Narratrice poetessa saggista, Antonia Izzi Rufo è un’insegnante in pensione
laureata in Pedagogia con diplomi di specializzazione didattica per "La
Conoscenza dell’Africa" e "L’Emigrazione nei Paesi Tropicali" (Napoli, anno
accademico 1969-1970). È nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno
(IS), frazione di Rocchetta al Volturno. Ha scritto opere in prosa e poesia,
saggi, monografie, testi a fronte e altro. Una cinquantina, finora, i volumi
pubblicati. Collabora a riviste letterarie. Suoi racconti e sue poesie sono
stati inseriti in numerose antologie. Molti i riconoscimenti letterari ricevuti.
Noti critici e personalità della cultura nazionale e internazionale hanno
scritto di lei. Il suo nome risulta nell’"Atlante Letterario Italiano
(www.literay.it), nell’"Enciclodedia degli Autori Italiani dell’ALI" (ali@pennadautore.it)
e in molti siti internet dai quali si possono richiedere anche i suoi libri.
Mario Di Nezza l’ha definita "La Poetessa Pentra", Aldo Cervo "La Ninfa delle
Mainarde", Luciano Nanni "La Saffo italiana", Enrico Marco Cipollini "Una
Scrittrice briosa ed effervescente", Giuliana Matthieu "La Poetessa del
sentimento", Ernesto Magnifico "Una Signora attaccata alla natura...; una rosa,
consigliera di tanti Colori dell’anima", Cesare Lorefice "La Principessa della
poesia", Pacifico Topa "Cronista poetica del nostro tempo". Così Giorgio Bàrberi
Squarotti: «La sua poesia è luminosa ed essenziale in forza di una magata
liricità, con esiti spesso altissimi»; Vincenzo Guarracino: «C’è una commovente
disponibilità al canto nei versi di Antonia Izzi Rufo, c’è la capacità di dar
corpo in versi limpidi e arcani ad una musica la cui misura genera nel lettore
una strana vertigine di bellezza»; Giovanna Li Volti Guzzardi: «Come descrivere
questa prolifica Poetessa che ci dà "I colori dell’anima" per inebriarci di
gioia nelle nostre giornate tutte da inventare, mentre sussurriamo al vento i
suoi magnifici versi?».
ALDO CERVO E GLI ODORI DELLA TERRA
AMICIZIE
Nascono, le amicizie, per caso, in circostanze impreviste, in
periodi diversi, di solito quando si è nello stesso ambiente dove ci si incontra
di frequente, si vivono esperienze di una medesima realtà; tra persone che hanno
interessi comuni o che esercitano uguali attività; anche per corrispondenza, in
uno scambio reciproco di idee. Sono, queste ultime, quelle che il tempo non
intacca ma consolida sempre più. Quando si scrive, nel silenzio e nella
solitudine, nel raccoglimento, si ha modo di discernere meglio i propri
pensieri, di riflettere, di leggersi dentro ed esplorarsi, di mettere a nudo il
contenuto del proprio mondo interiore all’insegna della trasparenza.
Le amicizie non sono sempre le stesse, nel corso della vita: cambiano con l’età,
con le circostanze e gli eventi imprevisti, i trasferimenti in altra sede.
Alcune (Cosa rara? Non proprio) non si estinguono mai.
A parte le amicizie del luogo in cui si vive o quelle dell’ambiente di lavoro,
ci sono quelle sempre nuove della scuola (primaria, secondaria, università) e
quelle occasionali che però non durano perché non hanno il supporto della
vicinanza, perché non vengono coltivate.
Un amico, a volte, è più fedele di un parente, ti offre il suo aiuto anche se
non glielo chiedi, non nutre nei tuoi confronti sentimenti d’invidia o gelosia,
ti è di conforto e sostegno morale nei momenti difficili.
Non siamo mai abbastanza grati al grande Omero - vegliardo e cieco - che vagava
tra le rovine, ascoltava le voci degli eroi scomparsi e narrava le loro gesta
per trasmetterle ai posteri.
