Romanzo
di Elena Dragone Pasianot
Pagine: 109
Prezzo: 12 euro
ISBN 978-88-6170-007-9
Opera 2ª classificata ex aequo
alla 13ª
edizione del
Premio Letterario Internazionale
«Trofeo Penna d'Autore»
Per questioni di privacy il lettore che desidera contattare l'autore per
l'acquisto di un volume, deve inviare una e-mail a
ali@pennadautore.it |
|
PROFILO DELL'AUTRICE
ELENA DRAGONE PASIANOT, nata a Verona l’11-02-1943 - Architetto e insegnante,
vive e lavora a Torino e a Sauze d’Oulx. Artista eclettica, ama esprimersi in
campo grafico, pittorico e letterario: collabora alla stesura ed illustrazione
di numerosi libri di testo per la Scuola Media, e realizza pannelli vetrate e
trompe-l’oeil di grande respiro descrittivo, tecnica che trova risvolto
letterario nei romanzi, dove il racconto di saghe famigliari sono pretesto al
tratteggiare atmosfere d’ambiente e situazioni d’epoca. Vincitrice di premi di
pittura in Italia e all’estero, di poesia in italiano e in piemontese, scrive
racconti e favole per bambini illustrate da lei stessa. Finalista nel Premio
Jacques Prévert nel 2002 con «La damina di biscuit», vincitrice del Concorso
«Scriviamo un libro insieme» nel 2003 (racconto «Un Amore vero») nel 2004 ha
pubblicato con A.L.I. Penna d’Autore «I racconti di cioccolato» e il romanzo «La
Storia Locarella». Nel 2005 è stata inserita, finalista, nell’Antologia del
Premio Saint-Vincent (racconto «Il sorriso di Don Chisciotte»), del Premio M.
Jourcenar edizioni Montedit (poesia «Sessant’anni»), delle Poesie Religiose
edizioni A.L.I. Penna d’Autore («Perdono»), dei Missionari del Sacro Cuore di
Napoli (poesia «È domenica»), nel libro «Una favola nel quotidiano,
ANFFAS-Trento» (racconto «La torta di mirtilli»), nell’Antologia dell’Amore di
Penna d’Autore (poesia «L’Abete d’argento» e racconto «Weekend d’amore»), su
Quattro Zampe (racconto «Io e Te») premiato dall’UDI di Torino. Pubblicata
nell’Antologia delle Poesie del Premio Gaetano Errico del 2006 con «Il Silenzio»
e ne «I Grandi Classici della Poesia Italiana - 1° vol. Duecento» edito
dall’A.L.I. Penna d’Autore, con «Per Paola». Nel 2006 vince il secondo premio
alla XIII edizione del Trofeo Internazionale di Penna d’Autore con il romanzo
inedito «Nata a Romania».
PREFAZIONE
Un romanzo interessante per il taglio di lettura particolare
d’un argomento di grande attualità. In un momento storico di massiccia
immigrazione dai Paesi dell’Est e dalla Romania in particolare verso il nostro
Paese, il racconto ripercorre l’epoca in cui erano gli Italiani ad emigrare in
tali Nazioni per lavoro. Scritto sotto forma di diario, come un resoconto di
viaggio, percorre luoghi ed emozioni in tempi diversi. Ma i "viaggi" che
s’intrecciano sono di vario tipo. Quello che ha origine un secolo fa, con
l’Italiano che emigra all’estero: narrato con toni quasi da favola, alla sua
storia si intreccia quella della Romania, del suo passato glorioso e delle
traversie che hanno condizionato le scelte di vita di tanti di noi... me per
esempio. Poi, quello che da noi è stato vissuto come l’espatrio, o, peggio,
l’esilio: il ritorno obbligato in Italia, allo scoppio della Guerra Mondiale.
