PROFILO DELL'AUTRICE
DANIELA RUSCONI è nata trentotto anni fa in una piccola provincia di Milano.
Lavora come impiegata presso una compagnia di assicurazioni. Ama leggere, stare
con gli amici, viaggiare e ballare. La sua più grande passione è scrivere. La
sua innata fantasia l’ha portata da sempre a scrivere ovunque; le basta trovare
un pezzo di carta e state tranquilli che non resterà bianco per molto. Ha
partecipato a vari concorsi letterari sia per poesia che per racconti. Molte
delle sue poesie sono state pubbli-cate sulle antologie dei concorsi stessi. Si
è classificata al 4° posto al concorso letterario «Scriviamo un libro insieme
2002», indetto dall’A.L.I. Penna d’Autore, e al 6° posto al concorso letterario
«Pablo Neruda 2004». Al concorso letterario «Il giro d’Italia delle poesie in
corni-ce 2004» si è classificata al 5° posto nella tappa di Udine e nello stesso
concorso del 2005 si è classificata 3ª nella tappa di Napoli.
IL VENTO DEL DESTINO
Era arrivata sul luogo dell’appuntamento ed era rimasta in
attesa. Aveva seguito tutte le istruzioni alla lettera ed ora, doveva solo avere
pazienza. Era lì da quasi un’ora, quando sentì qualcuno alle sue spalle.
"Venga con me" e dopo essersi voltata si diresse verso una jeep che li stava
aspettando al bordo della strada.
"Salga. Dovrò bendarle gli occhi, sa precauzioni."
Samantha non fece commenti, era certa che se si fosse opposta l’avrebbero
lasciata lì o fatto di peggio. Prima che la bendassero, aveva guardato il suo
orologio, almeno avrebbe saputo quanto tempo ci avrebbe impiegato per arrivare
al loro accampamento. La strada era parecchio impervia, si stavano sicuramente
allontanando il più possibile dai centri abitati addentrandosi verso l’interno
del paese. Lo Zaire era stato preso di mira da bande armate di guerriglieri e il
governo non era mai riuscito a fermarli del tutto. Per l’intero tragitto nessuno
di quegli uomini aveva aperto bocca. Parlavano con lei solo lo stretto
necessario. Arrivati le tolsero la benda e la prima cosa che fece, fu di
guardare l’orologio. Ci avevano impiegato due ore e guardandosi attorno capì che
da sola non sarebbe mai riuscita a trovare la strada per andarsene da lì. Nel
girarsi notò che si trovava in un piccolo villaggio. C’erano donne e bambini e
la cosa la sorprese notevolmente.
"Mi segua."
Scese dalla jeep e seguì l’uomo, che l’accompagnò all’interno di una casetta di
legno.
"Rimanga qui, quando il capo potrà la riceverà" poi si voltò e se n’andò.
Nell’uscire sentì chiudere la porta con la chiave, istintivamente corse verso di
essa, tentò d’aprirla, ma niente.
"Ehi aspetti, apra, non può chiudermi qui dentro, apra."
Non ricevendo nessuna risposta, si rassegnò e rimase in attesa. Restò chiusa lì
dentro per un giorno intero e la mattina del successivo, quando sentì girare la
chiave nella serratura, era così arrabbiata che se non si fosse controllata
avrebbe potuto uccidere qualcuno.
"Venga" poi si voltò e uscì.
Samantha lo raggiunse e arrivarono davanti ad una costruzione simile a quella
dove era rimasta rinchiusa. Entrarono e chi l’aveva accompagnata lì, si rivolse
all’uomo seduto dietro ad una scrivania con estremo rispetto.
"Adrian, ti ho portato quella giornalista."
"Bene, puoi andare."
Girando il capo, la fissò per alcuni secondi senza dire niente.
"Prego s’accomodi. Come avrà sentito mi chiamo Adrian" e gli allungò la mano.
Samantha gliela strinse e si presentò, poi si sedette sulla sedia di fronte a
lui. Quell’uomo era freddo come il ghiaccio e dal suo volto non traspariva
nessun’emozione. Ma nei suoi occhi distaccati e quasi inespressivi, Samantha
notò un velo di tristezza.