Mi piace riportare, come esempio, il libro XVI dell’Iliade nel quale si parla di
Achille e Patroclo. Non ha confronti l’amicizia (forse oggi "strana amicizia"
ancora, normale a quei tempi) sbocciata tra quei due inseparabili amici. Quando
Antiloco porta la notizia della morte del figlio di Menezio e in lacrime dice:
«Giace Patrolo», il Pelide è come impazzito dal dolore, «una negra a quei detti
il ricoperse... / nube di duol...». Urla disperatamente e il suo urlo è simile
al ruggito d’una belva. Si strappa i capelli a ciocche, si rotola nella polvere
e Antiloco trattiene a stento le terribili mani perché non si squarci la gola
per il furore.
«... Un grido / mise, e d’un altro da lontano gli fece / eco Minerva, ed un
terror ne’ teucri / immenso suscitò...».
Per tre volte echeggiò il suo terribile grido che scompigliò le fila dei
troiani.
Recuperato il cadavere, «la man tremenda sul gelato petto / dell’amico
ponendo...», quasi volesse scaldare col proprio calore il corpo inerte e
sentirlo battere ancora, «... cupi e spessi gemiti mettea, come talvolta / ben
chiomato lion a cui rapìo / il cacciator nel bosco i lioncini».
Riemerge allora in lui "l’ira funesta", la potenza vendicativa che tutto abbatte
come un turbine. Non si rassegna alla scomparsa dell’amico d’infanzia. Solo nel
rimpianto, nel celebrarne le virtù e nel ricordo delle gioie e dei dolori divisi
con l’amico dal cuore generoso, trova conforto.
INCONTRO
Il mio primo incontro con Aldo Cervo risale a diversi anni fa
(dieci, forse più). Avvenne a Venafro, in una struttura ecclesiastica nella
quale Amerigo Iannacone aveva invitato i suoi amici scrittori, poeti e
giornalisti, perché presenziassero alla presentazione di un suo libro.
Nell’attesa che arrivassero tutti, ci trattenemmo a chiacchierare, in piedi, e a
scambiarci i saluti. Mi fu presentato Aldo Cervo e ciò mi lasciò indifferente:
non lo conoscevo e nulla mi stimolava a stringere con lui rapporti familiari.
Infine il brusio cessò e ci sedemmo per ascoltare i discorsi dei relatori.
E da questo momento cominciò la sorpresa, si scatenarono il mio entusiasmo e la
mia ammirazione per Aldo Cervo, per quel "tale" che, di primo acchito, m’era
sembrato un tipo che non destava interesse né curiosità (Scusami, Aldo! Ma io,
non ti avevo ancora sentito parlare).
Fu lui il primo ad esordire e mi conquistò con il tono deciso e dolce della
voce, il discorrere semplice e convincente,serio e a tratti ironico, le sue
spiegazioni chiare, concise, esaurienti. Lo seguivo rapita, pendevo dalle sue
labbra.
Quando l’ultimo oratore, l’autore, concluse la dissertazione e chiuse
ringraziando i partecipanti, andai a congratularmi con Aldo. Conosceva il mio
paese per esservi stato per diversi anni come docente di lettere della Scuola
Media; ricordava il nome dei colleghi di quel periodo (tra gli altri anche
quello di mio cognato Federico Pesce), quello degli alunni che s’erano
avvicendati nelle sue classi (tra questi mia nuora Tiziana della quale, in
seguito, mi fece vedere un compito d’italiano e una cartolina illustrata da lei
scrittagli durante un'estate). Era "innamorato" di Scapoli, della sua bellezza
selvaggia, della natura rigogliosa di querce e olivi, dell’ambiente sano non
inquinato dallo smog per l’assenza di fabbriche, della cordialità della gente,
delle dolomitiche Mainarde, anfiteatro naturale che,dalle valli solcate da
ruscelli sale fino alle vette, a gradini, e si staglia altero nell’azzurro. Vi
torna, periodicamente, con la sua "Pinuccia".