Racconti
di Silvio Minieri
Pagine: 55
Prezzo: 4 euro
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PROFILO DELL'AUTORE
SILVIO MINIERI è nato a Napoli e vive a Roma. Poeta, romanziere, saggista,
studioso di letteratura e filosofia, ha pubblicato diverse opere in prosa e
poesia. Suoi saggi, novelle e componimenti poetici sono apparsi su riviste
letterarie ed antologie varie. Alcuni suoi lavori letterari sono stati tradotti
e/o pubblicati in altre lingue. Ha ottenuto diversi riconoscimenti, anche oltre
i confini nazionali. Tra i suoi titoli, si possono ricordare: «L’uomo camuffato»
(romanzo, 1999); «Addio alla città imperiale» (poesie, 2002); «Il cavaliere e
l’annuncio» (racconti, 2004); «La maschera e i giorni» (poesie, 2006); «L’uomo
differito» (romanzo in quattro volumi, di cui sono stati pubblicati i primi due:
“Il viandante nella notte” e “Il ragno e la luna”, 2007).
IL FANTASMA DELLA GIUSTINIANA
Uscendo da Roma, lungo la Cassia, in direzione nord, subito
dopo il raccordo anulare, s’incontra la Giustiniana, un quartiere tra il
residenziale ed il rustico, dove l’espansione edilizia ha fatto sorgere tra il
verde molte palazzine, villini ed altre abitazioni.
Sembra che in antico, dato il carattere ameno dei luoghi, Giustiniano Imperatore
abbia scelto quel posto, per ritemprarsi in campagna dalla spossatezza della
vita caotica della città: di qui il nome alla frazione, assurta oggi al rango di
quartiere della capitale.
Queste notazioni urbane sono facilmente coglibili da qualsiasi non distratto
visitatore, ma l’osservazione può sfuggire al curioso che ivi si rechi per
controllare la voce da tempo ricorrente sulla chiacchierata apparizione notturna
di una macchia bianca fuggente sulla consolare, nel tratto che dalla Giustiniana
conduce alla Storta.
Avevo letto la notizia sul giornale, mentre andavo in ufficio. Si raccontava
dell’improvviso apparire e scomparire di un candido e fosforescente chiarore nel
buio della notte, un alone di luce spettrale che emanava da un vero e proprio
ectoplasma. Ma comunque si tentava d’inquadrare il fenomeno nel campo
dell’avvistamento di ufo. Poi però il discorso del cronista scivolava sulla
leggenda paesana e su osservazioni di carattere folcloristico, tanto desiderate
dalle comitive di forestieri durante le scampagnate e nel corso delle cene
organizzate nelle trattorie così familiari e domestiche e con cibo genuino e
vino buono. Il pezzo di cronaca finiva con annotazioni gastronomiche, certo care
al suo estensore, ma non credo soltanto a lui.
Non dovetti però avvertire lo stimolo di appetito, suscitato dalla lettura della
cronaca, perché la mia attenzione si era concentrata sul luogo dove si svolgeva
questo fenomeno da leggenda. Ecco, l’indicazione di leggenda soddisfaceva il mio
animo e credo la coscienza di chiunque voglia rifiutare vicende tragiche,
trasportandole nell’immaginario, cioè nella memoria.
Decisi di verificare, con il compenso di un’evasione pomeridiana dallo squallore
dei miei orari di impiegato ministeriale, tra la noia delle pratiche e dei
fascicoli. Dovetti attendere alcuni giorni, prima di riuscire a trovare il
pomeriggio libero, che normalmente trascorrevo all’ospedale, in visita a mia
moglie, ricoverata per un’infezione renale.
Il giorno seguente la lettura del brano di cronaca, sfogliai ancora il giornale,
alla ricerca del seguito della notizia, senz’altro attesa dai lettori,
emozionati dagli ufo. La cronaca aveva comunque abbandonato la pista degli ufo,
per imboccare con decisione la strada, più consona al cronista, di trattorie in
campagna con abbondanti vivande e frizzante vino locale, certo goduto a stomaco
soddisfatto dal lavoratore della stampa, in vena di scialare il magro
straordinario, passatogli dalla redazione in quelle noiose sere estive. In
verità, se avesse imboccato la storia degli ufo, quel tratto di consolare tra la
Giustiniana e la Storta poteva finire per essere intasato di automobili fino a
tarda notte e sarebbero piovute telefonate in redazione, dicendo di smetterla
con gli ufo, per non intralciare il traffico, già su quel tratto poco scorrevole
per il rientro dei molti dalle gite di fine settimana.
