PROFILO DELL'AUTRICE
SONIA FAGGIAN è nata a Mestre nel 1963. Compositrice e autrice di
numerosi scritti fra poesie, racconti e fiabe, con Il Padre è alla sua prima
raccolta di narrativa.
IL PADRE - LO SCEMPIO
Maria era una bambina dolcissima.
Viveva col padre. La mamma era morta da poco, lasciandoli nella disperazione.
– Adesso sei tu la donna di casa – le aveva detto serio serio il padre – so che
non mi deluderai.
E lei aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe deluso.
Aveva preso nelle sue piccole mani le faccende di casa, continuando ad andare a
scuola. La mamma ci teneva che studiasse. Comunque, doveva.
Si alzava molto presto e preparava la colazione per sé e il padre, poi metteva
in ordine, prendeva lo zaino e andava a scuola.
Al ritorno cucinava la pastasciutta, col sugo pronto dalla sera prima, e la
tavola. Dopo mangiato sparecchiava, lavava i piatti e faceva i compiti.
Poi lavava, stirava finché arrivava l’ora di cena. Preparava bistecche o uova,
con le patate o l’insalata (la spesa la faceva il papà), infine cuoceva il sugo
per il pranzo dell’indomani. A fatica si lavava, poi a letto: non ce la faceva a
guardare la televisione come gli altri suoi coetanei. Né, tanto meno, a giocare.
A stento sopportava quelle giornate scandite da ritmi adulti.
La nonna materna aveva pregato il genero perché la piccola potesse vivere con
lei, si sarebbe trasferita nelle vicinanze, ma lui non aveva voluto.
Anni di incomprensioni nel loro rapporto.
La nonna non aveva mai accettato di buon grado quel matrimonio: c’era troppa
differenza, anche culturale. Secondo lei non sarebbe durato a lungo. E la cosa
si era rivelata vera, ma non come aveva inteso.
Alla morte della mamma, Maria li aveva sentiti discutere:
– Non puoi privare la bambina della sua infanzia. Lascia almeno che mi occupi io
della casa, oppure lascia che ti mandi qualcuno.
– Noi non abbiamo bisogno di nessuno. E tu non devi preoccuparti per Maria.
– Ma è mia nipote!
– È mia figlia – la zittì il genero. Lui e Maria si sarebbero bastati a vicenda.
Intanto, col passare del tempo, il dolore per la morte della mamma, anziché
lenirsi, aumentava. Maria faticava a dormire la notte, nonostante la stanchezza.
A volte faceva brutti sogni e si svegliava di soprassalto chiamando la madre.
Il padre non sempre la sentiva. Allora lei aveva trovato il coraggio di
chiedergli se, qualche volta, avrebbe potuto dormire con lui sul lettone, come
quando mamma era viva.
Suo padre acconsentì.
Anche se nonna diceva il contrario, era molto tenero con lei.
– La mia donnina! – diceva con orgoglio. E come la colmava d’affetto!
Di sicuro, ne aveva bisogno anche lui. Maria sapeva che la mamma gli mancava,
nonostante evitasse di parlarne. Percepiva la sua sofferenza quasi palpabile
nell’aria.
C’era una cosa, però, che la impauriva: in certi momenti aveva uno strano modo
di guardarla. Poi usciva per qualche sera di seguito – Vado al bar – diceva, lui
che una volta non ci andava mai, e lei notava che, dopo, tutto tornava come
prima.
Eppure, man mano che si ripetevano questi episodi, Maria avvertiva sempre più il
bisogno d’andare da sua nonna.
Con lei si sentiva protetta, cosa che non succedeva col padre. Pensava fosse
perché guardandola negli occhi intravedeva lo sguardo di sua madre.
Facendosi forza, chiese al padre di poter trascorrere almeno un giorno da lei.
Lui fece un brusco cambiamento: sembrava che uno sconosciuto gli fosse entrato
dentro.
– Sai come la penso, Maria. Non voglio più parlarne.
Maria cacciò a stento le lacrime e non osò ribattere.
I brutti sogni si fecero incalzanti e la piccola dovette lottare ogni volta per
riacquistare il controllo di sé.
Almeno avesse avuto vicino le sue amiche!
Le cercava, quando poteva, cioè raramente, ma la vita che ora conduceva l’aveva
allontanata da loro.
