Raoul Bianchini

Romanzo breve
di Raoul Bianchini
Pagine: 37
Prezzo: 7 euro
ISBN 978-88-6170 -029-1
 


 

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CAPITOLO I

Crepuscolare il sole illuminava la roccia quando i due ridiscesero sino al pendio. L’azzurro del mare svelava come in una cromìa iridescente la sua intensa verità, irradiando il suo scintillio sulle barche dei pescatori ormeggiate nell’angolo dell’insenatura. Lei si sedette accanto a lui, mentre l’alta marea si abbassava progressivamente bagnandole i piedi; la baia era deserta lungo tutto il versante Ovest ed il vento spirava come memoria di un tempo remoto per poi fermare il suo sibilo inghiottito dalle grotte scolpite nella roccia. Sull’orizzonte come presenza immota si scorgeva una terra emersa, unico punto percettivo di una distesa infinita. Ella si alzò di scatto senza proferir parola avvicinandosi lentamente sino all’altezza dello strapiombo... poi si fermò nel punto in cui un giorno ricorderà i tempi che furono. Lui la seguì timoroso di rompere il silenzio; la vide alzare il braccio destro volteggiante nell’aria, poi cadente sul vestito di lino bianco che le cingeva il corpo come figura eterea, evanescente nello spazio. Egli capì allora che non riusciva o non voleva parlare, desiderava fosse lo spazio ad interpretare le sue parole, ogni suo gesto sembrava volesse proferire sillabe che pian piano andavano dissolvendosi come illusioni di un sogno. Le si avvicinò ed appoggiando il collo sulle sue spalle le disse con un fil di voce che era felice di averla incontrata. Ella gli lesse il labiale e si lasciò andare ad un sorriso radioso come il mare calmo al tramonto. Risalirono piano il pendio, senza comprendere la natura di quel loro fugace incontro; due lucciole illuminavano radenti la strada accompagnando le ombre dei loro volti e i gesti sempre più immobili di lei, saettanti come fasci di luce d’arcobaleno nel silenzio della baia. Il vento sciabordava prepotente per arrestare per un attimo il suo incedere all’altezza del punto più alto dove insieme erano giunti. La vide sciogliersi i capelli come per accompagnare la sua fluente caduta lungo il corpo. Lontano il faro del porto scandiva a intermittenza una flebile luce che improvvisamente le illuminò gli occhi. Si accorse che fissava come alla ricerca disperata di un punto dove ancorare ciò che in quel momento provava; le prese lentamente le mani fino a condurle all’altezza della vita ed insieme cominciarono a ballare a ritmo di una musica sconosciuta. Le note rompevano il silenzio sullo spartito del cielo, mentre le stelle sembravano danzare insieme corpo a corpo.
La luna divenne ben presto piena creando un cono d’ombra tra la coscienza e il sentimento. Smisero di ballare quando ormai anche il riverbero della luna si era eclissato, soltanto la tenue luce di una locanda appariva lontano ad indicare la via del loro non conoscersi. Joseh si voltò come per sottrarsi all’ignoto, le braccia di lei lo trattennero con forza ed egli comprese allora che aveva incontrato colei che gli avrebbe insegnato ad amare. Si avviarono insieme in direzione della locanda, vi giunsero mentre il mare cominciò a risuonare in burrasca, per un breve attimo non vi fu più luce e il buio li avvolse interamente. Egli sentiva le sue mani afferrarlo come disperata, temeva che l’uomo dalle parole di vetro sparisse d’improvviso. Vi giunsero come stremati da una forza superiore. Il portiere che da lontano aveva udito i loro passi aprì la porta li guardava come due esuli amanti. Era bella nel suo vestito di lino corroso dalla salsedine del mare, l’umido lungo gli orli inferiori lasciava trasparire una femminilità inviolata; Joseh temeva di sfiorarla, aveva l’impressione di dissacrarne il candore. Si rivolse allora al portiere chiedendo la disponibilità di due stanze per la notte. Gli venne risposto che si erano liberate da poco e che se volevano potevano salire. La prese per mano con la stessa leggerezza con cui una sposa si avvia all’altare. Fremeva come un bimbo cui la tenerezza è infranta dalle dure leggi del mondo. Le lasciò improvvisamente la mano, mentre in prossimità delle scale la vide dirigersi verso una finestra che improvvisamente si era aperta come a svelare un presagio. Nel cielo si notava scintillante l’Orsa maggiore, presenza di un firmamento cosparso dei sogni che Caterina non aveva più tentato di vivere. Si voltò verso Joseh rimasto immobile come un fanciullo ebete ai primi fulgidi bisogni dell’amore, gli indicò la stella, poi come pietrificata da un’ultima visione si diresse verso la stanza dove si sarebbe ritirata per la notte.

