Romanzo
breve
di Maria Letizia Filomeno
Pagine: 29
Prezzo: 10 euro
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PROFILO DELL'AUTRICE
FILOMENO MARIA LETIZIA, nata a Gallarate il 12-9-1971 - È autrice di poesie,
racconti, romanzi. Ha pubblicato due raccolte personali di poesie con le
Edizioni «Il Grappolo». Con l’A.L.I. Penna d’Autore di Torino ha pubblicato la
silloge di poesie «Presunte illusioni», e il romanzo breve «La ragazza di Porta
Garibaldi». Altre sue opere, sia in poesia che in prosa, sono presenti in
antologie. Ha conseguito riconoscimenti in vari concorsi e collabora a riviste
letterarie.
GLI SMS CHE TI HO MANDATO...
A CUI TU NON HAI QUASI MAI RISPOSTO
Una volta non avevo questa mania ossessivo-compulsiva.
Quando una persona ti è vicina, non ne senti la mancanza, è logico.
Ma dopo, quando l’unica risposta al mio desiderio era il silenzio, sono stata
presa dalla smania irrefrenabile di fargli sapere - anche con questo asettico ed
elettronico ritrovato della scienza - quanto lo amavo, quanto mi mancava e
quanto avrei voluto riprendere la nostra storia.
E questo ha fatto sì che mi ritrovassi - magari alle tre di notte, di ritorno da
una sera in discoteca - a battere istericamente e febbrilmente sui tasti del mio
Siemens C35, per inviargli il mio ennesimo, silenzioso e sottilmente
disperato... SMS.
Mia cugina mi ha iniziato al rito degli SMS, i famigerati messaggini, a
Natale del '98.
Ho così utilizzato questo rapido mezzo, oltre che per sperimentarne l’uso, per
augurare a un certo numero di persone di trascorrere un buon anno nuovo.
Ai tempi della mia storia con R., ero già un’esperta "messaggiatrice",
anche perché avevo conosciuto un ragazzo, carissimo amico, che aveva l’abitudine
di inviarmi una media di quattro o cinque sms al giorno, a cui io, benché dotata
del dono della scrittura, rispondevo con laconici messaggi che lo lasciavano
invariabilmente deluso.
Con R., dopo i primi "buona notte" e "buon lavoro", ho capito che
non era il tipo da rispondere a messaggi, preferiva parlare di persona, oppure
al telefono.
Quando però, dopo la prima rottura, la sua lontananza cominciò a pesarmi in
maniera insopportabile – benché mi capitasse, per motivi di lavoro, di vederlo
di tanto in tanto – ho iniziato a mandargli piccoli messaggi, un po’ timorosa
che questo modo discreto di rientrare nella sua vita potesse infastidirlo.
"Qualche volta penso di avere superato tutto, ma la ferita fa ancora male.
Vorrei parlarti, ma non mi vuoi ascoltare... scusa, ma ti voglio ancora bene...".
Beh, certo, allora peccavo di eccessivo romanticismo, e avevo ancora una dose
deleteria di fiducia nel prossimo. Miravo, insomma, a pizzicare le corde
dell’altrui sensibilità.
In altre parole, cercavo di incutere pietà, cosa di cui, ora, non mi vergogno
affatto... ma che mi imbarazza un poco.
Ma, insomma, che cosa si può rispondere a un messaggio così? Soprattutto cosa
può rispondere un uomo, poco avvezzo a smancerie e a lunghe discussioni
sentimentali, reo, tra l’altro, di avere procurato la ferita di cui sopra e di
averlo ammesso, con accorate scuse? Niente.
Appunto quello che rispose. Silenzio.
Ora, ecco, si può fare della dietrologia anche di fronte al
silenzio. Negare al nemico la sua sofferenza? Rendersi conto di non sapere cosa
dire e sentirsi un po’ in colpa? Non prendere nemmeno in considerazione l’idea
di rispondere, perché si considera chiuso l’argomento?
Comunque sia, questo vuoto elettronico mi tolse per vari mesi la voglia di
riprovarci.
Poi, però, venne Natale.
Non mi era bastato avere avuto l’opportunità di dargli un bacio su entrambe le
guance - anche se in maniera un po’ formale, in quanto di fronte ad altre
persone – per fargli gli auguri.
La mia mente, ma soprattutto il mio cuore, avevano da tempo partorito una
dolcissima frase, che mi sono perdonata solo perché, appunto, a Natale si è
tutti più buoni.
"Natale è uno di quei momenti in cui sentiamo di più la mancanza delle
persone che ci hanno lasciato. Vorrei esserti accanto, ma ti sono vicina con
affetto. Ciao".
Per comprendere il peso di queste righe, devo precisare che R. aveva perso la
mamma nel mese di giugno dello stesso anno, e, benché avessi continuato la mia
vita, soffocando il dolore che ancora mi provocava la sua assenza, immaginai
come dovesse sentirsi in una circostanza come il Natale, in cui si tende a
essere più vicini - anche per semplice opportunismo o formalità - alle proprie
famiglie.
Contenta del mio pensiero, non mi aspettavo niente di più di un ringraziamento,
magari – anche se questo non è il suo modo preferito di comunicazione – via sms.
Quell’anno, evidentemente, molta gente aveva deciso di utilizzare il telefonino
per inviare messaggi e fare telefonate di auguri, tanto che le linee della TIM
collassarono, nel senso che i messaggi, come i treni, arrivarono con ritardi di
ore, ed era praticamente impossibile comunicare.
Ma io, di questo, non me ne ero resa conto, finché, la mattina del 25 dicembre,
come un dono del cielo, arrivò la sua chiamata, con relative scuse e spiegazioni
del ritardo.
Inutile dire che mi sentii al settimo cielo, mi attaccai al telefono – ora con
le linee libere – e informai la mia migliore amica. Stavo anche per diventare
zia. Mi sentivo completamente estasiata dall’atmosfera natalizia.
Presa dall’euforia, ripresi i messaggi. Un altro banale "buon lavoro" sortì
l’effetto di una chiamata e un’offerta di incontro. La storia riprese.
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