoscenza
dell’Africa” e l’”Emigrazione nei Paesi Tropicali” (Napoli, anno accademico
1969-1970), ha finora, al suo attivo, oltre quaranta pubblicazioni (prosa,
poesia, saggi e altro); sue opere sono inserite in molte antologie. Il suo nome
risulta nell’«Atlante Letterario Italiano» (www.literary.it), nell’«Enciclopedia
degli Autori Italiani» (A.L.I. Penna d’Autore, Torino) e in molti siti internet
dai quali si possono richiedere anche i suoi libri. Ha avuto molteplici
riconoscimenti letterari. Collabora a riviste letterarie. Noti critici e
personalità della cultura nazionale e internazionale hanno scritto di lei. Così
Vincenzo Guarracino: «C’è una commovente disponibilità al canto in questi “Passi
leggeri” di Antonia Izzi Rufo: un’attitudine estatica e contemplativa, da
leopardiano “respiro dell’anima”, che subito coinvolge il lettore fin dalle
prime battute, con un’affabilità di tono e di ritmo che è sapientemente memore
di grandi stagioni della poesia non recente... C’è la forza suggestiva del canto
di “un’anima bella”, c’è la capacità di dar corpo in versi limpidi e arcani ad
una musica la cui misura genera nel lettore una strana vertigine di bellezza. A
scorrere i versi, pagina dopo pagina, ci si accorge di essere trasportati in
un’atmosfera di stupore e tenerezza, in cui le tensioni della vita
momentaneamente si sospendono e la poesia realizza davvero il suo scopo di
costituire un’oasi incantata di pace, “un mondo sano e sereno /dove l’anima
respira la pace”» (Un mondo sano).
I "Poetae novi"
Prima di iniziare la disamina del "Liber" di Gaio Valerio
Catullo, ritengo utile accennare al gruppo dei "Poetae novi" o "Neóteroi", così
come definì Cicerone, in senso dispregiativo, una scuola di poeti sorta in Roma
nel primo secolo a.C. (Neóteroi = più giovani; comparativo di neòs = nuovo,
giovane).
I "Poetae novi" provenivano quasi tutti dalla Gallia Cisalpina ed erano legati
da reciproca amicizia, oltre che dall’origine comune. Non erano liberti né
grammatici, bensì giovani del bel mondo. Nella loro opposizione alla poesia
latina tradizionale, diedero vita ad una lirica nuova, di carattere soggettivo e
individualistico. Di tale maniera poetica, innovatrice del gusto letterario,
avversata spesso e derisa per l’imitazione e ripetizione dei modelli
alessandrini, fu ritenuto maestro P. Valerio Catone, definito da Bubàculo "summum
grammaticum, summum poetam".
I Neóteroi si ispirarono alla lirica ellenistica e alessandrina.
Studiosissimi, in poesia, della affinatezza della tecnica, della squisitezza del
lessico, dell’eleganza dell’espressione, allo stesso modo degli Alessandrini
bandivano i grandiosi componimenti epici e drammatici dell’antica arte classica
e si compiacevano dei minori componimenti dell’epillio (piccolo epos),
dell’idillio (piccolo quadro di vita), dell’epigramma, del giambo (breve
componimento di intonazione satirica), dell’elegia, con tendenza alla cura e
alla preziosità dell’espressione non solo, anche dell’erudizione mitologica.
Essi costituirono un cenacolo molto esclusivo, che mirava ad evadere dalle
passioni politiche e s’impegnava di dedicarsi solo al culto della poesia
rinnovata.
Contemporanea a Lucrezio è la fioritura della poesia lirica. Essa sorge in Roma
quale genere poetico autonomo. Coincide con le mutate condizioni della vita
politica e privata (raffinamento e anche corruzione dei costumi, diffusione di
un più libero pensiero filosofico, decadenza politica), e insieme con la
maggiore conoscenza e penetrazione in Roma della poesia alessandrina la quale
aveva introdotto un nuovo gusto letterario.
A Lucrezio si oppone Catullo, contemporanei. Sebbene di idee opposte, essi si
completano a vicenda, segnano entrambi il passaggio da un’epoca destinata a
sparire ad un’altra che rappresentò per Roma il più rigoglioso fiorire
dell’arte. Catullo era amante della vita allegra ed era preso da una passione
amorosa che lo sconvolse, Lucrezio era solitario e sdegnoso e deprecava le
passioni di ogni genere, da cui voleva liberare tutti come forse era riuscito a
liberare se stesso.
Catullo è il poeta dell’amore e dell’amicizia ed esprime, e descrive, con
dolcezza e profondo realismo i suoi sentimenti. Non sempre, nei suoi carmi,
incontriamo immersione panica nella natura, estasi per le sue bellezze
meravigliose.
