Maurizio Catuara

Raccolta di racconti
di Maurizio Catuara
Pagine: 145
Prezzo: 10 euro
ISBN 978-88-6170-058-1
 


 

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PROFILO DELL'AUTORE

MAURIZIO CATUARA è nato a Venezia nel 1945. Il raccontar storie lo ha sempre appassionato e stimolato. Uno dei racconti, rappresentato in questo libro dal titolo «Ma quel giorno in mare accadde qualcosa di diverso», è stato pubblicato sul «Gazzettino di Venezia». Nel 2006 ha poi pubblicato il suo primo romanzo di genere thriller: «Il lupo di Venezia - Fino alla fine del male», che si è classificato in semifinale in un concorso internazionale.

 

1° racconto
L’ODIO E LA SPERANZA

"Ecco, il tram sta arrivando", penso.
Il cuore mi martella la gola. Nonostante le mille prove, ora, che sono di fronte alla realtà, le cose mi appaiono diverse da come pensavo. Le vedo come in sogno, come se io non fossi fisicamente là in quel momento, come se stessi vivendo qualcosa che non mi riguardasse. Che strano!
Dopo tanto odio insegnatomi per mesi e mesi, le notti insonni a pensarli, a odiarli, a ripetermi in modo ossessivo che "Loro" erano la vera causa di tutte le tragedie della mia razza, del mio "credo"… ora sono qui… sono pronto.
Sono pronto a trasformarmi nel martire che io e la mia famiglia avevamo da sempre desiderato. Sto dando la vita per la più nobile delle cause, anche se il mio corpo e la mia mente sono pervase da una strana sensazione: L’indifferenza! Non angoscia o paura, no, questo no, soltanto la sensazione di una cosa che debbo fare, come mangiare o pulire il fucile, perché bisogna mangiare e pulire il fucile, non se ne può fare a meno… e così dopo tanto odio… ora provo indifferenza, una maledetta indifferenza.
Lo faccio perché lo debbo fare e basta!
Non so perché sto provando questo sentimento. Per mesi o forse da sempre, mi avevano detto che sono dei cattivi, che gli ebrei bisognava distruggerli, eliminarli tutti da questo Mondo. Che il popolo Palestinese non potrà mai essere libero finche loro esisteranno… finché loro esisteranno…
"Loro" ci hanno rubato la terra, la nostra terra, quella dei nostri padri, quella dei nostri nonni e non ci sarà mai pace fra ebrei e palestinesi, due razze troppo diverse che il destino o… chissà che cosa, ha voluto entrambi nella stessa terra.
Per mesi mi sono allenato a salire su un autobus come questo che sta per arrivare con dieci chili di tritolo addosso nascosti sotto il giubbotto. Salivo, aspettavo la prima fermata, dove di solito scendeva poca gente, ma dove però ne saliva molta di più e quando ripartiva, dopo alcuni minuti, dovevo tirare una cordicella e… tutto finiva lì! Avrei meritato il Paradiso! La vita eterna, dove avrei aspettato i miei genitori che nel frattempo avrebbero vissuto onorati e rispettati dalla comunità, fino alla loro morte. Li avrei aspettati a testa alta, orgoglioso per aver fatto un gesto tanto importante per il nostro popolo.
Ora non c’è più tempo per pensare, il tram sta rallentando. Mi avvicino ancora di più alla fermata. Delle persone si avvicinano dietro di me, anche loro in attesa per salire. È la prima volta che vedo un ebreo da vicino… con meraviglia mi accorgo che dall’aspetto avrebbe potuto essere anche un palestinese, se non fosse per quella specie di ciotola rovesciata che ha sul capo. Alla mia sinistra si affianca una ragazza, la sbircio di sottecchi e rimango sconcertato: lei è molto bella, avrà circa la mia età, tra i quindici e i sedici anni.
Malgrado il mio sguardo furtivo, lei se ne accorge e mi osserva a lungo, con interesse. Il mio cuore balza in gola in una corsa frenetica. Sono sconvolto perché non capisco, entro pochi minuti mi farò esplodere, con assoluta indifferenza, però ora sto sudando, emozionato da quel sguardo insistente, e non provo nessun odio per quell’ebrea: lei è… bellissima…
