Novella
  
di Franco Viviani
  
Pagine: 33
   Prezzo: 5,00 euro
   E-mail: franco.viviani@unipol.it
   Tel.: 049 8804668

 

PROFILO DELL'AUTORE

FRANCO VIVIANI, padovano biologo, ha insegnato scienze, chimica e geografia nelle scuole medie superiori, antropologia fisica per quasi trent'anni a livello universitario, psicobiologia per un decennio presso la facoltà di Psicologia dell'Università di Padova.
Ha compiuto ricerche antropologiche e psicobiologiche in vari paesi del mondo e ricerca in campo sportivo. È autore di un centinaio di pubblicazioni scientifiche, di filmati e testi universitari ed è stato invitato in vari convegni nazionali e internazionali.
È membro di varie associazioni scientifiche internazionali ed è Presi-dente dell'International Council for Physical Activity and Fitness Research. È il rappresentante italiano del NOCIRC, un'organizzazione internazionale no-profit che combatte contro tutte le modificazioni genitali.
Figura nel Who's Who per scienza e tecnologia e nel Who's Who in the World.

 

Sàbado

Sàbado, lo dice il nome, era nata nella notte che precedeva il giorno di festa dei bianchi, dimingu. Viveva in un villaggio che, pur affondando nel fango nella stagione dei rovesci, ricavava da questo un riso apprezzato in tutta la Binea. Era una granaglia coltivata assieme agli antenati i quali, da sottoterra, la fecondavano, soffiando negli steli quando era ancor tenera. Gli avi erano assai importanti, specialmente quelli fondatori, dato che detenevano la proprietà delle risaie, dei prati e delle bestie della tabanca. Se ne stavano, buoni buoni, dieci o venti spanne sottoterra. Tenacemente abbarbicati ai loro averi, si insinuavano, qualche generazione dopo la loro morte, nelle radici degli alberi. Aspettavano, pazienti, il passaggio di una donna fertile e s’introducevano, senza che lei se ne accorgesse, nel suo ventre, per ritornare a goder del sole, dell’aria e delle proprietà di loro spettanza. Senza fretta, il tempo gira in largo e la solitudine purifica.
Sàbado era la bisnonna Benvida, la quale, a sua volta, era stata sua nonna Fatu, la quale, chi si ricorda? proveniva dai primi occupanti la regione Mansua, che significava, per i primi esploratori bianchi: je ne reviens pas. Sàbado era contenta: un giorno, dopo morta, avrebbe occupato un corpo come il suo. O forse meglio del suo e, se tutto fosse andato come a lei sembrava, avrebbe abitato in una casa come quelle che aveva visto a Guixau, col tetto in lamiera ondulata, l’acqua che scorre dentro i muri di casa, gli alberi di mango nel cortile e i servitori per piantare il riso, che si sarebbero spezzati la schiena al posto suo.
Un solo motivo di disorientamento s’agitava nella sua testolina: alcune tra le donne sposate, quelle senza antenati importanti e perciò abituate a parlare col basso ventre, la interrogavano, con malizia: "E allora, ti è scoppiata la pancia ?" E ridevano sguaiatamente. Sua madre, quando le chiedeva spiegazioni, ridacchiava, si faceva un po’ triste e le ripeteva, sempre e soltanto, il detto: "L’arbusto, per diventare albero, deve sanguinare due volte". Non c’era verso di ricavarle di più.

 