Lucrezio aveva un temperamento squisitamente lirico. Dalla sua opera, insieme
scientifica e poetica, l’effusione lirica «sprizza fuori dalle maglie del
ragionamento, fiorisce impetuosa su dalle aride lande della fisica descrittiva,
spesso si espande imperiosa, inattesa, trionfante di fuori e di sopra dal rigido
schema».
Guido Vitali
Dall’«Invocazione iniziale a Venere» (De Rerum Natura, I,
versi 1-20):
«O madre degli Enèadi, o delizia / d’uomini e Numi Venere divina, / che sotto i
trascorrenti astri del cielo / il navìgero mare e le contrade / fruttuose del
mondo empi di vita, /..../ a te dinanzi e al tuo ritorno, o Dea, / si disperdono
i vènti e le procelle, / sotto i tuoi passi l’operosa terra / gitta
fiori soavi, a te la stesa / ride dei mari, a te rasserenato / brilla di luce
dilagante il cielo. / ...schiusa vigoreggia del germinale zèfiro la brezza /
...primi gli uccelli, nel cuore percossi, / ...di te, del tuo giunger dan chiaro
segno / ...petulche esultano le mandrie pei ridenti pascoli / ed a nuoto varcano
gonfie correntìe di fiumi / ...Sui monti, in mar, nelle rapaci acque dei fiumi,
/ nei frondosi asili degli uccelli, pei verdi aperti campi, / tu l’ebbrezza
d’amore in tutti infondi / ...».
Da "Arte e natura" ("De rerum natura", V, versi 1379-1404)
(Nella storia lenta e faticosa dell’evoluzione dell’umanità, l’imitazione delle
voci degli uccelli e del vento è il primo inizio della musica e della poesia):
«E ad imitar con la voce i liquidi canti di uccelli / assai prima essi (gli
uomini primitivi) appreser che note armoniose col canto / a modulare soavi, agli
orecchi a dar dolce carezza. / Prima il vento insegnò, tra le vuote canne
fischiando, / agli agresti a dar voce alle cave zampogne col fiato; / e, giorno
a giorno, essi appreser di poi i soavi lamenti / che, dalle dita tentata, la
canna sa esprimer del flauto, / per erme balze scoperto, fra boschi e recessi di
selve, / di pastorali campagne solinghe negli ozi divini. / Tali diletti
prendevan, siffatti piaceri giocondi, / quando di cibo eran sazi; che allor si
godon più grati. / E sopra l’erbe novelle, accanto ad un fresco ruscello, /
giocondamente corcati, a l’ombre d’un albero folto, / davan con lieve dispendio
ai lor corpi gioioso ristoro; / massimamente se il cielo rideva splendente, e di
fiori / l’erbe stellava dei prati la lieta stagione dell’anno. / Il conversare,
gli scherzi, le tinnule risa gioconde, / erano a loro diletto; ed allora
esultante fioriva / l’agreste Musa. E la gioia festosa di liberi cuori / loro
apprendeva ad ornar di corone e gli omeri e il capo, / ed in ritmo mal certo a
muover i piedi e le membra, / duramente, e la terra lor madre coi duri lor piedi
/ battere in danza, fra giochi, fra scrosci gagliardi di risa».
Già prima di Lucrezio e Catullo questa nuova attività e questa nuova tendenza
poetica si erano venute affermando e svolgendo; di essa però non rimane quasi
nulla, qualche scarsissima reliqua.
Tutta la produzione è andata perduta, rimane solo quella di Catullo. Secondo le
testimonianze degli antichi, rimangono di Catullo 2300 versi.
Si ritiene che la raccolta dei carmi da noi posseduta sia stata messa insieme
molto tempo dopo la morte dell’autore e che non sia stata edita da lui.
Pare che egli ne pubblicasse un gruppo da lui definito "lepidum libellum",
scherzi brevi e leggeri che, nella dedica a Cornelio Nepote, chiama "Nugae".
Così come ci sono stati trasmessi, i carmi sono 116 (qualcuno dice 113 perché
tre composizioni, 18-20, sono estranee alla tradizione manoscritta del libro);
sono diversissimi per argomento, misura, versificazione.
Non sono disposti in ordine cronologico. I primi 60 sono componimenti brevi, in
metri lirici e d’argomento vario; segue il gruppo centrale di 5 componimenti
"dotti": due epitalami e tre epilli (Attis, Le nozze di Teti e Peleo, La Chioma
di Berenice tradotta da Callimaco); gli ultimi 50 sono componimenti brevissimi,
tranne il LXVIII, in distici elegiaci, e sono di argomento vario.
Dai carmi di Catullo, in particolare da quelli dedicati agli amici, ma anche da
altri, emergono le linee poetiche seguite dai "Poetae novi" e il rapporto di
stima e affetto reciproco che tra essi esisteva, a parte l’amore per Lesbia.
Riporto qualche esempio.
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