Ero contento della piega presa dalla cronaca, perché favoriva i miei progetti di
un’escursione in quei luoghi al di fuori della folla.
Quando un pomeriggio presi l’autobus, cominciavano a cadere gocce di pioggia;
quando scesi pioveva a dirotto, ma fui fortunato, perché ero solito portarmi
l’ombrello. Saltando tra le pozzanghere e sguazzando con le scarpe bagnate,
rifeci un bel tratto di strada all’indietro, perché ero sceso qualche fermata
troppo avanti, inconsciamente trattenuto da quell’acqua, che scorreva sui
finestrini.
Avevo abbastanza appetito ed il ristorante, che ricordavo, stava sempre al suo
posto; mi avrebbero dato da mangiare? Erano ormai passate le tre del pomeriggio.
Mi trattenni nel giardino, spiando se le sale e la cucina fossero aperte,
approfittando della sosta, per asciugarmi al riparo delle fronde dell’opportuno
e magnifico albero centrale. Restai diverso tempo indeciso, poi con rapida corsa
m’infilai nella sala in penombra. L’uomo mi venne incontro sorridente e
servizievole e disse che da mangiare ne aveva, ma soltanto freddo.
“L’ho vista nel giardino ed ho capito che desiderava mangiare. Il temporale ha
fatto saltare la luce elettrica: è da questa mattina.”
“Sì, i temporali sono così.”
Mi venne a servire una donna, non seriamente intimorita da tutta quella pioggia,
ma stranamente sorpresa da quell’avventore solitario o forse incuriosita.
E così, mentre mangiavo l’arrosto con spinaci ed il pezzo di groviera e bevevo
quel vino bianco freddo, che scendeva come acqua, riandavo con la mente ad un
altro giardino di qualche anno prima, ad un altro tavolino di ristorante
all’aperto di un’altra città, ma in una giornata di sole. È seduto di fronte
alla tavola imbandita, i capelli biondi particolarmente chiari e ben pettinati.
Ha lo sguardo serio, ma non imbronciato; parla dei piccoli avvenimenti
quotidiani, quasi volesse nascondere una sua storia, che lo rende felice e
pensieroso.
Il vino bevuto, quasi tutta la bottiglia di tre quarti, mi ha un po’
intorpidito. Fuori ha smesso di piovere, anche se la giornata resta grigia.
Osservo il proprietario, che diligentemente ripiega i tovaglioli, guardando
anche lui fuori dai vetri e sbirciando ogni tanto nella mia direzione, in attesa
di servire il conto oppure il caffè. Ad un tratto si precipita verso il centro
della sala una bimbetta di sette otto anni ed il padre la manda fuori a giocare
con gesto carezzevole.
Mi riscuoto dal torpore e decido di passare il resto del pomeriggio nel bar
vicino e girando nella zona, anche per ammirare le statue in mostra all’aperto,
dietro i recinti dei laboratori di scultura del marmo.
Esco.
Nella strada, vicino all’ospedale, un uomo magro con gli occhiali e con un
vestito grigio striminzito e la camicia e cravatta in disordine, sta fuggendo;
ma viene subito raggiunto ed agguantato da due inseguitori in camice bianco;
l’uomo con gli occhiali scalcia, tentando di svincolarsi ed oppone resistenza,
aggrappandosi al palo metallico di un cartello stradale. Finiscono tutti e tre
per terra, mentre sopraggiunge una pienotta infermiera, che cerca di persuadere
l’uomo a desistere, chiamandolo energicamente per nome; quindi, a completamento,
gli sferra una ginocchiata nello stomaco, rovinandogli addosso con tutto il peso
del corpo. Infine il fuggiasco viene immobilizzato e ricondotto dietro i
cancelli dell’ospedale.
Non mi sono ancora ripreso dalle riflessioni sulla movimentata scenetta, quando
mi sento chiamare: mi volto verso un braccio, sporgente tra le sbarre del
recinto ospedaliero; una mano stringe una bottiglietta vuota, mentre una voce di
donna mi chiede di comperare due caffè; prendo la bottiglietta e subito la mano
ricompare con una banconota.
Più tardi, nella locale stazioncina della linea ferroviaria urbana, mi siedo
nella sala d’aspetto. Guardo davanti a me e sono immobile.
Accadde questo.
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