Il fidanzato

Tutti gli uomini vecchi erano zii, per Sàbado. Tutti fuorché uno: il fidanzato. Lei era sempre cresciuta tra le coccole della madre e quelle di questo zio un po’ speciale, che la riempiva di doni. Gialli manghi in stagione e pesce secco a volontà - i suoi fianchi avrebbero dovuto crescere ampi. Poi perline color jacaranda, bamboline di sapone e granchi di mangrovia. Quello zio magro e rugoso le faceva un po’ soggezione, ma provava intima soddisfazione. Era stata destinata ad un alanta ndã, un capo.
Sua madre e sua zia, decisero, al sopravvenire della stagione delle piogge, che era tempo di spiegarle, oltre al rispetto che avrebbe dovuto al marito, anche i suoi doveri di prossima sposa. Avrebbe dovuto rivolgersi a lui con la deferenza di sempre, almeno durante i primi tre anni di matrimonio. Mai avrebbe dovuto toccarlo, se non per curarlo. Le insegnarono la frase di rito principale. Quella che, fra poco, lei avrebbe dovuto sussurrargli dopo lo spegnimento dello stoppino nella loro capanna nuziale. Che il riso che tu pianterai cresca abbondante e forte. Lei avrebbe dovuto sforzare la sua fantasia, per trovare delle varianti.
Era tempo, le dissero, osservando le curve che si mettevano in evidenza ogni giorno di più sul suo petto, che capisse cosa significava l’esplosione del ventre. Un giorno il sangue le avrebbe bagnato le cosce e non avrebbe dovuto spaventarsi. Era stata scelta dagli antenati per permettere a qualcuno di loro di tornare sulla Terra. Il popolo del sottosuolo la marchiava col sangue. Sarebbe rimasta nella capanna, per non urtarlo, fintantoché quel segnale non fosse sparito. Da quel momento sarebbe stata donna. Dopo quattro lune avrebbe sposato il suo alanta ndã. Sarebbe così stata moglie, perciò degna di parlare con tutti.

 

Gelosia

"Sàbado, sei pronta per sanguinare la seconda volta ?" ridacchiava la madre. "Sei pronta a lasciare la tabanca e diventare gelosia ?"
"Madre, perché dovrei lasciare la tabanca ?"
"Il clan del tuo fidanzato va a Guixau. Lui, sua moglie e la sua nuova gelosia - tu - Sàbado, non appena ti avrà sposata, partirete assieme e vivrete in città, in una gran capanna col tetto di paglia e il pozzo vicino".
"Madre, ho paura. Non vi vedrò più. Con chi potrò sfogarmi se la sua prima moglie mi batte? La città, poi. Come potrò sopportare il puzzo del catrame? Cosa farò con le comari del mercato, che ti chiedono un soldino anche per un sospiro dolce? Perché devo andare? Io non voglio, voglio restare qui, a correre nei tratturi e a pescare il pesce di pozza con le mani".
"Sàbado, bambina mia, sei diventata donna e se vuoi esserlo fino in fondo, devi farti gelosia. Fra qualche luna potrai fare kunhãla, che significa venire a trovare i tuoi genitori. Potrai restare da noi in tabanca anche molte lune, se vorrai. L’asta del tuo vecchio zio non potrà tenerti a bada a lungo. Lui, certamente, lo sa".
Si fermò e, con lo sguardo di chi confida un segreto terribile, continuò:
"Vedi, anni fa sposò un’altra gelosia, con la quale ha avuto tre figli maschi. L’ultimo è forte e rotondo come un mandingo. La sua gelosia fece kunhãla dalle sue parti dopo che ebbe i primi due figli da lui. Una prima volta tornò, gli diede un altro figlio che lui riconobbe, ma la seconda non tornò più. Fu cercata nel suo villaggio, ma era come sparita. Si dice che la prima moglie di tuo zio l’abbia cercata a lungo. E che, trovata che l’ebbe, le abbia poi offerto il pesce con la coda a punta, quello che si trova solo nel rio Casamanche e che non si può mangiare nella stagione dei manghi. Perché dà rossori di pelle e poi il vomito che ti consuma, perché tutto ciò che cade dopo il gozzo torna su pieno d’amaro, finché non ti ritrovi sottoterra, a purgarti per qualche generazione. La prima moglie del tuo futuro marito è tremenda. In un colpo solo ha consumato due vendette: si è sbarazzata della nuova moglie e ha vendicato il marito, perché, ricordati, dal kunhãla si torna, sempre. Ma tu non devi temerla, perché sei una ragazza buona e sono sicura che porterai a lei il rispetto che porti a tua madre".
"Madre, non voglio".
"Sàbado, devi. Mi auguro che tu non vorrai metterti contro il volere di tuo padre e di tutti gli antenati... Non se ne parla neppure. Vieni, invece, che andiamo insieme a farti fare la collana da signora..."
"Madre, ho come un sasso sul petto..."
"Andiamo, piccina mia, non fare storie. Il cuore degli antenati ci regala, a volte, un futuro che non possiamo neanche immaginare".

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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