Illusioni, nostalgie, contrasti, pregiudizi dettati dall’incontro-scontro di
culture e personalità diverse si evidenziano nel racconto fatto con linguaggio
scorrevole e discorsivo da donna d’oggi, dall’autrice, coinvolta suo malgrado
nella vicenda. La sua analisi dei conflitti dovuti alle differenze generazionali
è improntata all’arguzia, ma diventa agrodolce, nel descrivere le situazioni di
contrasto comuni a tutte le suocere e nuore del mondo e in ogni tempo. Un
percorso difficile, vissuto da ognuna di noi a suo modo... perché il viaggio
diventa ora un cammino attraverso la sofferenza, nella ricerca della
comprensione che porta al sorriso venato di tenerezza: una fatica che solo la
capacità di amare riesce a sostenere.
Questo potrebbe essere, oggi, il mio modo di leggerlo, da un luogo molto
lontano, al di sopra dei tempi e delle cose che racconta, sempre che avessi
ancora modo di dirlo...
Lisetta, chiamata Lisìca,
Nata a Romania il 10 ottobre 1919, a Sinaia
NATA A ROMANIA
Luglio 2001, Torino
LA DAMINA DI BISCUIT
Il viso a cuore, la boccuccia che abbozzava un sorriso
composto e il nasino delicato mettevano in evidenza gli occhi atteggiati a cauto
stupore sotto le sopracciglia appena delineate; i riccioli incollati, in
un’acconciatura perfetta, coronavano la fronte liscia, che nessuna ruga avrebbe
mai deturpato: avevo sempre amato quella statuina particolare che mi aveva
lasciato in eredità la zia Ina, mia madrina di battesimo. Forse perché della zia
avevo un ricordo fatto più di racconti di famiglia che personali, quando pensavo
a lei la vedevo come un personaggio romantico e misterioso; forse perché era
morta giovane, quando io avevo solo tre anni, nella mia immaginazione di bambina
si era trasformata nella madrina di Cenerentola (con me nella parte di
Cenerentola, naturalmente) o forse perché mia madre, Bruna, ne parlava con un
tono di nostalgia…chissà! Certo che quella damina mia madre l’aveva sempre
trattata con la reverenza che si deve ad una preziosa reliquia. La teneva sul
ripiano della sua toeletta, in camera da letto e non voleva che ci giocassi.
Solo una volta all’anno potevo toccarla: la damina veniva svestita da lei,
prestando somma attenzione alle braccia sottili che grazie ad un elastico
interno, potevano essere alzate e io avevo l’onore di lavarle viso, spalle e
busto con un batuffolo di cotone imbevuto di shampoo neutro, mentre la Bruna
preparava la stoffa per il nuovo abito. Per qualche giorno, la damina, posata
sul ripiano di cristallo della toeletta, avrebbe atteso così, con un pezzettino
di velo legato a coprirle pudicamente il seno da adolescente, che una nuova
sontuosa toilette venisse ad adornarla e a ridarle, non solo metaforicamente, la
statura abituale. La statuina, infatti, finiva al punto vita, non continuava
nella parte inferiore: dal busto in giù, era inesistente; la parte in porcellana
appoggiava su una campana imbottita, una crinolina inerte, che ogni anno andava
irrobustita con l’aggiunta di ovatta (anche questo era compito mio). Quando
finivo di rivestirla, le alzavo il braccio sinistro, per farle mimare un gesto
aggraziato, come se quella manina affusolata stesse per fissare un neo
all’angolo della bocca, poi la giravo verso la grande specchiera, incorniciata
dalle volute di legno dorato, quasi aspettandomi di vederle brillare, negli
occhi di vetro, un lampo di fatuo compiacimento...
Lasciavo vagare inconsapevolmente i pensieri, mentre guardavo la donna stesa nel
letto d’ospedale, muta e inespressiva come la damina di biscuit. Era già
trascorsa una settimana, da quando mia suocera Rosetta era stata colpita da un
ictus dagli effetti devastanti che l’aveva lasciata semiparalizzata, eppure,
dopo essere passata attraverso uno stato di coma totale per approdare a quello
di coma vigile, da cui sembrava che nulla riuscisse a svegliarla, non aveva
perduto nulla del suo fascino da regina madre. Anche i medici e gli infermieri
osservavano un rispettoso silenzio in sua presenza, dicendo che, probabilmente,
la sua mente era in grado di registrare i commenti delle persone che
l’assistevano…io non capivo se fossero intimiditi dalla sua somiglianza con la
regina Elisabetta d’Inghilterra o se nessuno di loro, fino a quel momento, si
sentisse di sciogliere la prognosi, perché le sue condizioni erano rimaste
immutate.