"Questa situazione mi ha parecchio irritata. Sono venuta qua per fare un
servizio giornalistico e sono stata rinchiusa per un intero giorno, senza né
cibo né acqua. Non ho più con me né la mia macchina fotografica, né il mio
registratore, né tanto meno i miei documenti. L’intervista l’ha richiesta lei.
Ha mandato fax a diverse redazioni e ora che qualcuno l’ha ascoltata si tira
indietro. Vuole che l’occidente sappia quello che succede in questa parte del
mondo, va bene, ma vorrei sapere perché sono stata trattata così e se ha
cambiato idea mi ridia la mia roba e me n’andrò."
Adrian l’ascoltò e la osservò attentamente. Aveva visto i suoi documenti, sapeva
che aveva ventinove anni, quattro meno di lui e che non era sposata, ma la foto
faceva quasi un torto alla bellezza di quella donna. Era di statura media, magra
e quei capelli rossi e lunghi e quegli occhi verdi erano splendidi.
"Sì, da una parte ha ragione, volevo che qualcuno venisse qua, ma quello che in
realtà voglio sono soldi e credo che grazie a lei ne avrò parecchi."
"Soldi? Come potrò darle dei soldi ..." poi si sofferma un attimo e ...
"Lei non ha nessun’intenzione di rilasciarmi un’intervista e tanto meno di
lasciarmi andare. Non può farlo, troppa gente sa dove mi trovo."
"No, si sbaglia Samantha, nessuno sa dove si trova e arrivare fino a noi non è
per niente facile. Sanno che è arrivata all’aeroporto, ma da li si sono perse
tutte le sue tracce. Mi servono cinque milioni di dollari e i miei soldi ormai
sono stati spesi tutti. Questa gente ha bisogno di più aiuti possibili e visto
che nessuno fa niente, ci ho pensato io."
"Cinque milioni di dollari, ma lei è pazzo. Chi glieli darà? Nessuno pagherà un
solo cent per me."
"Vedremo. Su questo foglio troverà una lettera, la trascriva e faremo in modo di
farla arrivare a sua sorella. Se entro un mese, dal ricevimento di quella
lettera, non avrò quei soldi, lei morirà. La ucciderò personalmente davanti a
tutti."
"Se dovessi rifiutarmi di scrivere quello che vuole, cosa succederebbe?"
"Morirebbe adesso e quella lettera arriverebbe a sua sorella in ogni caso."
Guardandolo Sammy capì che non stava affatto scherzando. Temeva quell’uomo e
forse per la prima volta in vita sua stava provando paura. Trascrisse ciò che
trovò scritto e consegnò la lettera a Adrian.
Mentre la stava rileggendo, Sammy l’osservò. Gli incuteva timore era vero, ma
aveva uno strano fascino che l’attirava verso di lui. Era alto e ben fatto,
portava i capelli neri lunghi ed erano legati da un laccio di cuoio, inoltre
quegli occhi neri sembrava ti potessero vedere dentro. Non era bello, anzi si
poteva dire quasi il contrario, ma aveva un alone di mistero che lo circondava,
che ti stregava. Smettila Sammy, sei impazzita, quest’uomo vuole ucciderti, a
cosa stai pensando, si ripeté.
"Bene, la farò riaccompagnare nella sua casa, si metta comoda, ci rimarrà per un
po’ di tempo."
Nel frattempo qualcuno fece recapitare la sua lettera e quando Abigail l’aprì
quasi si sentì male. Era in ospedale, quando fu chiamata d’urgenza all’ingresso.
Incuriosita, dopo che il fattorino le consegnò la lettera, l’aprì e riconosciuta
la calligrafia di Sammy, la lesse. Joseph era nel suo studio con una paziente e
quando Abby entrò, entrambi si spaventarono.
"Abby che succede? Sei alquanto pallida."
"Scusate l’intrusione, ma ..." e porse la lettera a suo marito.
Jo capì che qualcosa non andava, finì di prescrivere i medicinali idonei alla
sua paziente e dopo che questa uscì, si sedette e lesse la lettera.