CAPITOLO II

Si separarono per la prima volta dopo essersi dati la buona notte con una rapida occhiata. Le due stanze che il portiere aveva destinato erano adiacenti ed ognuna prospiciente la costa ormai avvolta nelle tenebre come i loro pensieri. Joseh era giunto in quell’angolo remoto dell’isola di Malta per caso. Sapeva che il suo peregrinare per il mondo alla ricerca di un’identità era giunto ormai al capolinea; non aveva fatto altro negli ultimi anni che vagabondare senza meta, senza mai mettere radici ed ora era stanco di sentire ogni mattina il suo cuore in tumulto. Ogni giorno era divenuto nella sua esistenza prosecuzione di quello precedente; i sogni erano sempre più angoscianti: immensi scenari popolati da individui senza un volto. Era come se la sua esistenza non avesse mai conosciuto complicità umana. Viaggiare era sinonimo di redenzione, purificazione, da ciò che la sua mente tendeva a procrastinare. L’incontro con Caterina aveva avvolto la sua vita in uno stato di grazia, di cui ella sembrava ora il punto fermo. I suoi sorrisi e sospiri, le parole non pronunciate avevano il sapore di un aroma cosparso nell’aria nei primi giorni di primavera, come un granito fossile nella roccia millenaria, così il suo sguardo si era inciso nella sua anima. Non c’era più angolo della sua vita in cui gli interrogativi non trovavano risposta, i silenzi a cui lei lo ancorava erano le voci che egli aveva sempre udito senza legittimarne il significato. Uscì fuori sulla veranda appena entrato in stanza. Sentiva quel luogo confortevole come il focolare materno, ebbe l’impressione di essere accanto al camino della casa paterna dove erano trascorsi gli anni più tumultuosi quando la vita gli scorreva addosso riscaldata dal calore protettivo di due genitori difficili ed insieme avvertiva il sangue ghiacciarsi nelle vene per l’eccessiva responsabilità che avvertiva nei loro confronti. Figlio di una mentalità borghese, mai riuscita ad esprimersi come tale, aveva trascorso gran parte della sua vita senza riuscire a dissipare le ombre di questa realtà che ora assumeva le sembianze di un albatro ferito sulle spalle. Il tempo lo aveva convinto che l’identità di cui era alla ricerca non era altro che il tentativo di estirpare come un veleno assunto a dosi questa condizione di vita. Il vento che spirava da Nord-Ovest sferzò sui suoi pensieri rischiarandone la luce; era come se una doccia gelata gli avesse fermato i ricordi accanto a quella donna di cui non conosceva il nome. Tornò il respiro quieto come la calma dopo la tempesta. Si sentiva sereno, mentre le ombre disegnavano nello spazio la fisionomia di Caterina che egli scorgeva espandersi e propagarsi nell’oscurità della baia. Si accorse che dalla fessura della porta ella aveva lasciato passare un foglio stracciato in mille pezzi, il vento velocemente li aveva lasciati volteggiare nell’aria prima di depositarli al suolo. Joseh li raccolse ricomponendoli, come pezzi di un puzzle. Si rese subito conto che vi era trascritto un nome: “Leiton” riuscì a leggere. Le lettere erano scritte in oro su di un foglio bianco senza margini. Turbini di pensieri gli balenarono d’improvviso, come quando nel silenzio delle notti d’estate udiva timoroso il padre tornare da lavoro e gridare in preda all’ossessione parole severe nei confronti della madre. Istantanee fotografiche si accavallarono nella sua mente, senza soluzione di continuità. Joseh così come la donna senza parole, sentiva risuonare l’eco della morte. La sua infanzia passò davanti ai suoi occhi come in traslucida trasparenza sotto il foglio bianco scritto con le lettere d’oro. Ricordava il breve periodo in cui il silenzio era padrone della sua vita, il vuoto di un abisso entro cui scavare alla ricerca di un barlume, di una speranza infranta giorno dopo giorno dalle violenze di un padre interlocutore, assassino della sua coscienza. Gli sembrò per un attimo di essere ancora là nell’omertà dei suoi silenzi di violenza. Fu la luna divenuta piena nel breve volgere della notte a ricordargli dov’era. Si adagiò sul letto, mentre il sonno scendeva privo di allusioni.

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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