Cioè gravi.
Fino a quel giorno ci eravamo alternati nell’assisterla, io e i suoi figli, mio
marito Luigi e mia cognata Maria Clara, spiandone i cauti segni di ripresa, in
un’altalena di emozioni e delusioni; a poco a poco, di pari passo con gli
impercettibili miglioramenti (un movimento della mano sinistra, poi della gamba)
si erano evidenziati i traumi irrecuperabili.
Improvvisamente, una specie di mugolìo mi fece accorrere vicino al letto:
«Mmma... mma, ppapaaaà!»
Gli occhi chiusi, il viso raggrinzito dalla concentrazione, come raccolto
intorno alla bocca contorta, si rilassò, nell’esplodere quelle due parole, quasi
inintelligibili, emesse in un soffio, con un suono gutturale. La mano sinistra
salì, chiusa a pugno, alla guancia, in un gesto vezzoso... contro ogni logica,
fu per me come un sovrapporsi di immagini e di pensieri:
La damina ha parlato...
Poi, gli occhi color piombo si aprirono, con un lampo di consapevolezza, per
richiudersi subito, come spaventati da ciò che vedevano; il viso si rattrappì in
una smorfia di sofferenza, mentre il mento si raccoglieva a nascondere la bocca
sdentata contratta: mi resi conto, con orrore, che stava facendo «casul», come
si dice in Piemonte, quando i bambini si preparano a dar spettacolo di
sofferenza, con lacrime rotolanti lungo il viso, fino al mento, delegato a
raccoglierle come un mestolo ("il casul", appunto). Mi sentii in dovere di
tranquillizzarla:
«Non piangere, stai tranquilla, non ti devi sforzare, ti capisco lo stesso...»
Gli occhi si riaprirono, ma solo per richiudersi e stringersi di nuovo, mentre
tutto il viso si contraeva per lo sforzo di farlo obbedire al desiderio di
piangere. E, finalmente, una microscopica goccia si formò all’angolo della
palpebra strizzata. La guardai angosciata e mi ritrovai ad asciugargliela, con
la garza bagnata con cui le avevo inumidito le labbra pochi minuti prima, mentre
le sussurravo:
«Non piangere, Rozìca, ti prego, non piangere. Ti vogliamo tutti bene, siamo
tutti vicino a te: tra poco arriva Lucrezia, non devi farti vedere così, o fai
piangere anche lei...»
Non piangere che mi strappi dal cuore tutti i ripari che mi sono costruita in
tanti anni, ti prego... è stato così doloroso, vederti ammonticchiare, una sopra
l’altra, le pietre dell’indifferenza nei miei confronti! Sei riuscita a erigere
un muro che, è vero che ti allontanava da me, ma avevo imparato a riconoscerlo
come una difesa che mi aiutava a non soffrirne troppo...
Come se il nomignolo con cui l’avevo chiamata avesse risvegliato in lei qualche
ricordo, Rosetta smise di piangere poi, come se l’accenno a Lucrezia, la sua
nipote preferita, l’avesse richiamata all’ordine, alzò la mano sinistra, nel
gesto abituale a ravviare i capelli fini che stavano adagiati sul cuscino,
inerti come il resto del corpo avvolto in una camicina rosa ricamata.
«Come la damina che aspetta il vestito nuovo e che l’imbottitura la faccia stare
diritta...»
Fu il mio pensiero incoerente, mentre le palpebre si riabbassavano; allora, per
non interrompere quel breve contatto che si era creato, le percorsi il braccio
destro immobile, con una carezza che speravo rassicurante, come un pensiero di
tenerezza filiale.
