PREFAZIONE
Alle pagine che seguiranno intendo premettere di non ritenermi uno scrittore, ma
semplicemente "un dilettante dello scrivere", nel senso etimologico del
termine e cioè un individuo, ormai di una certa età, che, dopo essere andato in
pensione, ha scoperto quanto sia divertente, ed intellettualmente stimolante,
cimentarsi con la parola scritta.
Confesso che i miei primi "lavori", se li rileggo oggi, manifestano senza dubbio
una certa pochezza sia di contenuti che di struttura ma, con il procedere degli
anni, credo di essermi migliorato, tant’è che i due racconti con cui si apre
questa raccolta sono risultati vincitori in due diversi concorsi letterari.
Il primo (Il complotto) si è classificato terzo nel concorso 2005 "Parole
ritrovate: lo scrittore che c’è in te", sezione narrativa, promosso dalla
L.I.T.A. di Milano (ricevendo anche un premio di 260 Euro che non ha certo
cambiato la mia vita, ma è stato motivo di un’enorme soddisfazione personale).
Il secondo (La stangata) si è classificato tra i primi dieci, con diritto
alla pubblicazione, nel XII premio letterario internazionale "Trofeo Penna
d’Autore", sezione racconto singolo, promosso dalla A.L.I. Penna d’Autore di
Torino.
I restanti racconti/ricordi inseriti nel volume derivano da una scelta del tutto
personale, essendo quelli che a volte io stesso rileggo molto volentieri.
Rolando Riccardo
Monza, 10 Settembre 2006
La visita notturna
Come da tempo annunciato, e più volte ribadito da tutte le
reti televisive, il mese di dicembre era iniziato con delle temperature diurne e
notturne molto al di sotto di quelle mediamente attese per la stagione, e quindi
questa volta il popolo dei telespettatori, generalmente piuttosto dubbioso
sull’attendibilità delle previsioni meteo, si era dovuto ricredere, riconoscendo
che tali anticipazioni si stavano dimostrando persino troppo veritiere.
Va aggiunto, per inciso, che queste previsioni vengono formulate da un nutrito
stuolo di ufficiali dell’aeronautica, dei personaggi che, ad onor del vero, sono
piuttosto strani perché, vedendoli così spesso sugli schermi televisivi,
inducono a chiedersi come riescano a riempire un’intera esistenza trastullandosi
con delle immagini fornite dai satelliti, per cui sorge quasi il dubbio che tali
costosi prodotti della tecnologia più avanzata siano stati inventati al puro
scopo di consentire a questa categoria di privilegiati una comodissima
occupazione quotidiana.
Il maresciallo Gennaro Capuozzo, comandante di una piccola stazione dei
carabinieri in un paesino abbarbicato sui primi contrafforti montagnosi non
lontani dalla città di Ivrea, nell’udire, per l’ennesima volta, le ormai
straripetute informazioni sulla situazione del tempo non si trattenne dal
commentare ad alta voce: "Bella forza continuare a ripetere che questo freddo
invernale era stato previsto con largo anticipo! Anch’io oggi sono in grado di
affermare, strasicuro d’azzeccarci, che la prossima estate sarà una stagione
calda! Non sono certo necessari i satelliti per arrivare a queste stronzate di
conclusioni!".
Subito dopo, piuttosto stizzito, si alzò dalla poltrona, ben determinato a
spegnere il televisore, perché il telegiornale si era ormai concluso e per di
più lui quella sera, durante la consueta e solitaria cena, si era anche dovuto
sorbire un lungo sproloquio del solito "tuttologo" di turno, presentato come un
esperto di indagini giudiziarie che, attraverso un complicato giro di parole,
aveva concluso la sua concione affermando che in materia d’indagini giudiziarie
l’Italia si trovava ormai in una perversa spirale di perdurante brancolamento
nel buio da parte delle diverse forze dell’ordine e che ciò era dovuto, secondo
la sua opinione, ad un’endemica spilorceria che aveva sprofondato il Paese nella
più assoluta carenza di informatori ben inseriti, oltre che ben prezzolati, nei
diversi settori della malavita.
