Romanzo breve
  
di Silvio Minieri
  
Pagine: 37
   Prezzo: non indicato
   E-mail: silvio.minieri@libero.it
   Tel.: 347 4926211

 

PREMESSA

L’antologia di "L’uomo differito", di cui viene qui pubblicata la prima parte, comprende passi significativi di questa mia opera narrativa inedita ed è stata concepita e composta per offrire una visione dello stile di scrittura e dei contenuti, ma anche per una conoscenza seppure generica e necessariamente sommaria della trama. Nella scelta, ho quindi privilegiato quei passi che meglio si adattavano alla comprensione della continuità del filo della storia, tralasciandone altri ritenuti da me di maggior pregio, forse perché di pregi magari i brani scelti non ne contengono molti e non dico nessuno, per non essere io stesso a tenere in dispregio il mio lavoro.
Inoltre, in questa prima parte, i brani scelti sono tratti dai primi quattro libri dei sette complessivi dell’opera, vale a dire: "Nell’azzurro della notte", "Il viandante notturno", "Metaxy" e "Il ragno e la luna". In questa prima parte, separata dalla seguente da un "Interludio", la storia si snoda principalmente tra Roma, L’Aquila e Torino e si riassume nel suo protagonista, Lafleur, un personaggio assai strano, che ama definirsi un esperto della psiche e che sembra intento a rievocare il ricordo di una giovane donna tragicamente scomparsa dieci anni prima, ma che finisce per essere sospettato dell’omicidio passionale della sua giovanissima segretaria. In tali vicissitudini giudiziarie e con una moglie separata, il soggetto riesce anche ad invaghirsi di un’altra donzella, con cui però non sembra riuscire a stringere una vera e propria relazione amorosa. Il seguito della storia si svolge nella seconda parte, non presente in quest’antologia e costituita da tre libri: "I barbieri invisibili", "Il dottor Aleph", "L’altro inverno".

Roma, febbraio 2006

 

Il giardino d'inverno

Smetto un attimo di camminare e, dopo avere lanciato un'occhiata verso il fondo, dove le figure sembrano avere oltrepassato la porta di vetro ed essere scomparse nel buio indistinto del parco di notte, rivolgendomi ai miei ascoltatori, anch'essi in sosta con me, dico:
"E se tutto fu già: che pensi tu, nano, di questo momento? Non deve questa porta essere già stata?"
Ed indico la porta in fondo, che dal giardino d'inverno conduce al parco.
Riprendiamo a camminare più in fretta in quella direzione ed intanto io continuo a recitare lo "Zarathustra":
"E non sono collegate tutte le cose in modo che questo momento trascini con sé tutte le cose venture? E per conseguenza anche se stesso? Giacché tutto ciò che può correre, anche su questa lunga strada che va avanti, deve correre ancora!"
Avevamo progressivamente accelerato. Si può dire che correndo eravamo infine giunti alla porta, dove sostammo. Ed io mi affacciai e sporsi il capo nella notte. Il buio del parco era illuminato da un leggero chiaro di luna. Di fronte a me vi era un albero ed, illuminato dalla tenue luce lunare, osservai un ragno arrampicarsi su un ramo. Allora trassi con me gli altri nella notte e  tutti eravamo fermi sulla soglia della porta ed io dissi, indicando loro l'albero.
"E questo ragno lento che striscia al chiaror della luna, e lo stesso chiaror della luna, ed io e 'voi' che qui sotto la porta bisbigliamo insieme di cose eterne, non dobbiamo tutti essere già stati una volta? E ritornare, per correre sull'altra strada, dinanzi a noi, su questa lunga, lugubre strada: non dobbiamo noi forse  eternamente tornare?"
Indicavo il sentiero del parco notturno davanti a noi, che si perdeva in un bosco non lontano, dove forse si erano rifugiate le figure da noi inseguite.
Ma io non so che cosa successe, perché gli avvenimenti precipitarono. Ricordo che mi trovavo con quelle ombre sulla soglia della porta e ricordo ancora come bisbigliassi insieme con loro di cose eterne "con voce sempre più flebile: giacché avevo paura dei miei propri pensieri e di quanto dietro ad essi si celava. D'improvviso, udii ululare un cane vicino."
"Avevo mai udito un cane ululare così?"
Guardavo nel buio, illuminato dal chiaro di luna. Ed apparve "e lo vidi anche, il pelo ritto, la testa protesa, tremante nella più silenziosa ora notturna, quando pure i cani credono agli spettri."
Udii il richiamo di una civetta e guardai nel buio indistinto del boschetto. Poi guardai in alto nel cielo brillare il disco pallido della luna e il cane ululò di nuovo, perché provava terrore, credendo ai ladri notturni e agli spettri.
Ma dov'ero io? Perché ora tutto questo silenzio? E questa solitudine?

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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