« Non mi hai amato come una madre ama una figlia, lo so, ma nemmeno io sono mai
arrivata a sentirmi tale, nei tuoi riguardi. Davanti a te mi sentivo sempre come
sotto esame e raramente, ho avuto la sensazione che tu mi ritenessi degna di
superarlo...»
La mano magra della malata, costellata da les fleurs du mort, come sono chiamate
dai francesi le macchie di vecchiaia, scese a lisciare il pizzo della camicia in
un gesto istintivo, di cui non aveva perso il ricordo.
«Ecco, sei a posto, in ordine: ti hanno vestita e pettinata come piace a te.
Vedrai: va tutto bene.»
«In fondo, ti ho giudicata anch’io: la tua manìa dell’esteriorità mi irritava,
quando non mi faceva sorridere, come se, delle due, tu fossi la bambina e io
l’adulta.»
Cercavo di dare alla voce un tono suadente e di nascondere la tristezza che mi
travagliava: cos’era che andava bene, in quella afosa giornata di luglio, nella
stanza d’ospedale?
Il verde delle pareti si rifletteva sulle facce delle ammalate, il ronzìo
sommesso dell’aria condizionata sembrava trasformare la realtà in un limbo senza
tempo: come in un acquario! Nemmeno i rumori dei muratori nel cortile, di là
dalle finestre chiuse riuscivano a creare un senso di collegamento con la vita
reale e io ero lì da ore a contemplare quel viso liscio da vecchia bambina,
cercando di ricordare solo le cose belle del passato, per riuscire a vivere il
presente con la giusta partecipazione, senza angoscia, né assurdi sensi di
colpa.
« Non è stato colpa di nessuno, se la Bruna è morta così presto e così male...
Ma, almeno allora, avrei voluto sentirti vicina... invece di sentirti dire, con
quell’aria di distaccata sufficienza, mentre la guardavi ansimare, con la
bombola dell’ossigeno accanto: ha sempre fumato tanto!»
Gli occhi color del piombo si richiusero per un istante, mentre mi rialzavo
dalla sponda del letto, stirando la schiena indolenzita e mi allontanavo di un
passo verso la sedia: inutile, sembrava che Rozìca mi stesse cercando, mentre
volgeva con fatica lo sguardo appannato intorno al letto. Chissà se m’aveva
riconosciuta, o se mi vedeva come un’infermiera di servizio al piano? Di sicuro,
capiva che c’era un qualcuno messo lì per lei, perché appena tornai nel suo
limitato campo visivo, il viso le si contrasse ancora. Irresistibile, mi colse
il desiderio di allontanarmi. Feci ancora un passo indietro e poi, arretrando
pian piano per non farmi sentire, fuori, in corridoio. Un lungo respiro, ma il
groppo in gola non voleva saperne di scendere.
«Non devi farmi pena, smettila. Lo sai che ci sono sempre cascata, nei tuoi
minuetti...»
Mi accorsi di arrossire, come se le infermiere in corridoio potessero leggermi
nel pensiero. E mi parve di udire la voce della Bruna:
«Smettila di rimuginare, ferma quelle rotelline prima che impazziscano; non è da
te, nascondersi dietro a un dito, anche se ti sembra una mano e portar rancore
poi, per qualcosa che non si può rimediare, è uno spreco di tempo e di energie:
torna dentro e fai il tuo dovere, come se ci fossi io, in quel letto!»
A capo chino, come se ce l’avessi davanti e non potessi reggerne il sorriso di
affettuosa ironia, rientrai nella camera. Sembrava che Rozìca si fosse
appisolata. Sperai che, prima di svegliarsi, mi concedesse il tempo di spazzar
via i pensieri e ripartire, a lavagna pulita, dal ricordo di una Rozìca ridente
e ingenua, come non avevo mai conosciuto, ma come amavo immaginare fosse stata.
Fu allora che, osservando distrattamente la cartella clinica, appesa al fondo
del letto, lessi, sotto la data del ricovero, negli spazi delle generalità:
«Nata a... Romania». Come aveva sempre detto Rozìca, quando qualcuno le chiedeva
di dove venisse...
continua |