Narrativa
  
di Tiziana Pretti
  
Pagine: 73
   Immagini all'interno a colori
   Prezzo: 12,00 euro
   Tel.: 333 9910328

 

PROFILO DELL'AUTRICE

TIZIANA PRETTI è nata a Trino in provincia di Vercelli, abita sulle colline tra Langhe e Monferrato. Infermiera e Psicomotricista ama scrivere racconti per bambini e ragazzi. Il suo primo libro, edito nel 2002, è stato «Cirillo e la collina del sorriso». Nell’ottobre 2005 è uscito «Il ragazzo delle stelle».

 

C’ERA UNA VOLTA UN BOSCO

L’estate volgeva ormai al termine e qua e là, nel bosco, alcuni alberi avevano già indossato l’abito autunnale; i ciliegi per esempio, sfoggiavano foglie verdi variegate di un bel rosso acceso e i castagni avevano in parte trasformato il verde intenso delle loro foglie in un brillante giallo oro.
La temperatura mite e le giornate ancora abbastanza lunghe permettevano ai numerosi abitanti di quel grande bosco di passare parecchio tempo alla ricerca di cibo da portare nelle tane, per poter affrontare con tranquillità il letargo invernale; oppure, come nel caso dei cinghiali, di fare grandi scorpacciate di ghiande, che abbondavano in quel periodo.
La vita scorreva tranquilla per tutti, regolata solo dal ritmo delle stagioni.
Così era sempre stato: gli alberi crescevano, ne spuntavano di nuovi e il bosco avanzava, da una collina all’altra, ricoprendone i versanti fin quasi alla loro sommità, con costanza, con calma, con tempo.
E al di sopra di tutti vivevano da sempre i due patriarchi: un olmo e un leccio; due alberi secolari che nessun uomo, per vecchio che fosse, ricordava di avere visto piccoli.
Come avesse potuto arrivare là un leccio era un mistero e un altro mistero era come avesse fatto l’olmo a sopravvivere alla morìa che aveva colpito la sua specie qualche decennio prima.
A guardarli, erano veramente imponenti. L’olmo, alto circa venti metri, era bello in tutte le stagioni: in primavera era il primo a fiorire, con piccolissimi fiori viola che lo trasformavano in una nuvola al tramonto; in estate, la sua foltissima chioma verde forniva riparo ad una miriade di uccellini di ogni razza; in autunno le sue foglie diventavano d’oro e, in inverno, quei rami lunghi e spogli sembravano voler sorreggere le grosse nubi grigie cariche di neve o di pioggia.
Il leccio era un po’ più piccolo, ma la sua chioma era più fitta di quella dell’olmo e il suo tronco più grosso. Era uguale in tutte le stagioni, tranne verso la fine dell’inverno quando, pur essendo un sempreverde, perdeva quasi tutte le foglie, facendo temere per la sua salute chi lo guardava.
Ma in primavera, quasi all’improvviso, ecco l’abito nuovo, verde e lucido: nuovi germogli, nuova vita, nuova ombra.
In tutti quegli anni passati a crescere, l’olmo aveva ospitato tra le sue fronde moltissimi nidi di ogni forma e misura; aveva visto nascere e crescere nuove generazioni di uccellini ,che poi se n’erano andati alla ricerca di altri spazi; aveva sopportato con pazienza le beccate dei picchi e i pettegolezzi delle gazze, si era lasciato cullare dalle canzoni d’amore dei pettirossi.
Ma poi, alla fine dell’autunno, era sempre rimasto solo.
Fortunatamente, da due anni, un gufo aveva scelto come sua dimora un grosso nido abbandonato proprio da una famiglia di gazze e vi si era stabilito, trovandolo abbastanza comodo.
Il nido si trovava su un ramo rivolto a sud, verso la valle; era protetto dal vento e, da lì, si vedeva il bosco: una posizione ideale.
Il gufo si chiamava Duca e, anche lui, fa parte della nostra storia.
Anche il leccio ospitava molti nidi fra i rami e non solo: vicino all’enorme tronco, un contadino, che aveva una vigna lì vicino, molti anni prima aveva portato una grossa pietra levigata che sarebbe servita a lui e a chiunque passasse di là per sedersi, riposare e godersi la frescura di quella verde ombra.
Il posto però non era molto frequentato, anzi non lo era per niente: in un mondo caotico e chiassoso come quello in cui viviamo nessuno ormai trova più il tempo per fermarsi ad ascoltare i mille suoni della natura e per lasciarsi accarezzare dai suoi colori e dai suoi profumi.
Ma quella grossa pietra serviva comunque a qualcosa, anzi a qualcuno: faceva da soffitto ad una tana costruita con maestrìa e buon gusto; una tana profonda abbastanza da essere fresca, ma non umida; ampia abbastanza per ospitare una bella famiglia di.... ricci!
Tu sai come sono i ricci vero? sono animaletti simpatici e niente affatto pericolosi, anzi. Vivono nei boschi e nelle zone vicine e si muovono verso sera e durante la notte per andare alla ricerca di cibo; quando si spaventano si avvolgono su loro stessi, drizzando così gli aculei con cui sono ricoperti.