"Mio Dio Jo, lo sapevo che non doveva andare. Vogliono cinque milioni di dollari
entro un mese, se no Samantha morirà."
"Stai calma, ti chiedono di fare da tramite. Devi rientrare il prima possibile.
Porta questa lettera alla sua redazione e insieme cercheremo un modo per
aiutarla."
"Come faccio ad andarmene, Samuel e Samira sono ancora piccoli, come farai da
solo?"
"Non preoccuparti per noi, ora dobbiamo pensare solo a Sammy."
"Sì lo so, hai ragione. I nostri genitori ci aiuteranno, ma come faremo a
trovare cinque milioni di dollari? Ho paura Joseph, mio Dio proteggila tu."
La sera stessa preparò la sua roba, prenotò il primo volo in partenza e rientrò
a New York.
Era passata una settimana da quando era lì e Samantha doveva trovare il modo di
andarsene. Ora non la tenevano più rinchiusa, poteva girare per il villaggio,
anche se era convinta che qualcuno la seguisse ovunque andasse. Inoltre non
aveva con sé niente per cambiarsi e lavarsi in una bacinella d’acqua non le
bastava più. Dire che si sentisse lercia, era poco. Stava passeggiando, quando
si accorse che in una jeep c’erano inserite le chiavi. Ci salì e pensò, forse
posso andarmene. Mise in moto e quando si avviò, non ci pensò due volte,
schiacciò l’acceleratore e uscì dal villaggio a tutta velocità. Quando si
accorsero che stava scappando, si misero tutti in moto. La sua fuga però durò
ben poco, non arrivò neanche a percorrere qualche chilometro, perché la macchina
piano rallentò e si fermò. Tentò disperata di rimetterla in moto, ma niente e
guardando l’indicatore della benzina, si accorse che era a zero.
"Maledizione! Ora capisco perché c’erano inserite le chiavi."
Stava pensando a quanto era stata stupida, che fu trascinata a forza giù
dall’auto e riportata indietro. Arrivando vide che si era formata una piccola
folla, incuriosita da tutta quella confusione.
"Cosa credevi di fare?"
"Di andarmene. Non hai il diritto di tenermi qua. Chi ti credi di essere per
decidere cosa farne della vita delle persone? Non sei nessuno e solo perché
pensi di essere più intelligente di tutti loro, credi di avere il potere per
comandarli? Sai mi spiace solo di non essere riuscita a scappare, chissà che
smacco sarebbe stato per il grande Adrian!"
Lui non le rispose, l’afferrò per un polso e la trascinò nella casetta di legno
che occupava da una settimana. Gli si leggeva in volto tanta collera, che
osservandolo capì d’aver osato troppo. La gente si disperse ed ognuno tornò a
quello che stava facendo. Tutti pensarono che quella donna avrebbe avuto il
fatto suo. Entrati la lasciò andare con una tale forza, che la fece cadere a
terra.
"Come ti sei permessa di dire quelle cose davanti ai miei uomini? Ricordati che
se sei viva è perché sono io che lo voglio. Non ti permettere mai più di
parlarmi come hai fatto poco fa."Sammy si era alzata da terra e si era messa
davanti a Adrian, se pensava di spaventarla si sbagliava di grosso.
"No Adrian, se sono viva è perché da morta non ti servirei a niente. Se vuoi
quei soldi devo essere viva, ben viva, se no niente. Non farmi ridere, tu non
decidi proprio niente, ti servo viva, punto e basta. Come vedi in fondo il gioco
lo conduco io."
Adrian era furente e quando Sammy lo vide alzare la mano d’istinto chiuse gli
occhi e girò il volto. Aveva esagerato ed ora ..., ma quello che aveva pensato
non accadde. Riaprì gli occhi e si accorse che Adrian se ne stava andando.
Credeva, n’era certa che l’avrebbe colpita. Cosa l’aveva trattenuto dal farlo?
Si domandò.
"Aspetta, non ho con me niente per cambiarmi e ho un disperato bisogno di farmi
un bagno."