Le porte del tram si aprono, scendono tre persone, lascio salire prima la ragazza, poi gli altri. Con fatica, dato il peso dell’esplosivo, riesco a sedermi, e mi siedo proprio dietro di lei. Il tram riparte verso il centro di Telaviv. È un tram vecchio, forse gente cha va al lavoro. Nessuno bada a me. Con cautela metto una mano all’interno del giubbotto per assicurarmi che la cordicella sia proprio là. La ragazza di tanto in tanto si gira e mi sorride. Sono sempre più sconvolto… quattro posti più avanti sento qualcuno che ride rumorosamente; dalla parte opposta, improvvisamente, un bambino si mette a piangere… sicuramente un bambino ebreo, penso.
"Lo devo fare! È per la mia gente, così mi hanno insegnato! E così devo fare! Bisogna distruggerli."
Il tram si ferma, scendono alcune persone e ne carica una ventina, quindi riparte.
"Lo devo fare proprio ora!"
Metto la mano sotto il giubbotto e stringo la cordicella… in quel momento però la ragazza si gira, mi guarda e dice:
"Come ti chiami? non ti ho mai visto qui."
Rimango di stucco. Istintivamente la mano allenta la presa sulla cordicella… sono confuso e preoccupato. Goccioline di sudore spuntano improvvisamente dalla mia fronte e colano lungo le guance. Deglutisco con fatica, una, due volte; sento la gola terribilmente secca. Riesco a balbettare qualcosa sottovoce:
"Io… non… sono… ebreo."
Lei mi guarda meravigliata e quasi divertita, poi scoppia in una sonora risata…, io ancora mi stupisco e non capisco. Con dolcezza e comprensione, guardandomi diritto negli occhi, dice:
"Che tu non sia ebreo non vuol dire nulla… ne per me, ne per la gran parte della mia gente. Verrà presto il tempo in cui tutto questo finirà, tutto questo odio finirà. I miei mi hanno sempre insegnato che sono le diverse religioni, il maggior ostacolo alla convivenza e tolleranza fra i popoli… ma bisogna aver fiducia, credimi; prima o poi divideremo assieme questa terra meravigliosa, in pace e serenità, ne sono sicura. I cattivi non sono poi molti, li fermeremo prima o poi, vedrai."
La mia mano ormai è lontana da quella corda. Sono sconvolto e meravigliato. Nessuno mai prima d’ora mi aveva parlato così, nessuna ragazza mi aveva mai guardato a quel modo. In quei pochi minuti ho rivissuto per intero tutta la mia giovane vita!
E lei ancora:
"Ma cosa hai ?… ti senti bene?"
Non riesco a dire nulla, faccio fatica a respirare. Devo avere un aspetto terribile. Mi sento le guance bagnate e questa volta non è sudore… lei se ne accorge:
"E ora perché piangi? Abiti qui vicino?"
Abbasso gli occhi… non la voglio più guardare. Basta! Giro la testa dalla parte del finestrino. Chissà, penso, forse ci sono altre cose nella vita che non ho capito. Il tram si sta fermando… ora so che non tirerò quella maledetta cordicella, ma so anche che non potrò tornare da mio padre e da mia madre, non ne avrò mai il coraggio. Ho capito anche che non è come sempre mi avevano insegnato… si, forse ora ho capito, ne sono armai sicuro; sentivo dentro di me che ci doveva essere qualcosa di diverso nella vita… che non era solo questo…
Il tram si ferma. La ragazza mi osserva mentre mi alzo; i nostri occhi si cercano in un interminabile e penoso cenno di saluto, poi scendo. Mi guardo intorno, non c’è molta gente. Alla mia destra vedo un giardino con una fontana e non c’è nessuno… è un bel giardino pieno di fiori… un giardino ebreo. A passo svelto, un po’ claudicante per il peso che porto, lo raggiungo, allontanandomi il più possibile dalla strada. Ora sono proprio solo… solo con me stesso e la mia folle paura. Ho ancora negli occhi e nella mente il volto di "Lei"… così bella. Non vorrei più distaccarmene… ma lo debbo fare, lo debbo assolutamente fare. Metto la mano dentro il giubbotto, sento che ho la mano sudata, ma non c’è esitazione. L’ultimo pensiero è per i miei anche se forse mi hanno mentito… non so… non so. Le mie dita stringono nuovamente quella cordicella; guardo il cielo bellissimo e limpido, poi le do un violento strattone.

continua con altri racconti

- VETRINA LETTERARIA -

 
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