Questo sedicente esperto aveva indicato come esempio probante di tale
affermazione una vicenda che da quasi due settimane teneva desto l’interesse
dell’opinione pubblica, perché in tutto questo lasso di tempo le indagini della
polizia sul mancato ritorno alla sua abitazione di campagna, situata poco
lontano dalla caserma del Capuozzo, di un facoltoso aristocratico milanese
sembravano essersi arenate nel nulla, nonostante che a poche ore dalla scomparsa
ci fosse stata una telefonata anonima con cui era stato richiesto un riscatto
ingentissimo.
Proprio in conseguenza di un marcato accento meridionale del misterioso
telefonista la Questura di Torino aveva diramato un comunicato stampa in cui il
rapimento veniva attribuito ad una qualche cosca o della ndrangheta calabrese o
della mafia siciliana.
Il Capuozzo, poco prima di schiacciare sul telecomando il tasto dello stop, si
sovvenne che il palinsesto della serata prevedeva la trasmissione dell’ultima
puntata de "Il maresciallo Rocca" e lui le vittoriose avventure di questo suo
quasi collega, quand’anche ormai replicate parecchie volte dalla più importante
rete nazionale, le aveva sempre seguite con attenzione.
Ogni volta infatti finiva con l’immedesimarsi nella figura del protagonista,
sognando di riuscire un giorno a risolvere delle indagini difficili ed intricate
e di essere quindi intervistato sia dai cronisti televisivi che da quelli della
carta stampata ed anche, perché no, di incontrare una qualche Stefania Sandrelli
con cui avviare un felice rapporto di conoscenza che, auspicabilmente, si
concludesse con un altrettanto felice matrimonio, visto che il maresciallo, da
alcuni mesi ormai quarantacinquenne, non era stato sino ad allora molto
fortunato nei suoi rapporti con l’altra metà del cielo.
Lui, per la verità, in tutti quegli anni aveva collezionato una lunga serie di
relazioni sentimentali con donne delle più svariate estrazioni sociali, ma tali
vicende si erano tutte regolarmente concluse con dei dolorosi fallimenti, quasi
sempre imputabili, per sua stessa ammissione, ad un caratteraccio piuttosto
introverso che lo rendeva da un lato poco loquace e, dall’altro, sempre nervoso
ed arrabbiato per imprevisti, difficoltà o quant’altro che, un giorno sì e
l’altro pure, sempre si manifestavano durante lo svolgimento delle più svariate
attività quotidiane.
Il risultato di questo modo di vivere la propria esistenza era che queste
numerose donne, una dopo l’altra, dopo un certo periodo di tempo finivano con lo
stufarsi di questi suoi comportamenti per nulla accattivanti ed indirizzare le
loro attenzioni verso qualcun altro, forse meno attraente del maresciallo ma di
certo molto più comunicativo, e fors’anche disponibile al dialogo romantico.
Quella sera però la sua speranza di "interpretare" ancora una volta l’ammirato
collega televisivo andò delusa perché, proprio poco prima che la trasmissione
avesse inizio, si presentò alla porta del suo alloggio l’appuntato Carmelo
Esposito, un suo compaesano che, ligio alle norme richiedenti ai militari di
esprimersi sempre in modo "forte e chiaro", non appena la porta fu aperta si
mise ad urlare a squarciagola: "Signor maresciallo, dalla caserma di Ivrea hanno
appena telefonato avvisando che fra non molto arriverà da noi il comandante
Senesi per conferire urgentemente con lei".
Nell’udire la notizia il Capuozzo entrò in agitazione e, congedato il
sottoposto, spense subito il televisore per poi precipitarsi in camera da letto
a reindossare la divisa che di solito alla sera, una volta rientrato in
alloggio, si toglieva, per sostituirla con un completo da camera molto più
comodo per restarsene sdraiato in poltrona a godersi una tranquilla serata
casalinga.
Mentre si stava rivestendo cominciò però a chiedersi, sempre più preoccupato,
perché mai il suo diretto superiore stesse raggiungendo quel piccolo paese ad
un’ora così tarda e soprattutto perché, se proprio si trattava di una questione
così urgente, non fosse stato piuttosto lui, inferiore di grado, ad essere
convocato presso il comando di zona.