Il padre, per giunta, non voleva nessuno per casa, nemmeno quando era assente.
Diceva che aveva bisogno di quiete e che non voleva vedere disor-dine.
Una notte Maria fece un sogno ancora più brutto degli altri: lo vedeva composto
dentro una bara, così com’era stato per mamma.
Si svegliò piangendo e corse subito da lui.
Lui la consolò con tenerezza, accarezzandole i capelli e stringendola a sé.
Maria si acquietò e, con la testa appoggiata sul suo petto, cercò di riprendere
il sonno perduto.
A poco a poco il suo respiro tornò regolare.
Quello del padre, al contrario, divenne quasi affannoso. Le sue mani presero a
muoversi sul corpo di lei, in un modo che si faceva sempre più strano, diverso.
Maria non capiva ed era terrorizzata, ma era altrettanto terrorizzata all’idea
di fare qualcosa contro di lui che potesse farglielo perdere.
Aveva bisogno della mamma e lei non c’era, aveva bisogno della nonna e nemmeno
lei c’era. Non poteva stare anche senza suo padre. Non poteva stare sola. Non
poteva.
Lo lasciò fare.
Da allora la sua vita divenne un inferno. Il padre le aveva raccomandato di non
dire niente di tutto ciò a nessuno, tanto nessuno avrebbe capito. E che era la
sua donnina, ora più che mai. Sembrava anche contento, lui.
Un giorno, mentre il padre era al lavoro, venne la nonna, senza alcun preavviso.
Guardando bene negli occhi la nipotina, le disse che era molto preoccupata per
lei, che la maestra l’aveva mandata a chiamare. Le chiese se papà si stesse
comportando bene. Maria mentì rispondendo di sì. Ma la nonna non parve affatto
convinta.
Le disse che forse avrebbe potuto fare in modo di condurla via con sé, per
sempre. Ma Maria, pur desiderando seguirla, sentì la sua voce rispondere che non
poteva lasciare il padre da solo.
E continuò quella vita.
Ogni tanto vedeva la maestra guardarla fisso. Ma lei faceva coscienziosamente i
compiti, aveva ottimi voti e mai un giorno di assenza.
La nonna ora telefonava più spesso e, quando sapeva che il padre non c’era,
veniva a trovarla di nascosto. E la interrogava.
Ma lei non si lasciava scappare nulla, così come nulla aveva detto al padre
sulle visite della nonna.
Ora ogni sera la voleva con sé; anzi, col tempo aveva perso qualsiasi forma di
controllo, arrivando a chiamarla in camera anche nei pomeriggi in cui era a casa
dal lavoro.
La maestra, in classe, la guardava ancora più fisso.
E la nonna telefonava ancora di più.
Un sabato pomeriggio il padre la chiamò. Maria andò da lui e iniziò a subire. In
quei frangenti i suoi sensi erano all’erta fino allo spasmo, in una costante
attesa d’aiuto.
Udì distintamente aprirsi la porta d’entrata: la nonna le aveva chiesto in
prestito le chiavi, l’ultima volta che era stata da lei. S’era ben guardata dal
dirlo al padre.
Il padre, troppo occupato a pensare ad altro, non udì nulla.
Sulla soglia apparve la nonna.
Maria le vide un’espressione che la sua mente fece fatica ad accettare.
Il padre non poté non udire l’urlo inumano della suocera. E reagì alla furia
cieca di lei.
La nonna era ancora una donna forte, ma la sua forza non poteva certo competere
con quella del genero. Ben presto rimase a terra, immobile, dove Maria la pianse
con lacrime macchiate del sangue di lei.
Non vide il padre scappare, nudo così com’era. Il suo corpo fu trovato
l’indomani mattina, ai piedi di un dirupo.
Maria, intanto, fu condotta in una casa famiglia in attesa di una migliore
sistemazione. L’accompagnò la maestra. Avrebbero trovato chi si sarebbe preso
cura di lei, chi le avrebbe voluto bene, le disse.
Ma Maria decise a modo suo, scappando quella notte stessa. In cielo avrebbe
sicuramente ritrovato la mamma e la nonna. Anche il padre, pensò, non vedendo
neppure negli ultimi istanti di vita lo scempio del quale si era mac-chiato.