Qualcuno li teme, ma sapessi quanto di più loro temono noi!
Bene, Truciolo è un riccio che proviene proprio dalla famiglia che abita sotto quella pietra e anche lui fa parte della nostra storia.
Ma torniamo nel bosco.
Gli alberi e i cespugli che verso la cima della collina diventano più radi e più piccoli, verso la valle si infittiscono sempre di più, fino a formare una fitta copertura che non lascia filtrare neanche i raggi del sole.
Ciò è dovuto al fatto che nella stretta valle, ai piedi delle colline, scorre un fresco ruscello, alimentato da due sorgenti e dall’acqua piovana che lì, in basso, si raccoglie: la vegetazione è quindi più rigogliosa.
Il ruscello è molto importante per gli animali del bosco, che possono così dissetarsi anche nei periodi di siccità estiva. E proprio dove il bosco è più fitto e più fresco vivono i daini, i cinghiali, i tassi.
E non è tutto: in qualunque ora del giorno, alzando lo sguardo al cielo, si possono vedere uccelli volare, ognuno in un modo diverso: chi vola in gruppo cinguettando, chi da solo pensieroso, chi ama fare acrobazie e chi segue un percorso preciso.
Ma il più elegante è sicuramente il falco. Il suo modo di volare è inconfondibile: vola in tondo, senza muovere le ali, alzandosi un poco ad ogni giro, lentamente; sembra un aquilone.
Non bisogna però lasciarsi ingannare dalla sua grazia e leggerezza: è comunque un rapace e, quando dall’alto avvista una preda, stringe le ali contro il corpo e, come un proiettile, si butta giù a capofitto e gli arriva sopra con estrema precisione.
Nella nostra storia, si parla anche di un giovane falco: il suo nome è Gor ed è un grande amico di Truciolo.
Un predatore grande amico di una preda?
In questo caso si, poiché Gor è un falco vegetariano, amico anche di Camilla e di Nocciolino, rispettivamente una talpa e un ghiro.
Altri animali che abitano il bosco sono le lepri, anche se, giocherellone come sono, preferiscono passare la maggior parte del loro tempo a rincorrersi sui prati di erba medica, o lungo i filari dei vigneti.
In caso di pericolo, o quando sentono la necessità di riposare, eccole che tornano a cercare riparo tra gli alberi e i cespugli del sottobosco.
Proprio sotto una siepe di biancospino c’era la casa di Stella e di Leo e dei loro tre leprotti.
Il bosco di cui stiamo parlando rappresentava il mondo per tutti questi animali e per altri ancora. Rappresentava l’unico mondo, essendo loro nati e vissuti lì, da generazione in generazione; alcuni non ne conoscevano i confini.
Eppure, uno strano destino avrebbe costretto molti di loro ad abbandonarlo, ad affrontare un lungo e pericoloso viaggio alla ricerca di un altro pezzo di paradiso…
Il sole si era appena alzato quel mattino e, tra uno sbadiglio e l’altro, incominciava a riscaldare l’erba ricoperta di rugiada.
Mamma lepre e i suoi tre figli facevano colazione in un prato vicino alla loro tana, sulla cima della collina: una fogliolina di valeriana, una di menta selvatica, un ciuffo di pratoline, un poco di erba medica.
Mentre i piccoli mangiavano e giocavano spensieratamente, la mamma, un po’ preoccupata perché papà Leo si era allontanato alla ricerca di freschi germogli, era molto attenta ai rumori che provenivano dalla strada in costa e che non avevano niente di rassicurante.
Il suo finissimo udito le permetteva di sentire rumori lontani, quando gli altri animali ancora non li percepivano; per questo motivo era sempre lei a dare l’allarme e tutti scappavano a nascondersi.
Attraverso l’aria, arrivavano alle sue orecchie, in quel momento, rumori metallici continui, cigolii, fischi e ciò non era normale. Alzando per un attimo gli occhi al cielo, Stella vide Gor, il falchetto, che volava in tondo sopra la strada e si sentì rassicurata; lei aveva un ottimo udito e Gor un’ottima vista: se ci fosse stato un pericolo, lui l’avrebbe avvertita con quel suo grido particolare che tutti gli animali conoscevano.
I piccoli continuavano a giocare tra l’erba, ma il rumore si faceva sempre più vicino.
All’improvviso, mentre il sole si oscurava sopra di lei, coperto dalle grandi ali di Gor, capì che la sua sensazione era giusta:
- Pericolo ! - gridò il falchetto - Pericolo! -
Mamma lepre non esitò un attimo: chiamò i cuccioli e insieme rientrarono precipitosamente nella tana, mentre Gor volava ancora sopra il prato.
Il rumore era sempre più forte e ormai anche gli altri animali lo avevano sentito e si erano nascosti.
Il sole era alto, l’aria era immobile: nessuno avrebbe mai più dimenticato quella calda mattina di fine estate.

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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