Dopo un ultimo controllo allo specchio, per verificare con cura che nulla
risultasse in disordine nel suo abbigliamento d’ordinanza, si diresse
all’ingresso dell’edificio per ricevere nei dovuti modi il superiore.
L’attesa fu brevissima perché poco dopo una camionetta militare svoltò
velocemente la curva che immette nella strada d’accesso alla piccola caserma per
poi arrestarsi, con un alto stridore di freni, proprio davanti al cancello dove
il maresciallo nel frattempo si era irrigidito sull’attenti.
Pur se del tutto immedesimato in un saluto impeccabile non mancò però di
stupirsi nel constatare come il superiore fosse giunto non già accompagnato dal
solito autista, che il Capuozzo da anni ben conosceva, ma guidando invece lui
stesso la vettura di servizio.
Una volta spento il motore il capitano Senesi scese agilmente a terra ed
avvicinatosi al suo sottoposto gli disse, con un tono estremamente
confidenziale, "Comodo, comodo Capuozzo perché non sono qui in veste ufficiale;
consideri infatti questa mia una visita del tutto informale ad una persona che
ho sempre apprezzato e con la quale stasera vorrei avere un amichevole colloquio
a quattr’occhi".
Dette queste parole prese sottobraccio il maresciallo che, confuso ed
impacciato, s’incamminò verso l’ufficio, ma subito il Senesi lo bloccò
dicendogli: "Sarebbe molto meglio che anziché nell’ufficio ci si recasse
direttamente nel suo alloggio, perché la natura di quanto le sto per dire deve
rimanere assolutamente riservata ed è quindi opportuno che il nostro colloquio
si svolga lontano dalle orecchie di un qualche suo sottoposto che, pur senza
volerlo, potrebbe coglierne una parte entrando improvvisamente in ufficio per
informarla di un’eventuale questione urgente".
Il Capuozzo, sempre più disorientato e visibilmente imbarazzato per tanta
inaspettata confidenza, si diresse allora verso il suo piccolo appartamento
dove, prima di entrare, si sentì in dovere di scusarsi per il disordine che il
capitano vi avrebbe trovato, inventandosi sul momento una piccola bugia, dicendo
cioè che non gli era stato possibile sparecchiare il tavolo del soggiorno,
dov’era solito consumare le sue cene, perché richiamato in ufficio dalla
telefonata di un collega di Napoli che doveva riferirgli sulle possibili
connessioni con la malavita di quella città di un pregiudicato campano che da
giorni gli uomini della sua sezione stavano inutilmente ricercando, al che il
Senesi ribatté: "Capuozzo, lei non è tenuto a doversi scusare di nulla, so
perfettamente come noi militari dell’Arma non ci si possa mai concedere un
momento di serena tranquillità, presi come siamo da un continuo succedersi di
impegni, imprevisti, e via discorrendo".
Il maresciallo invitò allora il capitano ad accomodarsi e, dopo avergli offerto
un qualcosa da bere, che fu però cortesemente rifiutato, si sedette anche lui su
di una sedia che posizionò molto vicina alla poltrona del superiore, onde
consentire un colloquio il più possibile sottovoce, ed a quel punto il Senesi
prese a dire:" Lei maresciallo deve sapere che io ed il marchese Gherardo
Dellabona, quel signore che ormai da molti giorni risulta scomparso dalla sua
villa non lontana da questa caserma, tanti anni fa eravamo molto amici essendo
compagni di classe in un noto liceo milanese, poi però, dopo che io sono entrato
nell’Arma ed ho iniziato una lunga serie di spostamenti sul territorio
nazionale, ci siamo completamente persi di vista, ritrovandoci soltanto alcuni
anni or sono quando il sottoscritto è stato destinato ad occupare l’attuale
posto di comandante della zona di Ivrea.
Il nostro incontro avvenne casualmente in un bar cittadino e, pur se molto
cambiati fisicamente, in quell’occasione non faticammo a riconoscerci ed a
scambiarci un fraterno abbraccio, felici per l’avvenuto ritrovamento.
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